La pubblicazione
dei Quaderni Neri di Heidegger ha
riacceso in tutta Europa un vecchio dibattito inerente il possibile coinvolgimento
politico e ideologico del filosofo di Meβkirch nelle vicende hitleriane e del
nazionalsocialismo.
La
produzione abbondante di letteratura secondaria e il moltiplicarsi di
conferenze che hanno accompagnato l’uscita in Italia dei volumi, tradotti per
Bompiani dalla Iadicicco, ha dato vita negli ultimi anni a uno scontro
dialettico non sempre leale e oggettivo. La questione dell’antisemitismo
heideggeriano è diventata terreno di speculazioni teoretiche che malcelano
spesso interessi personali e dinamiche editoriali e accademiche totalmente
estranee alla dimensione storico-culturale del possibile coinvolgimento
heideggeriano nelle atmosfere più cupe della Germania nazista.
Contro
queste strumentalizzazioni è intervenuto nel 2015 von Herrmann, ultimo
assistente di Heidegger e attuale curatore della Gesamtausgabe, il quale ha chiesto al suo collaboratore Alfieri di
occuparsi dell’analisi filologica dei passi più controversi dei Quaderni neri. I risultati di questo
lavoro sono stati pubblicati nella monografia Martin Heidegger. La verità sui Quaderni neri (Morcelliana 2016).
Quest’ultima rappresenta un tentativo di decostruzione dell’impianto ideologico
costruito da diversi interpreti attorno ad alcune affermazioni sugli ebrei
presenti nei Quaderni neri, secondo
il quale in essi vi sarebbe un tentativo da parte di Heidegger di fondazione
metafisica e ontologica dell’antisemitismo.
Curando
la pubblicazione della traduzione italiana di una parte decisiva del carteggio
tra Martin Heidegger e il fratello Fritz, quella che si dispiega lungo un arco
temporale che va dall’ascesa del nazionalsocialismo ai primi anni della
ricostruzione (1930-1949), Alfieri e von Herrmann intendono dare seguito, nella
maniera più diretta ed eclatante, a quanto già avviato con la monografia del
2016. Calando il velo sulle pagine più intime della corrispondenza
heideggeriana si ha finalmente accesso in forma non mediabile ai più remoti e
inconfessabili scorci del pensiero e della Stimmung
del filosofo di Meβkirch durante il periodo pre- e post-bellico. Nelle righe
rivolte al fratello scorgiamo un Heidegger allo specchio, in contatto diretto
con la fatticità più terrigna della contingenza storica. Se nelle pagine dei Quaderni neri egli cerca rifugio nella
chiamata dell’essere svuotando di senso il susseguirsi degli eventi bellici,
per deferirlo ad un nuovo inizio oltre il declino dell’occidente e della
metafisica, nelle lettere al fratello egli viene sempre di nuovo ridestato da
una realtà che coinvolge i suoi affetti più cari, il fratello, i figli Jörg ed
Hermann al fronte, la moglie Elfride.
Da
parte dei curatori è stata operata una scelta chiara: selezionare le lettere
più attinenti agli argomenti socio-politici, mentre sono state omesse le parti
stesse di queste lettere che riguardano persone ancora in vita. Risulta un
totale di 116 lettere delle più di 300 che compongono il carteggio presente
nell’archivio di Marbach. Di queste, 8 sono di Fritz al fratello, le restanti
sono invece in direzione contraria. L’avvertenza ci educe inoltre sul quadro
che il carteggio restituirebbe dell’Heidegger immerso nella realtà bellica
tedesca. Un uomo sferzato da continue avversità di carattere accademico legate
al suo rettorato e isolato dal resto degli intellettuali tedeschi, incastrati
nelle panie della decadenza culturale del tempo. Questo isolamento forzato e le
asperità quotidiane, aggiungono i curatori, non avrebbero tuttavia distolto
Heidegger dalla sua via di pensiero, lungo la quale egli incontra Hölderlin,
nume tutelare della vera germanicità e profeta di un futuro avvento dell’essere
che unico potrà condurre ad una vera ricostruzione socioculturale della
Germania. L’immagine suggerita da Alfieri e von Herrmann i quali, va detto, non
vogliono strumentalizzare in nessun modo i contenuti delle lettere e tantomeno
offrire soluzioni semplicistiche alla questione, restituisce solo una parte del
chiaroscurale rapporto di Heidegger con la politica e la società del tempo.
A
questo riguardo, evitando di cedere al canto di sirene ermeneutiche, sempre
così potente nei pressi del pensiero di Heidegger, è doveroso invitare il lettore ad approcciarsi
con mente sgombra ma occhio vigile a ogni riga di questo carteggio. Ogni pagina
compone, in pieno stile heideggeriano, un tornante della ripida via di pensiero
che egli percorre in quegli anni. All’inizio essa si dirige pericolosamente
verso un’assonanza ideologica con il nazionalismo hitleriano e la sua politica
di affermazione del popolo tedesco (lett. 40), al punto che Heidegger consiglia
al fratello di leggere il Mein Kampf
(lett. 38); poi attraversa l’esperienza del rettorato, nel quale l’appoggio al
nazionalsocialismo diviene anche politico e a tratti anche idealizzante (lett.e
47-49), fino a proiettare sulla figura di Hitler l’immagine di Fritz (l. 47); e
va pian piano scostandosi dalle scelte politiche del Führer e dal panorama generale della politica e della cultura
tedesca ed internazionale degli anni che precedono e attraversano la guerra. A quest’ultima fase corrisponde una
scoperta più intima e profonda della storia dell’essere (lett. 141) che impone
al filosofo la responsabilità di isolarsi dal fragore della guerra e della
mondanità per disporsi all’ascolto dell’essere e custodirlo per i venturi,
coloro che verranno dopo il tramonto degli ideali nazisti e del degrado in cui
la politica di Göbbels ha gettato la cultura tedesca (lett. 47). In questa
nuova dimensione di raccoglimento l’ombra di Fritz rimane fedele compagna nel
cammino attraverso le sofferenze verso il nuovo inizio per quello “spirito
tedesco” che così limpido risplende nella poesia di hölderliniana (lett. 129).
