"Free Ebrei", VIII, 1, gennaio 2019
Israele e il Terzo mondo: un approccio storico
di Daniela Franceschi
Abstract
Daniela Franceschi historically contextualizes the long-period relationships between Israeli State and the Third world, trying to individuate how the different perception of the Jewish state played a significant role in the geopolitical area.
Le
relazioni tra Israele e i Paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina
sono un barometro estremamente preciso dello spostamento della posizione
globale dello Stato ebraico, delle sue priorità, delle sua politica e della sua
auto-percezione fin dalla nascita nel 1948.
Se
nei primi due decenni, Israele si è considerato parte integrante del Mondo
post- bellico, unendo le aspirazioni alla legittimità politica e al
miglioramento economico con la preoccupazione per le sfide delle società
emergenti, negli anni Settanta e Ottanta si legava più consapevolmente
all’Occidente non solo politicamente ed economicamente, ma anche culturalmente.
Negli ultimi vent’anni il primo percorso globale di Israele è stato sostituito
da un sistema molto più selettivo e utilitario, tale nuovo approccio è stato il
frutto dei risultati economici e dei timori riguardo la nascita di diverse
correnti del mondo contemporaneo.
Questi
modelli sono evidenti, innanzitutto, nell’ambito geografico delle connessioni
di Israele con i Paesi della parte meridionale dell’emisfero. Con poche
eccezioni, lo Stato ebraico ha iniziato a forgiare dei legami con il maggior
numero possibile di Paesi in America Latina, in Asia e in Africa. Dopo la
rottura dei rapporti diplomatici con quasi tutti gli Stati africani, lo Stato
ebraico si è concentrato sull’America Latina e sui Paesi più grandi dell’Asia,
come Giappone, Corea e informalmente la Cina. Dopo il collasso del sistema
sovietico e l’inizio dei negoziati israelo-palestinesi, gli orizzonti
diplomatici di Israele si sono allargati e i suoi interessi in Africa, Asia e
America Latina si sono focalizzati sugli Stati più promettenti dal punto di
vista economico e politico, a detrimento dei Paesi più piccoli e deboli.
Questi
cambiamenti sono stati accompagnati da una modificazione palpabile
nell’approccio di Israele al mondo non occidentale. Lo Stato ebraico è passato
da essere un Paese sottosviluppato ad uno completamente industrializzato,
divenendo membro dell’OCSE; il suo originale internazionalismo è stato
sostituito da un isolamento in un’epoca di globalizzazione economica. I legami
diplomatici sostenuti dall’assistenza tecnica, anche se ancora importanti, non
aprono più la strada dell’interscambio economico. Al contrario, le
preoccupazioni pratiche- principalmente relative alla dimensione dei mercati e
alle potenziali fonti di materie prime- ora dettano il passo delle connessioni
formali.
interests in Africa, Asia and Latin America have
focused primarily on the moreLa
relativa preminenza dei vari attori nelle relazioni tra Israele e gli Stati
dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina hanno subito una alterazione
significativa. Dove diplomatici e tecnici guidavano una volta i rapporti
israeliani con l’estero, ora imprenditori e consiglieri di sicurezza sono
onnipresenti.
Il
risultato di tale processo è stato un Israele più pragmatico e dalla strategia
diplomatica differenziata.
Si
possono distinguere diverse fasi nelle relazioni tra Israele e il Terzo Mondo,
sulla base della profondità dei legami e del continente a cui è stata assegnata
la priorità più alta. Alla vigilia della
fondazione dello Stato, l’Agenzia Ebraica, che in quel periodo guidava la
politica estera in Palestina, l’Yishuv, si concentrò prevalentemente sulle
relazioni con l’America Latina. Più di un quarto dei membri dell’ONU erano
latinoamericani, quindi, i loro voti erano fondamentali per il successo del
movimento sionista, sia per il delicato passaggio sulla pianificazione della
spartizione nel novembre del 1947 sia per l’ingresso dello Stato ebraico
nell’ONU due anni più tardi. Nel dettaglio: i tre Paesi dell’America Latina,
Guatemala, Perù e l’Uruguay che facevano parte dell’UNSCOP, l’United Nations
Special Committee on Palestine, appoggiavano il piano di divisione. Quando la
decisione fu portata successivamente davanti al plenum dell’Assemblea delle
Nazioni Unite, trentatré Paesi vorarono a favore, tra cui tredici dell’America
Latina.
on behalf of Hebrew Palestine throughout the
continent (Kaufman in Ofaz,
181–185). Prima della fondazione
di Israele, vi erano soltanto due Stati indipendenti in Africa, Etiopia e Liberia,
entrambi relativamente amichevoli verso la causa sionista. La situazione in
Asia era più impegnativa; malgrado i suoi persistenti sforzi, il movimento
sionista non riuscì a garantirsi il sostegno dell’India, infatti, il Mahatma
Gandhi sosteneva che la Palestina appartenesse agli arabi, proprio come
l’Inghilterra apparteneva agli inglesi e la Francia ai francesi, mentre Pandit
Nehru, braccio destro di Gandhi e Primo Ministro dell’India, considerava la
Palestina una terra araba e i sionisti alleati dell’imperialismo britannico. A
volte, l’esperienza storica di una Nazione interferisce con lo sviluppo di
relazioni cordiali con lo Stato ebraico; infatti, Gandhi e Nehru erano
categoricamente contrari al progetto di spartizione britannico dell’India, in cui
la maggioranza della popolazione era indù, in due Stati uno indù e l’altro
musulmano. Per questo stesso motivo, erano anche assolutamente contrari alla
divisione della Palestina. I leader di un’India “indivisibile” simpatizzavano
pienamente con gli arabi palestinesi, che nel 1947, lo stesso anno
dell’indipendenza dell’India, avevano chiesto una Palestina “indivisibile”
sotto il controllo della maggioranza araba.
In
questo contesto, non stupisce che l’India abbia votato contro la divisione sia
in sede UNSCOP sia all’Assemblea Generale dell’ONU. Le Filippine erano l’unico
Paese asiatico a sostenere la decisione, mentre gli altri Stati, India,
Afghanistan, Iran e Pakistan, vi si opposero, la Cina si astenne e la Tailandia
era assente.
Tra
il 1949 e il 1956, il centro di gravità della politica verso il Terzo Mondo di
Israele si spostò verso l’Asia, ciò nonostante si formarono dei legami anche
con Stati collocati alla periferia del Medio Oriente, come Turchia e Iran.
Negli anni Cinquanta Israele instaurò dei legami più solidi anche con la
Birmania, allorquando Gerusalemme estese il suo supporto in molti ambiti; gli
eventi fondamentali in queste relazioni furono la visita del Primo Ministro
birmano, U Nu, in Israele nel 1956 e la visita di David Ben Gurion a Burma nel
1961. In occasione della sua visita, il Primo Ministro israeliano dichiarò che
i legami con il continente asiatico, sotto il profilo economico, politico e
culturale, avrebbero determinato il destino e lo status internazionale dello
Stato ebraico più di qualsiasi altro fattore.
