Lezioni
Talmudiche
1. Non distruggere la memoria,
non ne avrai un’altra
di Giuseppe Veltri
Si
legge dal Midrash Kohelet Rabbah 7:20:
“Quando il Santo, che sia benedetto, creò il primo uomo, lo prese o lo condusse
tra gli alberi del giardino dell’Eden. Poi gli disse: ‘Vedi la mia opera, come
è bella e ammirevole? Quello che ho creato, l’ho creato per te. Stai attento a
non deteriorare e a distruggere il mondo. Poiché se lo rovini, non ci sarà
nessuno dopo di te che lo potrà ripristinare allo stato primitivo'”. E dal Talmud di Babilonia, Eruvin 13a: “Rabbi Ishma’el
mi disse: ‘Figlio mio, qual è il tuo mestiere?’ Gli risposi: ‘Sono uno scriba
(della Torah)’. Aggiunse: ‘Sii meticoloso nella tua opera, perché essa è sacra.
Se accidentalmente ometti o aggiungi una lettera, distruggi il mondo intero'”. Ed entrambi i testi rabbinici hanno qualcosa in comune: la preservazione del mondo passato e presente. L’uomo è incline a
distruggere soprattutto se la storia non gli va a genio, se il male commesso
gli si ripresenta ogni giorno, ogni momento, inducendolo ad odiarsi. Si
distrugge per non vedere la colpa di Caino, si distrugge perché non è attento
alla trasmissione fedele del passato, della storia, dei fatti, delle lettere
della Torah, direbbe Rabbi Ishma’el.
Nel
momento in cui la nostra fedeltà sminuisce nel tenere vivo il ricordo del
passato, nel momento in cui cerchiamo di dimenticare o sistematicamente abbellire
ciò che ci è accaduto, lo stiamo inesorabilmente eliminando; la pena sarà che non
avremo un altro mondo. Ciò riguarda non solo il creato nella sua bellezza, ma
anche la storia del male che è parte dalla nostra memoria: dobbiamo
insistentemente e perennemente mantenerla davanti agli occhi. Ciò non deve
avvenire perché altrimenti ripeteremmo il male passato – come afferma una
trovata politica deterrente – ma perché fa parte del nostro rotolo della Torah,
dove, accanto alle storie di conquista e di vittoria, abbiamo anche il vitello
d’oro e la morte premeditatamente eseguita da Davide nei confronti di Uria, legittimo
marito della sua amante.
Nell’antica
sinagoga questi passi sul male passato, queste pericopi “negative” venivano
lette in ebraico, tuttavia non erano tradotte in aramaico, la lingua
comprensibile a tutti. Se ne voleva la memoria, ma non l’imitazione. Forse è
questa la linea che porta alla memoria sacra come attestazione dell’uomo nel
suo essere: cercare di prendere dalla storia ciò che non ci distrugge. In
questo caso, e solo in questo caso, la memoria è impellente come un imperativo
categorico: Ricorda Israele, Dio è uno, il
tuo è un Dio nella tua storia.
Casella di testo
Citazione:
Giuseppe Veltri, Acini d'uva. Lezioni talmudiche (1), "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", V, 1, gennaio 2016
url: http://www.freeebrei.com/anno-v-numero-1-gennaio-giugno-2016/giuseppe-veltri-lezioni-talmudiche-1
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