Abstract
Sabina Miriam Zeboni reviews "Il bias della razza" (The bias of race), a collective work which analyzes the emerging of racial question in contemporary and globalized world from a cognitive point of view.
Tra
le molte pubblicazioni in memoria del Manifesto
degli scienziati razzisti comparso su “Il Giornale d’Italia” del 14 luglio
1938, mi pare degno di nota il libro uscito lo scorso novembre intitolato Il Bias della razza, polarizzazioni del
pensiero, torsioni identitarie e politiche dell’odio, per Durango edizioni.
I saggi che compongono il testo si propongono di indagare le motivazioni alla
base di quello che viene definito come il “ritorno dirompente” della questione
razzista nel dibattito politico attuale, per riuscire a decostruire quei
processi di esclusione e di emarginazione responsabili delle forme più estreme
di intolleranza verso la differenza, che si tratti di xenofobia, di sessismo,
di omofobia o di transfobia. Il bias
cognitivo, come viene spiegato nell’introduzione, è un errore di funzionamento
dei processi di conoscenza individuali o collettivi che porta a formulare
giudizi illogici o, comunque, non conformi alla realtà. Per contrastare questa
forma patologica di uso della ragione, che rifiuta qualsiasi schema complesso
di analisi della realtà sociale, il progetto Bias intende coinvolgere studiosi di diversi ambiti e discipline al
fine di approntare strumenti di analisi e mappe concettuali in grado di dirci
“dove siamo e dove dovremmo andare”.
La sfida, tutt’altro che semplice, è quella
di riuscire a scongiurare questa nuova pericolosa involuzione partendo dalle
ricerche nel campo delle scienze naturali, dell’antropologia culturale, del
diritto e della filosofia. Dal punto di vista scientifico – chiarisce Roberto
Inchingolo - non è possibile parlare di razze nella nostra specie poiché, come
dimostrano numerosi studi in campo genetico, le diverse popolazioni
differiscono tra loro solo in minima parte, a causa dei métissages continui nel corso della storia. Tuttavia, alcune teorie
pseudoscientifiche sono tornate oggi alla ribalta sotto i nomi di race realism, il realismo delle razze, o
del più neutrale HDB, human biodiversity,
che cerca di convincere che in gioco non vi siano le vecchie teorie razziste,
ma la biodiversità, termine molto più gradevole e positivo a livello di
opinione pubblica. Le ricercatrici Angela Biscaldi e Stefania Spada propongono
una lettura antropologica dei discorsi e delle pratiche discriminatorie
contemporanee, mettendo in luce il limite del relativismo culturale che, se da
un lato è servito a contrastare l’etnocentrismo evoluzionista, dall’altro può
portare a una riformulazione del razzismo in una forma de-biologizzata, che
radica le pratiche discriminatorie sul piano culturale piuttosto che biologico.
“Il relativismo culturale - come scrivono le autrici – ha costituito la
premessa per la nascita e l’affermazione della retorica del cosiddetto
multiculturalismo, che porta l’attenzione sulle differenze tra culture
piuttosto che su quelle interne alle singole culture, naturalizzandole e
accettando ulteriormente gli aspetti reificanti”. Ne La storia negata, Luca Buscema, ricercatore in scienze giuridiche,
si interroga coraggiosamente sui limiti entro cui il Legislatore debba
circoscrivere, all’interno di una cornice di liceità, le teorie negazioniste e
revisioniste, in un’ottica sia di salvaguardia di chi ha subito tragedie e
indicibili sofferenze che di tenuta dei valori democratici propri di uno Stato
pluralista che voglia affermare e diffondere una visione delle relazioni umane
incentrata sul rispetto e il riconoscimento della dignità di ogni individuo, al
di là di ogni possibile barriera ideologica. Infine, il saggio di Cosimo
Nicolini Coen su I concetti di razza e
umanità chiarisce che la nozione di “razza” prende forma esclusivamente
nella sfera dei pensieri e delle idee, cioè nell’ambito puramente concettuale,
senza che vi sia alcun fondamento ontologico dell’oggetto in sé. E, tuttavia,
l’idea di “razza” è riuscita, in diversi momenti della storia, a permeare e a
influenzare la realtà sociale, attraverso la funzione performativa del
linguaggio, in particolare di quello giuridico, come si evince dalla disamina
della legislazione degli Stati Uniti nei confronti della popolazione di origine
africana e di quella della Germania nazista o dell’Italia fascista nei
confronti degli ebrei. Contrariamente al concetto di razza, l’idea di umanità
ha, invece, un fondamento ontologico, infatti, “nelle nostre relazioni
quotidiane riconosciamo nell’altro, appartenente alla specie umana, a
prescindere dalla differenze somatiche e/o sociali, un nostro simile”. E proprio
quest’idea di umanità, in cui non vi possono essere vite dotate di valore e
altre che ne sono prive, come i pianificatori nazisti della società perfetta tentarono
di far credere, si rivela alla fine come il dispositivo su cui fare leva affinché
le istituzioni possano integrare o, al limite, escludere le diverse figure di
chi è altro/a, senza però cancellarlo/a dalla categoria normativa di uomo o
donna.
Le diverse analisi critiche svolte nel Bias della razza si rivelano, per usare una celebre espressione di
Marx, il cervello di cui la passione ha bisogno, passione per un’umanità
solidale e antirazzista.
Casella di testo
Citazione:
Il bias della razza (Recensione di Sabina Miriam Zenobi), "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", IX, 1, marzo 2020
url: http://www.freeebrei.com/anno-ix-numero-1-gennaio-giugno-2020/sabina-zenobi-il-bias-della-razza
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