Quaderno di traduzioni n. 1 (2016-17)

Indice

Presentazione                                                              

Testimonianza di Vincenzo Pinto                                                                             

Testimonianza di Anna Maria Marzorati                                                                              

Testimonianza di Amalia Urbano                                                                          

Testimonianza di Giuseppe Veltri                                                                             

Un po’ di storia                                                                                                                    

I testi dei finalisti        

Pubblichiamo qui i testi di Vincenzo Pinto e una breve silloge dedicata a "Gimpel l'idiota" di Singer, da cui sono stati tratti i brani della prima gara berlinese. 

 

Questo quaderno inaugura una serie (speriamo lunga) di traduzioni di brani di letteratura yiddish per i ragazzi delle scuole superiori italiane e tedesche. L’iniziativa parte dall’idea di unire le due grandi passioni di Alessandra Cambatzu, docente sarda di lingua italiana all’Albert-Einstein-Gymnasium di Berlino: quella per la lingua yiddish e quella per l’insegnamento. Alessandra ha coltivato da sempre la passione per la traduzione letteraria e si è impegnata a diffondere l’amore e la passione per la cultura yiddish sin dai suoi anni trascorsi a Torino (dove si era trasferita nel 1994 provenendo dalla natia Sardegna). Qui porta a compimento gli studi di lingua yiddish laureandosi in lingua e letteratura tedesca con una tesi sulle sfere semantiche della lingua yiddish. Dopo aver appreso la lingua yiddish da autodidatta, Alessandra frequenta alcuni corsi di perfezionamento a Parigi e a New York e cerca di promuovere la lingua yiddish a Torino con l’associazione “da’at”, con una serie di lezioni nelle scuole e con alcuni corsi di lingua yiddish all’università e al Comune.

Durante gli anni trascorsi nell’insegnamento all’estero (prima a San Gallo, in Svizzera, poi a Berlino dal 2010), Alessandra ha deciso di intraprendere il tortuoso cammino di traduttrice negli spiragli di tempo a disposizione. Nel 2012 appare la raccolta di scritti di Ber Dov Borochov, esponente di punta del sionismo marxista russo di inizio novecento, politico e filologo sui generis: Il tempo che verrà, edito da Belforte di Livorno (e colgo qui l’occasione per ringraziare Guido Guastalla). Poi, dopo la prima parentesi della malattia e la pubblicazione di un’edizione italiana di feuilleton di Kurt Tucholsky (Le storie del signor Wendriner, a cura di Free Ebrei), Alessandra ha deciso di tradurre (con Sigrid Sohn) l’importante romanzo dello scrittore lituano Moyshe Kulbak Gli Zelmenyani, la storia di una famiglia ebraica allargata che attraversa il passaggio generazionale dalla fine dello zarismo all’avvento del comunismo (sempre con Free Ebrei). Poi Alessandra (in compagnia dell’infaticabile Sigrid) ha deciso di passare a una selezione di liriche della poetessa bielorussa Kadye Molodowsky, uscita postuma all’inizio di quest’anno.

Alessandra aveva intenzione di spostarsi sul cosiddetto “tango yiddish” e di tradurre alcuni “romanzi-fiume” del mondo yiddish argentino. Purtroppo il destino non le ha dato il tempo di realizzare questo sogno: negli ultimi mesi mi ha aiutato a tradurre un testo difficile e odioso come il Mein Kampf di Hitler, nella convinzione che tradurre sia un dovere etico verso le giovani generazioni.

Spero che il primo quaderno di traduzioni sia l’inizio di un’opera di sensibilizzazione etica e didattica nelle scuole, che valorizzi una letteratura così particolare e unica come quella yiddish e che rappresenti anche il grande regalo che Alessandra, la piccola grande donna sarda che è stata, ha voluto farci nei decenni in cui, fra un tema di italiano e una versione di latino corrette per le sue classi del Liceo “Volta” di Torino (dove ha insegnato per tanti anni prima della parentesi all’estero), ha trovato il tempo, la forza e il coraggio di “formarsi” una nuova lingua e di “formare” se stessa.

