"Free Ebrei", VII, 2, dicembre 2018
La realtà fuori della presa
di Niram Ferretti
Abstract
Niram Ferretti writes an obituary for Amos Oz, one of the most known and important Israeli writers of the last decades, who was also one of the founder of "Peace Now" and was therefore engaged in Israeli and Middle Eastern political arena.
Amos Oz, morto ieri a 79 anni, dopo una lunga malattia era sicuramente un
letterato di talento, uno scrittore vero. Questo, tuttavia, negli anni non gli
ha impedito, da sinistra, dove era politicamente collocato, come gli altri due
scrittori israeliani altrettanto famosi, David Grossman e Abraham Yehoshua, di
intenerirsi nei confronti degli arabi e della loro "sofferenza" al
punto da inviare a Marwan Baraghouti, a capo, durante la Seconda Intifada,
delle sezioni più estremiste di Fatah, la Brigata Tanzim e quelle dei martiri
di Aksa, responsabili dell’uccisione di più di cento persone soprattutto civili
tra il 2001 e il 2006, una copia del suo libro più famoso Una storia di amore e di tenebra.
Nella versione araba del libro Oz aveva
scritto questa dedica: “Questa storia è la nostra storia. Spero che la leggerai
e ci capirai meglio come noi cerchiamo di capire te. Sperando di incontrarci
presto in pace e libertà”. Dopo la reazione di protesta che suscitò il suo atto
lo difese affermando che leggendo il suo libro il terrorista avrebbe compreso
le ragioni di Israele e che in un futuro si sarebbe potuto intavolare un
dialogo con lui.
La fallacia cognitiva contenuta nell’auspicio di
Oz, è questa, presumere che l’altro, il terrorista, l’assassino, possegga le
medesime categorie mentali dell’interlocutore pieno di sentimenti nobili e di
afflato umanistico al quale si rivolge tendendogli la mano. Prendere in
considerazione una irrimediabile diversità, un universo di pensiero
radicalmente altro, fatto di propositi, idee, convincimenti inconciliabili
metterebbe in mora l’assunto base degli ottimisti del cuore e della volontà ai
quali Oz apparteneva: la convertibilità del male in bene, la sua possibile
trasformazione. E se questo a volte accade ed è accaduto, pur sempre con
estrema difficoltà, bisogna pure prendere atto di tutte le volte che non
accade, non è mai accaduto ed è assai improbabile che accadrà. Se poi, al
sentimentalismo utopico, alla spes contra spem, si aggiunge anche il
giustificazionismo vittimista, il cerchio si completa, come quando Oz definì in
un intervento pubblicato sul New York Times nel
2010, Hamas “Non solo una organizzazione terroristica. Hamas è una idea
disperata e fanatica nata dalla desolazione e dalla frustrazione di molti
palestinesi”.
L’Islamismo, la fedeltà assoluta a un idea di mondo
fondata sulla sottomissione piena, politica, civile, religiosa, al volere di
Allah, il profondo compatto antisemitismo nato da una fusione tra quello
teologico coranico e quello di importazione nazista, tutto questo, per lo
scrittore israeliano sarebbe stato “una idea disperata e fanatica nata dalla
desolazione e dalla frustrazione”. Perché questo è il punto, il fatto
dirimente. Per gli Oz, i Grossman, i Yehoshua, il male, e nella forma
specifica, quello rappresentato dal terrorismo arabo-palestinese, sarebbe
fondamentalmente esogeno, le cause del suo proporsi, seppure anche interne,
sarebbero in misura assai maggiore determinate da fattori esterni, vedi alla
voce “occupazione”(il feticcio ideologico progressista, il busillis).