Si sviluppa a partire da qui una dialettica tra storia e storiografia (lett.
91) che si sovrappone in larga misura con l’opposizione tra dentro e fuori, tra
azione politica e bellica e atto di pensiero del singolo. Laddove la Germania
nazista sta fallendo, profondendo tutti i suoi sforzi sul piano inessenziale
dell’ente, Heidegger lotta per mantenersi all’ascolto dell’unica cosa grande ed
essenziale, il nuovo inizio di cui l’essere (Seyn) è custode, e invita il fratello, che intanto sta lavorando
alla copiatura e al salvataggio di tutti i suoi manoscritti, a caricarsi dello
stesso fardello (lett. 116), convinto che solo nell’ascolto dell’essere possa
risiedere una possibilità per il futuro del popolo tedesco.
Lo
scoppio della Guerra amplifica il sentimento heideggeriano di responsabilità e
di isolamento, il 3 Settembre dalla baita di Todtnauberg egli scrive: «Ora si
può soltanto […] mantenere la calma per senso di responsabilità personale ed erigere la dignità come
misura del proprio atteggiamento. Tutto il resto manifesta la sua vuotezza e
sradicatezza» (lett. 100). Al disimpegno politico fanno seguito anche alcuni
contrasti con la censura di regime e si fa più alto il livello di attenzione nei
confronti del filosofo di cui comincia anche ad essere controllata la
corrispondenza.
Un ruolo
centrale viene svolto in questo quadro personale e politico dal concetto di Heimat per come viene rinvenuto dal
filosofo nella poesia di Hölderlin. La Heimat
diviene quel luogo d’incontro nella geografia della memoria fra terra natia e
pensiero originario, tra lo sciabordare dei ricordi personali d’infanzia, dei
quali Fritz è interlocutore primario, e il destino intero della Germania. In
alcune righe decisive, nel mezzo dell’imperversare della guerra, Martin scrive
a Fritz: «[…] Il decadimento sfreccia verso l’assoluta assenza di meta. Il
pensiero insistente sta già nella determinazione verso il familiare (Heimisches). Prepara ciò che è unico,
che diveniamo familiari nella dolcezza d’animo, la quale accoglie il suo
elemento dalla leggiadria dell’essere. Il rabbuiarsi della storia del mondo è
il segno della sua profonda incapacità, che è impotente di fronte al
non-diritto (Un-fug), perché non è in
grado di saperne niente. Anche il rabbuiarsi vive ancora della muta luce
dell’essere e non è in grado di consumarla e neppure solo di offuscarla. Noi
dobbiamo ascoltare la voce della luce». (lett. 102).
Il
destino di Heidegger dopo la caduta del regime nazista è noto, venne inserito
nella lista nera e indotto a rassegnare le dimissioni con immediata sospensione
a tempo indeterminato da qualsiasi attività d’insegnamento. Le pagine del
carteggio mostrano tutta l’amarezza del filosofo, il quale si rammarica più per
la mancata comprensione del suo pensiero che non per il danno arrecato alla sua
persona (lett. 267). Da quel momento la domanda sulla misura del coinvolgimento
di Heidegger nel nazionalsocialismo e l’ipotizzata diffusione dei suoi ideali
stende un’ombra cupa su tutta l’opera del filosofo. Questo carteggio illumina
alcune zone poco chiare, pur non riuscendo a diradare le nubi fosche che
incombono sul periodo del rettorato. Dal punto di vista politico permane, anche
dopo la fine della guerra, un filo-germanismo da parte del filosofo, il quale, a
seguito della sospensione, si rifiuta ad esempio di pubblicare in lingua
francese (lett. 265). Esso non sfocia tuttavia in un becero nazionalismo come
si evince chiaramente dalla lettera del 30 Giugno 1945, laddove egli invoca la
necessità di un «Occidente pacifico» (p. 144). Per quanto riguarda invece la
scottante questione dell’“antisemitismo heideggeriano”, il carteggio non offre
molti spunti di riflessione. L’unico accenno si può trovare nella lettera del
13 Aprile del 1933 ove Heidegger parla della sparizione di tre ebrei dal suo
istituto (p. 40), senza assumere tuttavia posture pregiudiziali.
L’ultima
lettera del carteggio riporta la decisa affermazione heideggeriana di non
colpevolezza: «Ho ricevuto l’avviso di denazificazione, seguace senza misure di
espiazione; l’aggiunta è particolarmente pungente. Seguace dell’essere lo sono
sempre stato e lo vorrei anche rimanere. Per il resto denazificazione significa
qualcosa come: si è ormai definitivamente bollati come nazisti; si diventa così qualcosa che non si era
affatto nel senso in cui il mondo intende ciò» (lett. 357, p. 175).
Alle
questioni irrisolte dal punto di vista teoretico e ai tanti ulteriori quesiti
che il carteggio solleva (ben più numerosi di quelli che
hanno trovato risposta), i curatori promettono di dare risposta in altra sede.