Ringrazio tutti coloro che hanno reso possibile l’iniziativa: da Alessandro Passannante, direttore del dipartimento di italianistica dell’Albert-Einstein-Gymnasium (che ebbe l’idea di far leggere alcune poesie della Molodowsky tradotte da Alessandra durante il commiato di fine settembre scorso alla sua scuola), al preside Wolfgang Gerhardt, particolarmente sensibile alle condizioni di mia moglie. Ringrazio la dirigente delle scuole italiane all’estero Anna Maria Marzorati per la sua sensibilità e per la valorizzazione dell’iniziativa (e Giosuè Piscopo, dirigente “uscente” nei tragici giorni di agosto 2016). Ringrazio i consiglieri d’ambasciata Massimo Darchini e Susanna Schlein per aver sostenuto l’iniziativa. Ringrazio il prof. Luigi Reitani, germanista e direttore dell’Istituto italiano di cultura a Berlino, per aver contribuito a diffondere il messaggio della traduzione fra i ragazzi dell’Einstein e per avere ospitato la premiazione. Ringrazio Amalia Urbano per il piglio e la serietà con cui si è sobbarcata la lettura delle traduzioni selezionate. Ringrazio Alessandro Pintus e Maurizia Gilardi, docenti dell’Albert-Einstein-Gymnasium, per aver ospitato nelle loro classi il progetto “pilota” di questa gara, effettuando alcune lezioni sulla storia dello yiddish, somministrando la prova e, soprattutto, correggendole con grande professionalità, impegno e pazienza.

Ringrazio tutti gli editori italiani che hanno sostenuto l’iniziativa inviando i testi-omaggio da distribuire agli studenti vincitori: Adelphi, Belforte, Edizioni di Storia e letteratura, Longanesi, Passigli, Pontecorboli, Effatà, Giuntina, Voland.

Chiudo citando un breve passo della recensione che Alessandra ha preparato per la nostra rivista “Free Ebrei” pochi mesi prima di mancare (dedicata al testo semi-biografico di Wlodek Goldkorn Il bambino nella neve) e che rappresenta il suo testamento spirituale:

 

Laddove non è possibile costruirli fisicamente i ponti, possono tornare utili quelli di carta: parlare, scrivere, entrare in contatto, una risposta alla torre di Babele dell’incomprensione e dell’odio.

 

 

Torino, novembre 2017

Testimonianza

Si è svolta giovedì mattina 6 luglio 2017 nella sala principale dell’Istituto italiano di cultura a Berlino la premiazione di “I ponti di Alessandra”, la prima gara di traduzione di letteratura yiddish organizzata dall’associazione “Free Ebrei” in memoria di Alessandra Cambatzu, docente di italiano e latino per tanti anni in Italia e, dal 2010, a Berlino, nonché appassionata cultrice e traduttrice della lingua yiddish.

L’iniziativa, che è partita nelle settimane successive al suo decesso (settembre 2016), ha visto coinvolti una serie di attori, senza i quali non sarebbe stato possibile realizzare la gara: l’Albert Einstein Gymnasium di Berlino (dal preside Wolfgang Gerhardt al coordinatore del dipartimento di italianistica Andrea Passannante, dal professor Alessandro Pintus alla professoressa Maurizia Gilardi), l’Ufficio Scuola presso l’Ambasciata d’Italia in Germania (la preside Anna Maria Marzorati), i Consiglieri Massimo Darchini e Susanna Sylvia Schlein, l'Istituto italiano di cultura a Berlino (il direttore Luigi Reitani), la lettrice di italiano Amalia Urbano, gli editori italiani (nove in tutto) che hanno gentilmente inviato alcune copie delle loro pubblicazioni yiddish e, infine, tutti i ragazzi della 10E e 10F che hanno partecipato a questa iniziativa.

Trattandosi del primo anno, l’iter è stato naturalmente difficoltoso e la procedura si è conclusa (fortunatamente) pochi giorni prima della premiazione. La decisione di tradurre un brano di letteratura yiddish già tradotto in tedesco e in italiano costituisce indubbiamente un punto centrale dell’iniziativa: abbiamo pensato che così sarebbe stato più semplice avvicinare i ragazzi al tema della traduzione, non spaventandoli di fronte alle difficoltà di una lingua (come lo yiddish) che è sì parente stretta del tedesco (medievale), ma che presenta due grandi difficoltà: è scritta in alfabeto ebraico e contiene molti termini slavi e aramaici.

Il ponte di Alessandra è stato quindi, in realtà, un duplice ponte: dallo yiddish al tedesco e dal tedesco all’italiano. Certo, l’obiettivo principale dell’iniziativa era far conoscere ai ragazzi un lembo del mondo letterario yiddish e avvicinarli al tema della traduzione in un’altra lingua. Non era impartir loro i primi rudimenti della lingua yiddish (almeno per ora). Questo sforzo è stato condotto grazie al grande impegno “sul campo” di Alessandro Pintus e di Maurizia Gilardi, che hanno tenuto alcune lezioni sul mondo yiddish, e, in seconda battuta, del prof. Luigi Reitani, che ha trascorso una mattinata all’Einstein a spiegare alle due classi coinvolte che cosa significhi tradurre e, nel caso specifico, la traduzione letteraria.