Contemporaneamente,
Israele cercò di normalizzare le sue relazioni con l’India, che aveva riconosciuto
lo Stato ebraico nel 1950. Sebbene un consolato israeliano fosse stato aperto a
Bombay nel 1953 e si fossero tenuti incontri tra i dirigenti israeliani e il
Primo Ministro indiano Nehru, questi eventi non portarono a pieni rapporti
diplomatici o ad una stretta collaborazione con l’India in altre aree. I
rapporti tra Israele e l’India rimasero tesi; per esempio, Nehru vide la
campagna del Sinai, quando Israele invase il Sinai durante la crisi di Suez del
1956, come prova che lo Stato ebraico era un alleato dell’imperialismo.
Durante
gli anni Cinquanta, furono stabiliti dei contatti anche con la Cina comunista.
Benché Gerusalemme avesse riconosciuto la Repubblica popolare cinese nel 1950,
i contatti segreti non portarono all’istituzione di legami diplomatici,
soprattutto a causa della preoccupazione di Israele per la risposta degli Stati
Uniti, che avevano imposto un boicottaggio economico alla Cina maoista nel
1950. Infine, Israele aprì legazioni diplomatiche in Birmania, Tailandia,
Nepal, Filippine e Giappone, ottenendo un rifiuto da parte di Pakistan e
Indonesia.
In
generale, si può affermare che gli sforzi di Israele in Asia nel corso degli
anni Cinquanta ottennero risultati disomogenei, in quanto non riuscirono a
stabilire legami significativi con i tre Paesi più importanti del continente:
dalla fase preliminare nei primi anni Cinquanta, i rapporti con la Cina si deteriorarono
fino ad una ostilità aperta dopo il 1956; i legami con l’India, che erano
limitati e tesi sin dall’inizio, peggiorarono ulteriormente dopo il 1956; il
Giappone non mostrava alcun segno di amicizia, infatti, sosteneva con fervore
il boicottaggio arabo.
L’acme
in negativo delle relazioni di Israele con il Terzo Mondo fu raggiunto alla
Conferenza di Bandung nel 1955, a cui erano stati invitati tutti i Paesi
dell’Asia e dell’Africa, con l’eccezione dello Stato ebraico e del Sud Africa.
I partecipanti emisero una dichiarazione congiunta in cui esprimevano il loro
sostegno ai diritti degli arabi in Palestina, chiedendo, inoltre, l’attuazione
delle risoluzioni delle Nazioni Unite, in particolare quelle riguardanti i
confini e il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi.
Dal
1957 al 1973, l’Africa fu al centro della politica di Israele verso il Terzo
Mondo.
Nell’immediato
periodo post-coloniale, i rapporti tra Israele e i Paesi Africani erano
caratterizzati dall’altruismo dello Stato ebraico e dal suo tentativo di
interrompere il boicottaggio dei vicini arabi. Allo stesso tempo, l’Africa
accolse Israele perché entrambe le parti avevano condiviso una storia di lotte
anti- coloniali e, tra i Paesi sviluppati, lo Stato ebraico si era dimostrato
pronto ad estendere l’assistenza per lo sviluppo al continente africano.
Inoltre, particolarmente dopo la Shoah, la popolazione ebraica considerava
importante rafforzare le capacità delle persone svantaggiate per far fronte
alle abbondanti minacce presenti in un mondo volatile. A tal fine, durante
questa fase, Israele inviò in Africa degli esperti per lo sviluppo. Questo
sostegno umanitario si dispiegò nei settori dell’assistenza tecnica, delle
imprese, degli scambi, e dei programmi di formazione. Vi era anche una
confluenza di interessi nell’ambito della sicurezza che sostenne l’evoluzione
di queste relazioni; infatti, con la proliferazione di regimi militari nel
continente africano, Israele è stato un partner attraente per alcuni leader
africani, in base al suo know-how tecnico. Al culmine della cooperazione
nell’ambito della difesa, Israele era strumentale nella formazione del
personale militare, nella istituzione di organizzazioni paramilitari e nella
fornitura di armi agli alleati africani. Attraverso queste relazioni, Israele
predispose una politica estera finalizzata a contrastare il boicottaggio arabo.
Le
élite nazionaliste africane degli anni Cinquanta e Sessanta hanno veramente
ammirato Israele. Questo sentimento traeva origine da diversi paralleli
storici: l’esilio degli ebrei e la dispersione dei neri; i pogrom contro gli
ebrei e i linciaggi degli afroamericani; i ghetti ebraici e neri; la schiavitù
e la Shoah; il sionismo e il sionismo nero. Inoltre, il coinvolgimento attivo
degli ebrei in movimenti liberali, socialisti, antirazzisti, e anticolonialisti
in America e in Europa ha favorito l’avvicinamento tra ebrei e neri.
Soprattutto, i nazionalisti africani- -
Du Bois e Padmore, Nkrumah e Nyerere, Césaire e Senghor, Kenyatta e Mboya,
Banda e Tubman - credevano fermamente che i nemici degli ebrei fossero anche i
nemici dei neri. In altre parole, vi era una connessione tra l’antisemitismo e
il razzismo bianco.military regimes on
the continent, Israel was an attractive partner to some
Le
relazioni di Israele con il Ghana, la prima colonia dell’Africa subsahariana ad
ottenere l’indipendenza nel 1957, costituirono un punto di riferimento nei
rapporti dello Stato ebraico con l’Africa. Durante il governo di Kwame Nkrumah,
il Ghana indipendente sviluppò stretti legami con Israele in molteplici
settori: nell’addestramento militare, compresi i programmi di preparazione per
gli studenti delle scuole superiori, nel trasporto marittimo e aereo,
nell’agricoltura e nell’irrigazione. Le strette relazioni con Nkrumah aprirono
la strada all’instaurazione di legami con altri leader africani- Nyerere del
Tanganica, Kenyatta e Mboya del Kenia, Banda del Malawi, e Lumumba del Congo. Israele
riuscì anche a stabilire delle relazioni con l’Etiopia dell’imperatore Haile
Selassie e con i leader politici dell’Africa francofona, tra cui i primi furono
Sengor del Senegal e Houphouët-Boigny della Costa d’Avorio. Nei primi anni
Sessanta, al culmine delle sue relazioni con l’Africa, Israele aveva ottenuto
una serie di risultati positivi; tutti gli Stati indipendenti dell’Africa
sub-sahariana, con l’eccezione della Mauritania e della Somalia che facevano
parte della Lega Araba, avevano istituito dei rapporti diplomatici con lo Stato
ebraico, rifiutando in tal modo la posizione araba. Durante questo periodo,
Israele ebbe rapporti diplomatici con trentatré Paesi in Africa, ognuno dei
quali ospitava un’ambasciata israeliana. Ad eccezione degli Stati Uniti,
Israele aveva il maggior numero di sedi diplomatiche in Africa rispetto a
qualsiasi altro Paese. È interessante notare come lo Stato ebraico riuscisse a
mantenere dei rapporti con i Paesi musulmani del Sahel, un gruppo di Stati
africani che avrebbe formato l’avanguardia della lotta diplomatica di Israele
alle Nazioni Unite nel 1960 per giungere a negoziati diretti con gli Stati
arabi.