E aveva ragione Amos Oz a vedere nell’”occupazione”
uno dei problemi principali se non il problema principale, lo vedono nello
stesso modo anche i palestinesi, e in maniera assai evidente Hamas, solo che,
per il gruppo integralista musulmano non si tratta unicamente
dell’”occupazione” della Cisgiordania ma dell’occupazione di tutta la
Palestina, che deve essere sgombrata, resa judenrein. Se Oz, e con
lui gli altri due colleghi scrittori si fossero presi la cura di rileggere il
testo limpido della Carta di Hamas, il documento originale del 1988 e non la
sua copia marginalmente ritoccata nel 2017, si sarebbe accorto con quanta
aderenza sine glossa esso venga recepito dai suoi aderenti, i quali non si
sentono assolutamente figli della desolazione e della frustrazione, ma
rigorosamente aderenti alla lettura letteralista del Corano radicata nel
salafismo dei Fratelli Musulmani. Radicamento robusto, orgoglioso, privo di
qualsiasi lacrimoso vittimismo.
Ma Oz, che da scrittore, aderiva alla fattualità
drammatica delle cose e della storia, come nel suo libro più famoso, il già
citato Una storia di amore e tenebra,
da osservatore politico preferiva illudersi che il persistente rifiuto arabo
all’esistenza di Israele in una terra considerata possedimento intangibile
dell’Islam per l’eternità, non fosse e non sia lo scoglio contro cui si sono
infranti senza sosta tutti i tentativi di Israele di trovare una intesa
pacifica, un accordo risolutivo. A Oz, in altre parole, come osservatore del
conflitto, sfuggiva politicamente quanto non gli sfuggiva da scrittore, la
presa sulla realtà, quella presa che non era mai sfuggita a
Vladimir, Ze'ev, Jabotinsky il quale ne Il Muro di Ferro, scritto
nel 1937 (e tradotto in italiano da Vincenzo Pinto), con lucida preveggenza poteva scrivere:
“Che gli arabi della Terra di Israele dovrebbero
giungere volentieri ad un accordo con noi è al di là di ogni speranza e sogno
sia al momento, che nel prossimo futuro. Esprimo così categoricamente questa
mia convinzione interiore non a causa di alcun desiderio di sgomentare la
fazione moderata nel campo sionista, ma, al contrario, perché desidero salvarli
da tale sgomento. A parte coloro, i quali sono stati praticamente
"ciechi" fin dall'infanzia, tutti gli altri sionisti moderati hanno
da tempo capito che non c'è nemmeno la minima speranza di ottenere dagli arabi
della Terra di Israele un accordo che renda "la Palestina" un paese
a maggioranza ebraica”.
Le storie sentimentali, i soffusi patimenti, gli
slanci di indignazione per la giustizia denegata, il salto in lungo con l’asta
dei diritti umani violati, insomma tutto intero l’armamentario “illuminato”
dell’intellighenzia letteraria progressista, dei filantropi intellettuali, è
solo musica per le orecchie di chi, nella propria visione del mondo, ne fa
strame ma lo accoglie con gratitudine strumentale quando gli viene servito
comodamente dentro il piatto.
"L’occupazione quest’anno compie già 49 anni.
Sono certo che debba finire al più presto per il futuro dello Stato di Israele,
un futuro a cui dedico il mio impegno profondo. In considerazione delle
politiche sempre più estreme del governo israeliano, chiaramente intenzionato a
controllare i territori occupati espropriandoli alla popolazione locale palestinese,
ho appena deciso di non partecipare più ad alcuna iniziativa in mio onore delle
ambasciate israeliane del mondo”.
Così comincia il testo della lettera scritta da
Amos Oz nel 2015 a sostegno dell’ONG B’Tselem, nata per monitorare le
violazioni dei diritti umani nella West Bank, e di fatto trasformatosi in una
delle organizzazioni non governative più pregiudizialmente antiisraeliane oggi
in attività .