Il processo di selezione è avvenuto a tre livelli: inizialmente i docenti delle due classi hanno valutato i migliori elaborati in base a una griglia di riferimento; in secondo luogo, la lettrice Amalia Urbano ha scelto la terna e ha compiuto una revisione (se necessaria) delle singole traduzioni; infine, Vincenzo Pinto ha valutato la proposta della lettrice sulla terna finalista.

La premiazione del 6 luglio è stata inframmezzata da alcuni passaggi musicali (canori e strumentali) e dalla lettura di alcune poesie di Kadye Molodowsky, la grande poetessa yiddish che Alessandra e l’amica Sigrid Sohn hanno tradotto in italiano l’anno scorso (“Sono una vagabonda”, a cura di Free Ebrei). Alla cerimonia hanno anche partecipato il professor Giuseppe Veltri, docente di filosofia ebraica all’Università di Amburgo (e presidente del locale Centro Maimonide sullo scetticismo ebraico) e il professor Giulio Busi, docente di ebraistica alla Libera Università di Berlino, che hanno letto i nomi dei finalisti e hanno consegnato i premi (consistenti in buste di libri e in una targa per la prima classificata).

La gara di quest’anno ha avuto come soggetto il racconto Gimpel l’idiota (Gimpl tam) di Isaac Bashevis Singer (1945). Il testo, che fu il primo di Singer a essere tradotto in inglese da Saul Bellow (1953), fa parte di una raccolta di altri racconti che Alessandra lesse da ragazza nell’edizione “Oscar Mondadori” curata da Giorgio Voghera e che in qualche modo la fece innamorare del “realismo magico” del mondo yiddish. Partire da questa figura è un importante messaggio lanciato ai giovani: Gimpel non è solo un povero ingenuo, ma anche una persona che crede nella virtù religiosa della parola malgrado tutto e malgrado tutti. Per la cronaca, la vincitrice di questa prima edizione è stata Maria Sole Di Nunzio della 10F, che ha tradotto un brano incentrato sui problemi “matrimoniali” del protagonista.

L’iniziativa etico-didattica in memoria di Alessandra Cambatzu (che avrà un'appendice autunnale con la pubblicazione del primo "Quaderno di traduzioni") ha dimostrato che, indubbiamente, si tratta di un percorso difficile sia per l’impegno che richiede a tutti i partecipanti (a vario titolo) alla gara, sia per l’organizzazione transnazionale (il promotore Vincenzo Pinto è rientrato in Italia). Ma ha anche dimostrato che esistono modi nuovi, innovativi e accattivanti per seminare un po’ di conoscenza e di amore per la letteratura fra i ragazzi. I quali certo non diventeranno (salvo auspicabili e difficili eccezioni!) dei cultori della lingua yiddish o degli strenui sostenitori dell’identità ebraica contemporanea, ma avranno almeno colto nel loro cammino esistenziale un pezzo di un mondo “meraviglioso” e “tragico” che è stato distrutto dalla follia omicida umana. Che questo serva da lezione un po’ a tutti. E che la memoria di Alessandra, piccola grande donna sarda, aiuti a perpetuare questo “ponte di carta”!

 Un po' di storia

 Gimpl tam (tradotto come Gimpel l’idiota) è il primo racconto di Isaac Bashevis Singer a essere stato tradotto dallo yiddish in inglese (1953), e non da un traduttore qualsiasi. Un futuro premio Nobel (Saul Bellow nel 1976) che traduce un altro futuro premio Nobel (Singer nel 1978). Già da questa prima mediazione linguistica (che non avrà seguito: Singer deciderà infatti di tradurre personalmente le proprie opere in lingua inglese) osserviamo la difficoltà, la problematicità e il fascino della traduzione. Bellow traduce infatti il termine ebraico tam (che significa semplice e innocente) con fool, che è più vicino al tedesco Narr, espressione che rimanda al giullare di corte medievale, al semplice folle e manca di una connotazione positiva. L’italiano Idiota rimanda invece a una persona priva di senno, stupida, incapace di “ben ragionare”.

Leggiamo i giudizi di alcuni commentatori italiani che, seppur da punti di vista differenti, hanno espresso la rilevanza letteraria, esistenziale ed educativa del racconto singeriano.