L’importanza dell’Africa nelle relazioni
internazionali israeliane si è anche manifestata nell’atteggiamento di
Gerusalemme verso il Sud Africa dell’apartheid. Per anni, vi fu una
controversia presso il Ministero degli Esteri israeliano tra gli aderenti alla
realpolitik, che chiedevano il mantenimento delle relazioni con il Sud Africa,
anche se erano suscettibili di mettere in pericolo i legami con gli Stati
dell’Africa Sub-sahariana, e gli “africanisti” che si opponevano alla conservazione
di rapporti cordiali con il regime dell’apartheid. Durante gli anni Sessanta,
gli “africanisti” presero il sopravvento: in questo periodo non vi era
un’ambasciata israeliana a Pretoria, né un’ambasciata sudafricana a Tel Aviv, e
Israele votò regolarmente contro la politica razzista del Sud Africa in sede
ONU.
Nonostante
i positivi rapporti instaurati nel continente africano, la Guerra del Kippur
del 1973 generò una completa inversione nei rapporti Israele-Africa. Anche se
nel periodo tra il marzo del 1972 e il settembre del 1973 erano già avvertibili
i primi segnali di erosione quando sette nazioni africane interruppero le loro
relazioni con Gerusalemme, il vero sconvolgimento divenne evidente durante la
guerra e nel periodo immediatamente successivo. Dall’ottobre al novembre del
1973, non meno di 21 Stati ruppero le relazioni diplomatiche con Israele come
prova di solidarietà con l’Egitto, la “sorella africana” e in segno di protesta
per l’attraversamento del canale di Suez e la penetrazione nel continente africano
dell’esercito israeliano.
Alla
fine del 1973, soltanto i rapporti con lo Swaziland, il Malawi, Lesotho, e le
Mauritius, che interruppe le relazioni nel 1976, erano ancora intatti.
La
rottura dei rapporti con gli Stati africani determinò un completo cambiamento
nei rapporti tra Israele e il Sud Africa, ponendo gli alfieri della realpolitik
all’interno del Ministero degli Esteri in una posizione privilegiata. Nel 1974,
Israele e Sud Africa aprirono le ambasciate di Pretoria e Tel Aviv; il Primo
Ministro sudafricano fu invitato in Israele, e i due Paesi migliorarono le loro
relazioni in ambito economico e della sicurezza.
Nonostante
l’allontanamento ufficiale, molti Stati africani continuarono a mantenere
relazioni commerciali ed economiche con Israele. Infatti, l’attività
commerciale con Paesi come la Nigeria, l’Angola, il Camerun, e lo Zaire crebbe
in modo significativo, inoltre, Israele seguitò a conservare “uffici
d’interesse” in Ghana, Costa d’Avorio, e Kenya.
Dopo
il crollo delle relazioni con l’Africa nel 1973 e il ricorrente fallimento di
stabilire delle relazioni più strette con i giganti asiatici India e Cina,
Israele concentrò la sua attenzione verso l’America Latina.
Dato
il deterioramento dei rapporti asiatici e africani, Israele fu ostracizzato
dall’intero Terzo Mondo, e la sua legittimità internazionale ebbe un forte
ridimensionamento.
Negli
anni Settanta, la maggior parte dei Governi in America Latina erano regimi
militari; Israele collaborò con molti di questi Governi in materia di sicurezza
e esportazione di armi. La vendita di armi alla dittatura militare argentina
suscitò aspre critiche. Ciò nonostante, Israele proseguì la fornitura di armi al
regime, anche durante la guerra esplosa tra Gran Bretagna e Argentina quando quest’ultima
invase le isole Falkland nel 1982.
Allo
stesso tempo, i legami tra Israele e America Latina che ruotavano intorno agli
aiuti internazionali e alle relazioni culturali erano in costante diminuzione. Malgrado
le energie investite in America Latina, i risultati raggiunti dallo Stato
ebraico sarebbero stati molto effimeri; infatti, Messico e Brasile votarono a
favore nel 1975 della risoluzione dell’Assemblea delle Nazioni Unite che
equiparava il sionismo al razzismo. In seguito, dopo la decisione della Knesset
di annettere Gerusalemme Est nel 1981, le ambasciate latino-americane
lasciavano Gerusalemme per spostarsi a Tel Aviv.
La
risoluzione delle Nazioni Unite che equiparava il sionismo al razzismo
preannunciava ciò che Israele poteva aspettarsi dal peggioramento della sua
posizione nel Terzo Mondo. In ogni caso, nel 1980 Israele conservava relazioni
con la maggior parte dei Paesi dell’America Latina, ad eccezione di Cuba, della
Guyana, e del Nicaragua, cominciando, allo stesso tempo, a ricucire i rapporti
con l’Africa, ripristinando i legami con lo Zaire, la Liberia, la Repubblica
Centroafricana, il Togo, il Camerun, la Costa d’Avorio, il Kenya, e l’Etiopia.
Il
rinnovato rapporto degli Stati africani con Israele era imputabile
principalmente alla politica aggressiva adottata dalla Libia di Gheddafi, che
non aveva nascosto le sue mire territoriali e politiche sulla regione del Sahel
e sull’Africa occidentale. Inoltre, vi era molta insoddisfazione per la mancata
attuazione delle promesse di aiuto della Libia e preoccupazione da parte degli
Stati cristiani per il crescere del fondamentalismo islamico sulla scia della
rivoluzione iraniana del 1979. L’Accordo di pace tra Egitto e Israele del 1979 contribuì
al riavvicinamento, in quanto non vi era più alcun bisogno di mostrare
solidarietà alla “sorella egiziana”. Arye Oded e Naomi Chazan hanno attribuito
il ripristino parziale dei legami a due membri del Ministero degli Esteri
israeliano- il direttore generale, David Kimche, e il direttore della Divisione
Africana, Avi Primor- che consideravano estremamente importanti i rapporti con
l’Africa e lavorarono per ricucirli.
Gli
anni Ottanta furono testimoni di un miglioramento della posizione di Israele in
Asia. Una delle manifestazioni di questo cambiamento fu l’istituzione di legami
economici con il Giappone, nonostante il boicottaggio arabo. Allo stesso tempo,
lo Stato ebraico sviluppò rapporti con la Cina, esportando armamenti destinati
all’esercito cinese. La Cina continuò, tuttavia, ad essere un importante
fornitore di armi agli Stati arabi per tutti gli anni Ottanta. I rapporti
informali con la Cina furono dunque rafforzati, specialmente dopo l’apertura di
un consolato israeliano ad Hong Kong nel 1983.
Gli
Stati dell’Asia con i quali Israele mantenne delle relazioni diplomatiche per
tutti gli anni Ottanta furono il Giappone, la Corea del Sud, le Filippine, la
Tailandia, Singapore, la Birmania, e il Nepal.
Durante
gli anni Novanta, vi fu un notevole miglioramento delle relazioni di Israele
con l’Asia e l’Africa: lo Stato ebraico, infine, stabilì piene relazioni diplomatiche
con la Cina e l’India, inaugurò rapporti con la Mongolia, con il Vietnam unito,
con la Cambogia, il Laos, la Corea del Sud, e il Sri Lanka. Inoltre, furono avviati
dei rapporti con quattordici Stati dell’Oceano Pacifico, tra cui Papua e le
Isole Fiji. Gli unici Stati con cui Israele non aveva rapporti diretti
all’inizio del ventunesimo secolo erano i Paesi arabi, ad eccezione della
Giordania, Paesi musulmani non arabi, tra cui Pakistan, Bangladesh, Indonesia,
Malesia, Brunei, Maldive, e la comunista Corea del Nord.