La delegittimazione dello Stato ebraico portata
avanti da B’Tselem ha potuto godere nel recente passato del contributo di due
vere e proprie pasionarie dell’estrema sinistra insediatosi nel panel
direttivo, Anat Biletzky e Jessica Montel, la cui apologia del terrorismo
palestinese come reazione all’”oppressione” israeliana ha raggiunto veri e
propri picchi caricaturali. In Italia, durante gli Anni di Piombo, sarebbero
state perfettamente in sintonia con la piattaforma ideologica delle Brigate
Rosse, considerandola probabilmente una giusta opposizione nei confronti della
struttura capitalistico-borghese dello Stato democratico. D’altronde la
Biletzky, nella sua imparzialità umanitaria, non ebbe alcuna remora ad
associare Israele al nazismo, così come fece un’altra imparziale collaboratrice
di B’Tselem, Lizie Sagie, quando, nel 2010, sul suo blog personale scrisse che
“Israele sta commettendo le peggiori atrocità umane…sta dimostrando la propria
devozione ai valori nazisti…Sfrutta l’Olocausto per godere dei benefici
internazionali”, situandosi in perfetta compagnia con Hezbollah, Hamas, Osama
Bin Laden, Noam Chomsky e Norman G. Finkelstein. Per queste frasi, a causa
delle polemiche suscitate, la Sagie dovette poi dare le dimissioni.
L’estremismo politico di B’Tselem non ha impedito
né impedì mai ad Amos Oz di sostenerla orgogliosamente. Sulla natura della ONG,
Noah Pollak ha scritto:
“B’Tselem è semplicemente un attore, sebbene
influente, all’interno di un movimento politico che si è sviluppato nell’ultimo
decennio e il cui obbiettivo è di mettere in questione la stessa legittimità
dello Stato ebraico. Fa parte di una dozzina di altri gruppi in Israele e
all’estero che operano sotto la finzione di promuovere i diritti sociali e la
società civile. La proliferazione di queste ONG appare dall’esterno come una
risposta organica e indipendente al peggioramento di problemi veri in Israele,
ma di fatto questi gruppi sono intimamente uniti. Hanno obbiettivi comuni,
finanziatori comuni (principalmente governi europei e il New Israel Fund negli
Stati Uniti), coordinano da vicino il loro lavoro, si difendono uno con l’altro
dalle critiche e collaborano a campagne che promuovono accuse specifiche”(Noah
Pollak, The B’Tselem Witch Trials,
Commentary, 01/07/2011).
La débâcle intellettuale di Amos Oz è stata quella
di non avere capito fino in fondo che i valori di Israele, quelli stessi in cui
lui è cresciuto e ha potuto sviluppare il proprio talento, sono incompatibili
con quelli di chi di Israele vorrebbe vedere la scomparsa. La débâcle
intellettuale di Oz è stata quella di avere capovolto la realtà e trasformato
coloro che se avessero potuto e se potessero applicherebbero la loro soluzione
finale a tutti gli israeliani, lui compreso, in vittime di un immaginario
governo fascista.
Su una cosa sola Amos Oz aveva però ragione. I
palestinesi sono vittime. Lo sono, indubbiamente, ma di se stessi, della loro
cultura tribale e familistica, di una religiosità trasformata in culto per la
morte, della corruzione, dell'odio e della vendetta. Vittime dei "fratelli
arabi", del loro dispotismo, di una arretratezza culturale spaventosa. Vittime
di una Storia che invece di guardare al futuro, come ha sempre fatto Israele ha
sempre e solo guardato a un passato mitico sedendosi su di esso e sognando un
riscatto che da soli non sono capaci di darsi. Per questo hanno bisogno di
manovalanza, di fiancheggiatori, di utili idioti.
Non sono mai mancati.
Casella di testo
Citazione:
Niram Ferretti, La verità fuori della presa, "Free Ebrei. Rivista di identità ebraica contemporanea", VII, 2, dicembre 2018
url: http://www.freeebrei.com/anno-vii-numero-2-luglio-dicembre-2018/niram-ferretti-la-realt-fuori-della-presa
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