 

 

«È nelle novelle – specialmente in quelle raccolte in Breve venerdì (1964), Gimpel l’idiota (1957) e Lo Spinoza di via del Mercato (1961) – che a Singer riesce l’imperturbabile rappresentazione della totalità: egli ritrae il caos e l’ordine, la tenerezza e la perversione, la luminosa presenza del significato e l’acre putredine del nulla. Simile all’autore dell’Ecclesiaste, Singer spazia dai dettagli fisiologici alle cose ultime, senza far capire se egli parli dal punto di vista della fede o della disillusione. Quest’apertura indiscriminata sulla realtà avvicina Singer ai grandi scrittori impersonali e anonimi del passato, che assomigliano a tutti e a nessuno […]. Se l’angolo visuale dello scrittore novecentesco è in genere un angolo acuto, che abbraccia in profondità uno spaccato unilaterale e soggettivo del reale, l’angolo visuale di Singer sembra avere trecentosessanta gradi e abbracciare la totalità dell’esperienza».

Claudio Magris

 

 

«Considerato un capolavoro della letteratura mondiale, il racconto di Isaac Bashevis Singer, Gimpel l’idiota, presenta in modo esemplare la figura dello schlemiel. Gimpel è goffo, ingenuo, inesperto. Per gli abitanti ordinari della cittadina di Frampol rappresenta un’anomalia da deridere, da sottoporre senza via di scampo a vessazioni d’ogni sorta. È raggirato persino dalla moglie che approfittando della sua ingenuità, dopo essersi fatta sposare con l’inganno, lo tradisce regolarmente, facendogli credere come suoi i sei figli di altri uomini. […] Eppure non c’è situazione, per quanto incredibile, che egli non creda possibile. Dotato di un’infantile innocenza e di una candida fiducia nel prossimo, ricorda il principe Myskin, L’idiota di Dostoevskji. Idiota infatti è sinteticamente l’epiteto di Gimpel, un nomignolo per tutti dispregiativo, visibilmente degradante, come direbbe Freud. Richiama, nell’immediatezza etimologica (idiotes), la particolarità dell’individuo privo di un ruolo pubblico, fuori dall’ordine della comunità. Eppure questo appellativo nasconde un impensato rivolto semantico, capace di mettere in gioco le abituali convinzioni della città. Tutt’altro che ottusa stupidità […] la sua “idiozia” rivela l’elevazione inaspettata di una dotta ignoranza. Ricorda Niccolò Cusano».

Maria Felice Schepis

 

 

«L’andarsene dal paese, racconto di sé e dei propri sogni rappresenta, nel processo evolutivo di Gimpel, un duplice percorso. Innanzitutto una crescita a livello affettivo: Gimpel si separa dal paese, è abbastanza forte e sicuro da poter stare anche da solo; in secondo luogo una crescita di tipo cognitivo: Gimpel passa, infatti, dalla confusione alla possibilità di usare il proprio pensiero in modo creativo e personale con racconti che inventa per gli altri. […] La vicenda di Gimpel ci permette di cogliere lo stretto intreccio esistente tra lo sviluppo dell’oggetto epistemico, cioè della conoscenza, e lo sviluppo dell’oggetto libidico. […] Solo attraverso la costituzione di un luogo, uno spazio interno ove depositare affetti ed immagini sarà possibile avviare un processo di integrazione tra sviluppo affettivo e cognitivo e quindi accedere alla formazione del simbolo. E uno spazio interno “mentale”, capace di confrontare le proprie rappresentazioni con la realtà esterna, nasce soltanto grazie a un positivo esito del processo di separazione-individuazione; separazione dall’oggetto d’amore ed individuazione del sé».

 

Antonio Techel, Antonella Pendezzini

 

 

«Una considerazione particolare merita Gimpel, l’idiota dell’omonimo racconto. Tradito e turlupinato dalla moglie, oggetto di derisione dei piccoli e dei grandi, è ritenuto l’idiota del paese. Gli si consiglia il divorzio, ma egli non è capace di abbandonare la moglie e i figli che lei ha avuto da altri. Dopo la morte di lei, gli appare lo spirito del Male, gli ricorda che non c’è né Dio né aldilà, e lo consiglia, pertanto, di farsi beffe di coloro che si sono fatti beffe di lui. […]. La cosa è facile essendo lui fornaio del luogo. Impasta il pane, lo mette nel forno e via, a dormire. In sogno gli appare la moglie. “Stupido! Stupido! Se sono stata falsa io, dev’essere falso tutto questo? Ho ingannato sempre e soltanto me stessa, Gimpel, adesso sto scontando ogni cosa: non ci risparmiamo niente, qui”. La lezione è chiara. Afferra la pala, toglie le pagnotte dal forno e le sotterra, poi distribuisce quanto possiede e lascia Frampol, trasformandosi in shnorrer, in mendicante che attende la morte. “Non so che cosa troverò di là, ma so che sarà vero, senza complicazioni, senza beffe, senza inganni. Laggiù, Dio sia lodato, non imbroglieranno neanche Gimpel”».

Ferdinando Castelli

 

Presentazione