Il
motivo principale per l’inversione di tendenza nei rapporti tra Israele e Asia
è stato il crollo del blocco sovietico, che aveva fatto pressioni contro lo
Stato ebraico in tutto il Terzo Mondo. Il mondo bipolare in cui i Paesi del Terzo
Mondo potevano mettere l’uno contro l’altro Occidente e Oriente era finito,
ormai relegato ai libri di storia. Di conseguenza, la posizione del Terzo Mondo
come blocco unitario di Stati si era indebolita progressivamente dal 1990, e
alcuni osservatori giunsero alla conclusione di poterne predire anche la fine.
Moshe Yegar ha notato come il crollo del blocco sovietico avesse generato una
nuova situazione, in cui la comunità internazionale non aveva più bisogno di
aderire con fervore ai rituali del Terzo Mondo, tra i quali l’ostracismo di
Israele e la sua condanna.
Secondo
Yitzhak Shelef, proprio come nella “teoria del domino”, la Cina era stata
responsabile per la rottura delle relazioni afro-israeliane dopo la guerra
dello Yom Kippur, così la sua decisione di istituire piene relazioni
diplomatiche con lo Stato ebraico spinsero l’India a seguire le orme di
Pechino. La decisione dei due giganti asiatici rese più facile lo stesso passo
per il Vietnam, la Cambogia, il Laos, e la Mongolia.
L’avvio
delle relazioni con l’India fu davvero una svolta per la posizione di Israele
in Asia. Insieme con il crollo dell’Unione Sovietica, i negoziati tra Israele e
OLP nel 1991 a Madrid e i conseguenti Accordi di Oslo nel 1993 rimossero i
timori dell’India di una reazione ostile da parte del mondo arabo e della
consistente minoranza musulmana all’interno dei suoi confini. La perdita del
supporto di Mosca e il successivo smembramento dell’Unione Sovietica
aumentarono l’importanza delle relazioni dell’India con gli Stati Uniti, così
come con la sua comunità ebraica, e senza subbio influenzarono la decisione di
Delhi di porre fine ad un periodo di oltre quarant’anni durante il quale i
rapporti con Israele non erano stati normalizzati ed erano rimasti limitati.
Con l’avvio di relazioni normalizzate, rapporti globali evolvettero rapidamente
nei campi della sicurezza, dell’agricoltura, della medicina, della cultura,
della scienza, e dell’aviazione.
Un
altro importante punto di riferimento nella trasformazione della posizione di
Israele in Asia fu l’instaurazione di rapporti con la Cina comunista nel 1992.
Questi legami si erano sviluppati lentamente dopo la morte di Mao Zedong nel
1976. Tre anni dopo la morte del Presidente, la Cina avviò i primi contatti con
le industrie militari israeliane. Altri passi significativi lungo la strada per
relazioni diplomatiche piene furono l’apertura di un consolato israeliano ad
Hong Kong, la vendita di armi alla Cina durante gli anni Ottanta, e l’apertura
di un “ufficio di collegamento accademico” israeliano. Come nel caso indiano,
l’intensificarsi dei rapporti tra Washington e Pechino risultò essere un
elemento chiave, tale da permettere agli Stati Uniti e agli ebrei americani di
esercitare la loro influenza sulla Cina. Con la creazione di relazioni
diplomatiche con la Cina comunista, Israele si impegnò ad astenersi da
qualsiasi rapporto ufficiale con la Repubblica Nazionalista Cinese, Taiwan, e
con il Governo in esilio del Dalai Lama. Inoltre, Israele e Cina formarono
numerose joint venture nei settori della sicurezza, del commercio,
dell’agricoltura, della scienza e della medicina. Le visite in Cina del
Presidente Herzog nel 1992 e del Primo Ministro Netanyahu nel 1998, e le
corrispondenti visite di alti rappresentanti del Governo cinese in Israele
testimoniarono il rapporto nascente tra le due Nazioni.
Le
relazioni con la terza potenza asiatica, il Giappone, migliorarono
marcatamente, in particolare per quanto riguardava il commercio bilaterale, nel
corso degli anni Novanta, sulla scia del boicottaggio economico arabo. Rapporti
che erano stati rigidi in passato, divennero sempre più aperti e cordiali.
Le
relazioni afro-israeliane si innovarono durante gli anni Novanta. Diciotto
Paesi ristabilirono i loro legami con lo Stato ebraico e altri undici avviarono
dei rapporti con Israele per la prima volta.
La
conservazione di relazioni diplomatiche con il Sud Africa, dopo il passaggio
dei poteri alla maggioranza nera della popolazione nel 1994, fu un ottimo
risultato per la diplomazia israeliana. Date le strette relazioni, in
particolare la forte cooperazione militare, tra Israele e il regime
dell’apartheid negli anni Settanta e Ottanta, era ipotizzabile che il nuovo Sud
Africa rompesse le relazioni con Israele. Ciò non è avvenuto poiché Gerusalemme
aveva sempre rispettato il quadro di sanzioni internazionali contro il Sud
Africa nel 1987 e perché il Governo israeliano aveva avuto l’accortezza di
stringere dei legami con i leader della maggioranza nera prima del
trasferimento dei poteri, tramite organizzazioni non governative, come
l’Histadrut, il più importante sindacato dei lavoratori in Israele. Inoltre,
nella misura in cui Nelson Mandela e i suoi colleghi erano interessati, gli
Accordi di Oslo del 1993 erano un segno del cambiamento in atto in Israele.
Come in Asia, il rinnovarsi delle relazioni
con i Paesi africani derivava principalmente dal collasso del blocco sovietico
e della fine della Guerra Fredda. L’Unione Sovietica e i suoi stati vassalli
avevano cessato di sostenere Paesi come Angola, Guinea-Bissau, Madagascar,
Congo, Namibia, Zimbabwe, e Tanzania, e gli Stati filo occidentali, come
Nigeria, Repubblica del Botswana, Senegal e Gabon, non erano più frenati dalla
possibile reazione estremista esterna o interna. Inoltre, il cambiamento nella
politica di Israele nei confronti di Pretoria nel 1987 e la successiva morte
del regime dell’apartheid rimossero l’ostacolo rappresentato dal Sud Africa
nelle relazioni afro-israeliane. La Conferenza di Madrid del 1991, gli Accordi
di Oslo del 1993, e il Trattato di pace con la Giordania del 1994 convinsero
anche gli Stati più esitanti che era giunto il momento di ristabilire le relazioni
con Israele.
Verso
la metà degli anni Novanta, Israele aveva rapporti diplomatici con quarantadue
dei quarantacinque Stati sub-sahariani, ma la qualità di questi rapporti non
era paragonabile a quella degli anni Sessanta. Alla luce dei problemi economici
e politici del continente africano, e alla luce del rinnovamento dei legami con
la Russia e l’Europa Orientale e dell’avvio di relazioni con l’India e la Cina,
e con una miriade di nuovi Stati indipendenti, gli Stati baltici, l’Ucraina, e
le Repubbliche dell’Asia centrale, Israele non pose al centro della sua
attività diplomatica l’Africa. Dal 1990, Gerusalemme limitò a undici le
ambasciate in Africa, in contrasto con i trentatré del 1960. Ognuna delle undici
ambasciate si occupava di diversi Stati della Regione; per esempio,
l’ambasciatore residente in Kenya era anche responsabile dell’Uganda, della
Tanzania, delle Comore, e dello Zambia, mentre il rappresentante in Sud Africa
sovraintendeva agli interessi di Israele anche in Swaziland, Lesotho, Botswana,
Zimbabwe e Malawi. A loro volta, gli Stati africani avevano soltanto dodici
ambasciate in Israele.
La
maggior parte delle relazioni tra Israele e Africa coinvolgevano ambiti molto
“pratici”, soprattutto nel settore delle imprese private. Uomini d’affari
israeliani- molti dei quali ex ufficiali dell’esercito- erano attivi in Stati come
il Kenya, il Camerun, la Repubblica Democratica del Congo, la Nigeria, la
Liberia, il Ruanda e la Sierra Leone. Il Dipartimento per la Cooperazione
Internazionale del Ministero degli Esteri Israeliano (MASHAV) forniva
assistenza nei settori dell’irrigazione, della medicina, dell’agricoltura, e
della cooperazione economica, ma la sfera d’azione era molto modesta. Per
esempio, dei 19 esperti israeliani con un contratto di lavoro a tempo
indeterminato e dei 214 con contratto a tempo determinato, solo 5 e 24,
rispettivamente, erano di stanza in Africa. In altre parole, solo il 10% delle
attività del MASHAV erano in corso in Africa negli anni Duemila. Infine, la
chiusura dei dipartimenti di studi africani presso l’Università ebraica nel
2001 e l’Università di Tel Aviv nel 2006 era indicativa delle priorità di
Israele.
Le
relazioni di Israele con il Terzo Mondo sono sempre state molteplici. Come
regola generale, i rapporti bilaterali tra Israele e i singoli Stati erano
migliori rispetto a quelli multilaterali. A seguito della conferenza di Bandung
nel 1955, la posizione di Israele nelle organizzazioni internazionali del Terzo
Mondo era precaria, come testimoniano le dichiarazioni e le politiche dei
seguenti organismi: il blocco arabo-africano di Casablanca durante i primi anni
Sessanta; l’Organizzazione per la solidarietà dei popoli afro-asiatici; il
movimento dei Paesi non allineati; l’Organizzazione Tricontinentale; il gruppo
77; l’Organizzazione dell’Unità Africana tra il 1967 e il 2002 e il suo
successore, l’Unione Africana; e, naturalmente, l’Organizzazione della
Conferenza Islamica. Le eccezioni includevano alcune organizzazioni africane
nel periodo 1958-1967, come ad esempio la Conferenza degli Stati Africani
indipendenti e l’Organizzazione dell’Unione Africana nei suoi primi anni di
attività. I problemi di Israele nei contesti multilaterali di un certo numero
di Paesi del Terzo Mondo derivano dalla preponderanza dei membri arabi; per
esempio, la Lega Araba comprendeva circa un quinto di tutti i Paesi del Terzo
Mondo, e la loro influenza politica, militare ed economica era notevole. In
molte occasioni, tuttavia, i Paesi che si erano schierati, avevano votato e
agito contro Israele nelle Organizzazioni internazionali del Terzo Mondo erano
contemporaneamente in buoni rapporti con lo Stato ebraico da un punto di vista
bilaterale. Allo stesso tempo, le azioni dei Paesi del Terzo Mondo nelle
Organizzazioni universali, quali l’ONU, l’UNESCO e L’Organizzazione
Internazionale del Lavoro, erano note per essere in contraddizione con le
intese raggiunte bilateralmente con Israele. Secondo Arye Oded, sussisteva
ancora una evidente disparità tra la posizione ostile adottata dagli Stati
africani nelle Nazioni Unite e le relazioni bilaterali più amichevoli con
Israele anche dopo la grande distensione nei rapporti afro-israeliani negli
anni Novanta.
Si
può affermare che l’atteggiamento pubblico nei confronti di Israele era spesso
solo un pretesto per i veri rapporti, tenuti generalmente celati. Stati che
hanno avuto strette relazioni militari, politiche ed economiche con Israele
hanno spesso usato una retorica pubblica anti-israeliana per placare il mondo
arabo: fino al 1978 l’Iran ha mantenuto dei rapporti segreti con lo Stato
ebraico nell’ambito militare, dell’intelligence, della politica e
dell’economia, compresa la fornitura del petrolio, ma ufficialmente erano
evitate delle relazioni diplomatiche effettive. Cina e India hanno mantenuto
rapporti con Israele nel campo della sicurezza e dell’approvvigionamento
militare, molto tempo prima di accettare di trasformare queste relazioni in
rapporti ufficiali. Singapore ha mantenuto in ombra la sua stretta
collaborazione militare e logistica con lo Stato ebraico a causa del timore di
una reazione bellicosa dei suoi vicini musulmani, Indonesia e Malesia;
certamente lo stesso vale per la Turchia. Allo stesso modo, una stretta
collaborazione con molti Stati africani, tra cui Uganda, Etiopia, Kenya,
Nigeria, e Ciad, è stata nascosta agli occhi dell’opinione pubblica per molti
anni.
Lo
studioso indiano P. R. Kumaraswamy ha analizzato l’esistenza di rapporti
segreti anche tra Israele e il Pakistan, considerato uno Stato pro-arabo per
eccellenza. Nella sua valutazione, tali contatti avvennero durante il Governo
di Ayub Khan (1958-1969), di Yahya Khan (1969-1971), e di Zia-ul-Haq
(1977-1988), così come durante la premiership di Zulfikar Ali Bhutto
(1972-1977), di Benazir Bhutto (1994-1996 e 1988-1990), e di Nawaz Sharif
(1990-1993 e 1997-1999). Inoltre, Kumaraswamy afferma che il Ministro degli
Esteri Zafrullah Khan (1947-1954) mantenne dei rapporti con Gerusalemme ed
esisteva un ufficio informale di interesse israeliano in Pakistan durante gli
anni Ottanta.
Secondo
Kumaraswamy, la situazione unica di Israele ha dato luogo a diversi modelli di
relazioni pubbliche e clandestine, tra cui i seguenti: il riconoscimento
ufficiale, nascondendo la vera natura delle relazioni, l’Iran durante il
periodo dello Shah; legami segreti senza il riconoscimento ufficiale, la
Giordania prima del 1994; relazioni militari in assenza di legami politici, la
Cina prima del 1992.
L’immagine
di Israele nel Terzo Mondo è stata sovrastimata rispetto alla sua effettiva estensione,
forza e influenza globale. Chaim Weizmann, primo Presidente di Israele, aveva
consigliato ai suoi ambasciatori di evitare di rendere pubbliche le vere
dimensioni del territorio del Paese e della sua popolazione. In tal senso, la
diplomazia israeliana è riuscita oltre le aspettative. Negli anni Sessanta,
Israele era percepito in Africa come una potenza di medie dimensioni, alla pari
di Francia, Gran Bretagna, Germania Occidentale e Cina. Molti Stati si sono
formati un’immagine di Israele alimentata anche da un latente antisemitismo,
facendo diretto riferimento al tema cardine dell’antiebraismo, il “giudaismo
internazionale”; ciò è stato notato soprattutto in riferimento al rapporto con
il Congresso americano e con la Casa Bianca. Per esempio, un anziano Ministro
giapponese disse al Primo Ministro israeliano Yitzhak Shamir che Israele aveva
accesso illimitato ad ogni luogo e un’influenza senza limiti, che il Primo
Ministro aveva un potere enorme e gli Stati Uniti in tasca. Israele ha
esercitato una diplomazia di presenza ben oltre la sua dimensione e la sua
importanza; infatti, vi sono stati anni in cui questo Paese sottostimato aveva
la seconda più grande presenza diplomatica in Africa e in America Latina.
Di
quale natura e profondità sono state le relazioni di Israele con i Paesi del
Terzo Mondo? In generale, possiamo individuare tre variabili: in primo luogo,
la situazione politica, demografica ed economica interna di ciascuno Stato;
secondo, lo status quo globale, in particolare il livello di attrito tra i
principali blocchi, l’emergere del Terzo Mondo come blocco politico, e la
posizione del Mondo arabo; e terzo, le politiche di Israele, e non ultimo la
sua immagine nel Terzo Mondo.
Un
fattore interno importante è la religione. Anche dopo gli Accordi di pace con
l’Egitto e la Giordania e il processo di Oslo, Israele non è riuscito a
stringere dei rapporti con i Paesi musulmani in Asia (Pakistan, Afghanistan,
Malesia, Bangladesh, Brunei, Indonesia e le Isole Maldive). Questo
irrigidimento era frutto delle preoccupazioni di questi Paesi nei riguardi
dell’islam radicale e del fatto che Israele non era ancora veramente in pace
con il mondo arabo. Allo stesso modo, la resistenza ostinata dell’India nel non
volere normalizzare le relazioni con lo Stato ebraico derivava dal timore per
le reazioni del mondo arabo e della consistente minoranza musulmana presente
nel Paese. In ogni caso, rapporti ufficiali tra i due Paesi sono stati
stabiliti nel 1992 e rafforzati a seguito dell’ascesa al Governo del Partito Bharatiya
Janata. In contrasto con il Partito del Congresso di Nehru e dei suoi
successori, che considerava l’India uno Stato laico, il BJP è un Partito indù
ostile all’islam, che tende a sottolineare le differenze religiose tra l’India
e i suoi vicini musulmani, Pakistan e Bangladesh. Di conseguenza, il BJP ha
identificato gli interessi religiosi e nazionali dell’India con Israele.
Gli
stretti rapporti tra Israele e Singapore derivavano in gran parte dalla
percezione della sua leadership che entrambi i Paesi fossero circondati da
Stati musulmani ostili, in particolare il secondo ha sempre temuto di essere
inglobato dalle musulmane Malesia e Indonesia.
Come
era prevedibile, i rapporti di Israele in Asia sono stati più semplici in Paesi
a maggioranza cristiana (Filippine), buddista (Birmania, Tailandia e Sri Lanka),
o indù (India). Tuttavia, è opportuno rammentare che India, Sri Lanka e
Tailandia devono tenere conto della sensibilità delle loro minoranze musulmane,
fatto che ha avuto un suo peso nelle relazioni con Israele.
L’Africa
detiene diverse forme della “variabile islamica” che possono incidere sui
rapporti con Israele. Mentre negli anni Sessanta Israele era riuscito a creare
legami con Paesi a maggioranza musulmana (come il Niger, il Mali e il Senegal)
o in parte musulmani (ad esempio, la Nigeria e il Ciad), vi sono elementi
musulmani che lavorano contro Israele in parecchi Stati. Nel corso degli ultimi
decenni, la fede musulmana si è progressivamente politicizzata in tutto il
continente africano, e i primi Stati a tagliare i legami con Israele, anche
prima della Guerra dello Yom Kippur, erano in gran parte (Guinea, Niger e Mali)
o parzialmente (Ciad) musulmani. Al contrario, i primi Stati a rinnovare le
relazioni con lo Stato ebraico negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta
erano guidati principalmente da leader di fede cristiana (con l’eccezione della
Nigeria sotto il Presidente Ibrahim Babangida).
Come
in Asia, l’ostilità verso l’Islam poteva giocare a vantaggio di Israele.
Durante il regno cristiano di Haile Selassie, e in qualche misura anche durante
il Governo dei suoi successori rivoluzionari, l’Etiopia si sentiva accerchiata
da nemici musulmani, sia all’interno sia all’esterno, quindi, ha cercato di
costruire un rapporto stretto con Gerusalemme. La disintegrazione delle
relazioni di Israele con l’Uganda è avvenuta durante il governo di un
musulmano, Idi Amin, mentre le prospettive di ristabilire i legami con il
Camerun si sono presentate quando il Presidente musulmano, Ahmadou Ahidjo, è
stata sostituito dal cristiano Paul Biya. Analogamente, il Presidente cristiano
dello Zambia, Frederick Chiluba, che aveva dichiarato il suo Paese uno Stato
cristiano, sospettando che elementi islamici fossero coinvolti in attività
sovversive, faceva chiudere le ambasciate irachene e iraniane, e instaurava
legami più stretti con lo Stato ebraico. In tutto il continente africano,
Israele ha avuto maggior successo nel forgiare dei forti rapporti con i Paesi
cristiani (o quelli con una maggioranza o un Governo cristiano), come ad
esempio il Malawi, la Repubblica Democratica del Congo, il Ghana, la Liberia,
Swaziland e Lesotho, che con gli Stati musulmani.
Tuttavia,
è importante ribadire che l’islam in Asia e in Africa non costituisce un
ostacolo insormontabile, come dimostrano i seguenti esempi: le relazioni di
Israele con la Turchia dopo la fondazione dello Stato ebraico; l’Iran durante
il periodo dello Shah; i Paesi del Sahel africano prima della guerra dello Yom
Kippur; e gli Stati musulmani africani dopo il 1990 (così come le relazioni di
Israele con l’Egitto e la Giordania).
I
rapporti con Israele si connettono anche alla natura del regime politico del
Paese. Le relazioni con i regimi marxisti e comunisti nei tre continenti
meridionali sono state disastrose. La Cina comunista era ostile ad Israele dopo
che quest’ultimo aveva rifiutato di stabilire relazioni diplomatiche con
Pechino nei primi anni Cinquanta. Negli anni Sessanta, la Cina ha guidato un
corso politico radicale anti-israeliano, arrivando anche alla concessione del
riconoscimento e dell’assistenza alle organizzazioni terroristiche arabe.
Tuttavia, verso la metà degli anni Ottanta, vi sono stati dei segnali di
disgelo nelle relazioni sino-israeliane; questo processo sarebbe poi culminato
nell’istituzione di relazioni diplomatiche nel 1992. Non è certo una
coincidenza che questo cambiamento sia avvenuto parallelamente a scelte economiche
e politiche più orientate verso il mercato.
Al
contrario, Israele non ha avuto relazioni con altri Stati comunisti dell’Asia,
come Mongolia, Corea del Nord e Vietnam del Nord. La Mongolia ha stabilito
rapporti diplomatici con Israele nel 1991, dopo l’apertura verso l’Occidente.
Le relazioni di Israele con il Vietnam unificato sono state stabilite nel 1993,
quando Hanoi era nel mezzo di un processo di avvicinamento al capitalismo in
economia e di apertura all’Occidente in politica. Durante i primi due decenni e
mezzo della sua esistenza, Israele mantenne relazioni diplomatiche con Laos,
Cambogia, e Vietnam del Sud, ma questi rapporti si interruppero quando questi
Stati caddero sotto un regime comunista nel corso degli anni Settanta.
Gli
Stati rivoluzionari dell’America Latina hanno rotto le relazioni diplomatiche
con Israele negli anni Settanta. I regimi comunisti africani, Angola,
Mozambico, e Guinea-Bissau non hanno avuto relazioni con Israele fino alla
caduta del blocco sovietico. La posizione di Israele nell’Etiopia marxista
peggiorò progressivamente, ma le relazioni furono rinnovate nel 1989.
Fino
al 1967, Israele ha mantenuto rapporti cordiali con Paesi socialisti, come il
Ghana, il Mali, la Guinea, la Tanzania, l’Uganda, e la Guyana, tra gli altri,
che consideravano lo Stato ebraico uno Stato socialista e un modello per il
loro sviluppo. Durante questo periodo, Israele ha anche mantenuto relazioni
amichevoli con Stati socialdemocratici (Birmania nel 1950, il Nepal sotto Koirala,
Singapore, la Repubblica malgascia negli anni Sessanta, il Senegal fino al
1973, e il Costa Rica), con Paesi liberali (l’Argentina sotto Alfonsin e il Sri
Lanka di Jayewardene), e conservatori (Kenya, Malawi, Costa d'Avorio, Tailandia,
e Giappone). In America Latina, Edy Kaufman ha osservato una correlazione
positiva tra l’estensione della democrazia in un Paese e la forza della sua
relazione con Israele.
Il
quadro complessivo delle relazioni internazionali di Israele che emerge è
abbastanza chiaro: i regimi di estrema sinistra solitamente non hanno stabilito
legami con Israele; regimi orientati verso il comunismo senza aderirvi
completamente offrivano un qualche possibilità di relazioni; una svolta verso
destra da parte di un regime radicale offriva la possibilità di un miglioramento
dei rapporti. In pratica, Israele ha mantenuto rapporti, con vari gradi di
vicinanza, con una vasta gamma di regimi politici, dall’estrema destra alla
sinistra moderata. Le relazioni con Stati retti da Governi di estrema sinistra (Cuba
dal 1960 al 1973 e Etiopia dal 1989 al 1991) sono state delle anomalie.
Insieme
con le caratteristiche politiche di uno Stato, la personalità del leader può
costituire un fattore significativo nei rapporti con Israele. I regimi del
Terzo Mondo hanno sempre teso ad essere molto personalistici, pertanto i legami
di un Paese con Israele possono derivare dalla sua conoscenza degli ebrei, da
una visita in Israele, dalle sue credenze religiose, o dal supporto che lui ha
ricevuto in un momento di bisogno dallo Stato ebraico. Per esempio, Haile Selassie (Etiopia), U Nu
(Burma), Houphouët-Boigny (Costa d’Avorio), Senghor (Senegal), Kenyatta
(Kenya), Tubman (Liberia), Mobutu (Zaire), Macapagal (Filippine), e Chiluba
(Zambia) erano tutti fermamente pro-Israele.
La
storia di una Nazione, di uno Stato o di una Regione può avere un impatto
sull’atteggiamento del Governo nei confronti di Israele. Ad esempio, l’Asia è
priva di qualsiasi connessione religiosa o culturale con il popolo ebraico. Il
“collegamento cristiano”, per mezzo della Bibbia, esiste soltanto nelle
Filippine. Questo spiega, dunque, perché lo Stato ebraico abbia avuto così
tante difficoltà nel penetrare nel continente asiatico, dove una metà dei Paesi
è controllata dai musulmani che possiedono sentimenti antagonistici nei
confronti dell’ebraismo e l’altra metà è dominata da culture asiatiche prive di
qualsiasi “collegamento ebraico”.
La
situazione è diversa in America Latina, che segue più o meno la tradizione
cristiana europea. Di conseguenza, molti latino-americani considerano
l’ebraismo parte di una sola cultura giudaico-cristiana, e la “terra della
Bibbia” e “la gente del Libro” sono difficilmente estranei al cattolicesimo
latino-americano.
Le
richieste speciali di assistenza da parte del Terzo Mondo hanno lasciato il
loro segno, nel bene e nel male, sulle relazioni con Israele. L’apprensione
causata dalle aspirazioni egemoniche del leader egiziano Nasser negli anni
Cinquanta e Sessanta hanno dato luogo a rapporti particolari tra lo Stato
ebraico e i seguenti Paesi: Etiopia, Uganda, Tanzania, Ghana, Kenya, Ciad,
Costa d’Avorio, e Liberia. Allo stesso modo, le necessità di supporto
nell’ambito militare e dell’intelligence contro Muammar Gheddafi hanno spinto
il Camerun, il Togo, la Liberia, il Ciad e la Costa d’Avorio ad entrare in
contatto con Israele negli anni Ottanta. D’altra parte, la Libia e l’Arabia
Saudita hanno utilizzato “l’arma” dell’assistenza finanziaria per convincere i
Paesi con esigenze economiche urgenti, come ad esempio l’Uganda, il Ciad, il
Niger, e il Burundi, a recidere tutti i legami con lo Stato ebraico nel biennio
1972-1973.
La
presenza di comunità ebraiche e arabe può avere un impatto sulle relazioni di
un Paese con Israele. Non è un caso che gli Stati latino-americani, con le loro
benestanti e ben organizzate comunità ebraiche (Argentina, Brasile, Cile e
Messico), siano generalmente amichevoli nei confronti di Israele, ma il marchio
della Diaspora può essere avvertito anche in Paesi in cui la popolazione
ebraica è una minoranza esigua (ad esempio Panama e Guatemala). Tuttavia, il
“fattore ebraico” non dovrebbe essere né trascurato, né enfatizzato; infatti,
la presenza di una forte comunità ebraica non ha potuto evitare il
deterioramento delle relazioni tra il Venezuela di Hugo Chavez e Israele, che
nel 2009 ha portato all’espulsione dell’ambasciatore israeliano, a causa del
feroce antiamericanismo e dell’alleanza con l’Iran.
Ulteriori
prove della correlazione tra il destino degli ebrei di un Paese e le sue
relazioni con lo Stato ebraico possono essere tratte da quegli Stati marxisti,
come Cuba e il Nicaragua sandinista, in cui le comunità ebraiche hanno cessato
di esistere dopo che i Governi avevano interrotto le relazioni con Israele. È
interessante notare come singoli ebrei abbiano, a volte, influenzato le
relazioni di un Paese con Israele; Reuven Merhav ha studiato il contributo di
singoli ebrei alla creazione di relazioni in India, Filippine e Hong Kong.
Anche
se l’Africa non ha grandi comunità ebraiche, diverse piccole comunità e singoli
ebrei hanno occasionalmente giocato un ruolo importante nel coltivare le
relazioni di Israele con i leader africani, come nel caso dell’Etiopia, dello
Zaire, del Ghana, del Tanzania e del Kenya. Per esempio, Yisrael Suman, uomo
d’affari ebreo e sindaco di Nairobi, ha introdotto i leader israeliani presso
le autorità in Kenya e Uganda, prima dell’indipendenza del Kenya.
Sia
l’America Latina sia l’Africa ospitano delle consistenti minoranze arabe, che
in alcuni casi possono rappresentare un ostacolo per Israele. Al contrario, ci
sono arabi che hanno raggiunto un grado talmente alto di assimilazione nei loro
Paesi di adozione per cui la loro origine non rappresenta più un impedimento
per quanto concerne i rapporti con Israele. Per esempio, le origini siriane del
Presidente argentino Carlos Menem non hanno impedito che i due Paesi
mantenessero buoni rapporti durante la sua permanenza in carica.
La
situazione africana è più complicata, infatti, in alcuni casi, le minoranze
arabe sono disprezzate dalle masse africane e dai Governi, non costituendo,
quindi, una “risorsa politica” per il mondo arabo. La comunità siro-libanese in
Ghana, Costa d’Avorio e Sierra Leone, che ha avuto un importante ruolo
nell’oligarchia araba dello Zanzibar prerivoluzionario, testimonia quanto il
contesto risulti complicato, poiché l’ostilità verso gli arabi locali può
tradursi in amicizia verso lo Stato ebraico.
Fattori internazionali hanno
concorso a modellare le relazioni di Israele con il Terzo Mondo. Durante la
Guerra fredda, gli Stati che erano vicini all’Occidente e agli Stati Uniti in
particolare (ad esempio Argentina, Brasile, Costa Rica, Filippine, Tailandia,
Singapore, Costa d’Avorio, e Kenya) tendevano ad avere rapporti cordiali con lo
Stato ebraico, mentre gli Stati vicini all’Unione Sovietica (per esempio, Cuba,
il Nicaragua sandinista, l’Angola, il Mozambico, il Vietnam e la Corea del
Nord) erano chiaramente ostili. Infine, i Paesi neutrali (ad esempio l’India,
la Tanzania di Nyerere, la Birmania sotto Ne Win, la Cambogia durante i giorni
di Sihanouk, e il Mali durante il mandato di Keita) erano ambivalenti.
Un altro fattore internazionale
che pesa sulle relazioni con Israele è la natura e la profondità dei legami di
un Paese con il Mondo arabo. Un’alleanza militare con uno Stato arabo (Turchia,
Iran e Pakistan durante il periodo del Patto di Baghdad), la forte dipendenza
dal petrolio (Giappone), il supporto in un conflitto regionale (India e Taiwan
rispettivamente con il Pakistan e la Cina comunista), e la fedeltà a Nasser
nella sua veste di leader del blocco dei Paesi non allineati (India, Indonesia,
Mali, Guinea e Guyana negli anni Cinquanta e Sessanta) sono alcuni dei fattori
che hanno impedito a molti Paesi di avvicinarsi a Israele.
È possibile notare che le
relazioni di Israele con il Terzo Mondo sono sempre state basate sulla sua
politica, sulle sue azioni, e sulla sua immagine. L’assistenza tecnica che
Israele ha fornito nell’ambito dello sviluppo regionale, nell’irrigazione delle
regioni aride, nell’edilizia residenziale pubblica, nella cooperazione
economica e nell’organizzazione di movimenti giovanili hanno contribuito
enormemente alla grande stima del Paese in Birmania negli anni Cinquanta, in
Africa negli anni Sessanta, e in America Latina durante gli anni Settanta. Gli
esperti israeliani sono sempre stati considerati dei veri professionisti, con
un talento per l’improvvisazione, inoltre, erano noti per la loro mancanza di
alterigia “coloniale” e la disponibilità ad assumersi la giusta dose di lavoro
fisico. I modelli israeliani unici nel campo dell’organizzazione e della
società, il kibbutz e il moshav, il GADNA, un programma che fornisce
addestramento militare per gli studenti delle scuole superiori, e il NAHAL, una
brigata di fanteria che unisce il servizio militare con la costituzione o il
rafforzamento delle comunità agricole periferiche, l’Histadrut e i movimenti
giovanili hanno destato l’interesse dei leader del Terzo
Mondo, che vi vedevano delle possibili soluzioni per i problemi del
sottosviluppo, della povertà, dell’ignoranza, e del tribalismo. Molta
importanza è stata attribuita agli Istituti israeliani per la ricerca e
l’assistenza tecnica al Terzo Mondo, come l’Istituto per gli studi sociali e la
cooperazione a Tel Aviv, il Centro Internazionale di formazione per i servizi
comunitari del Monte Carmelo a Haifa, il Centro per lo sviluppo regionale a
Revot, il Centro internazionale per lo sviluppo agricolo a Tel Aviv, e il
Centro internazionale per la formazione a Ramat Rachel.
L’entusiasmo dell’Africa per
rinnovare i suoi rapporti con Israele nel 1990 è sicuramente collegato ai
ricordi molto positivi degli aiuti efficienti che Israele aveva esteso durante
gli anni Sessanta. L’assistenza tecnica fornita da Israele si è andata
progressivamente allontanando dai modelli socialisti, aumentando invece il
valore delle offerte “pratiche” in campo militare, nell’intelligence, nella
sfera economica e politica. Servizi di sicurezza e intelligence, cooperazione
nella guerra contro il terrorismo, relazioni commerciali ed economiche sono
aspetti che hanno occupato sempre più spazio nell’agenda di politica estera di
Israele nei Paesi africani dagli anni Ottanta. È importante rilevare che il
“socialismo israeliano”, che era stato un elemento molto attrattivo per il
Terzo Mondo durante gli anni Cinquanta e Sessanta, aveva perso il suo fascino
durante l’era della “fine delle ideologie”, che ha corrisposto in Israele ad
una fase maggiormente neoliberista dal punto di vista economico e
politico.
Alcuni studiosi osservano come
gli attuali rapporti tra Israele e il Terzo Mondo abbiano perso la convinzione
dell’esistenza di un’affinità ideologica condivisa fra lo Stato ebraico e i Paesi
dell’Africa, dell’Asia, e dell’America Latina. A loro giudizio, idee come il
desiderio di Israele di portare soccorso al Mondo e “l’unione dei perseguitati”
sono divenute anacronistiche. Vi sono osservatori che considerano le nuove
forme di relazione un’opportunità per la creazione di rapporti più pratici,
stabili e maturi. La natura commerciale di tali rapporti rappresenta una caratteristica
saliente delle relazioni con l’India e la Cina, e a anche dei rinnovati legami
con l’Africa sub-sahariana.
In conclusione è possibile
affermare che la perdita della componente idealista e romantica nei rapporti
con il Terzo Mondo rivela i cambiamenti sostanziali che hanno interessato
Israele dagli anni Cinquanta ad oggi.
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