Marek Edelman, Il ghetto di Varsavia lotta
"Free Ebrei", I, 2, settembre 2012
di Vincenzo Pinto
Abstract
Wlodek Goldkorn publishes the first Italian edition of Marke Edelman's personal memoirs on Warsaw ghetto's uprising in 1944 and try to show some hidden aspects of the tragic Jewish struggle against Nazism.
La Giuntina propone al pubblico italiano la prima traduzione dall'originale del resoconto di Marek Edelman Getto walczy. Udzial Bundu w obronie getta warszawskiego. Il curatore italiano è il noto giornalista Wlodek Goldkorn, che ha preferito rendere l'originale in Il ghetto di Varsavia lotta, omettendo la centralità della narrazione bundista del sottotitolo. La lunga introduzione del capo redattore cultura del settimanale L'Espresso rappresenta più che altro un ricordo toccante dell'eroico vicecomandante della resistenza ebraica nel ghetto di Varsavia, condito da alcuni riferimenti alla sua esperienza di vita nella Polonia postbellica e dal suo rapporto a dir poco problematico con lo Stato d'Israele (ovvero col sionismo). Non si tratta del primo libro di Edelman tradotto in italiano: nel 1993 appare l'edizione francese del Ghetto di Varsavia lotta a cura di Hanna Krall presso Città Nuova; nel 1998 Sellerio pubblica il racconto in prima persona della resistenza nel ghetto a cura di Rudi Assuntino e Goldkorn; nel 2009 l'editore palermitano dà spazio alla raccolta di racconti sull'amore nel ghetto, a cura di Glodkorn, Ludmila Ryba e Adriano Sofri. La scelta della Giuntina è stata quella di fornire al pubblico italiano la storia in terza persona del ghetto di Varsavia, una storia eroica e politicizzata del primo Edelman, accanto al ricordo autobiografico dell'amico Goldkorn, che ripercorre la storia degli ebrei polacchi dalla guerra sino ai giorni nostri.
La lunga ricostruzione di Goldkorn cerca di scavare nei “tarli” della memoria del protagonista, nei motivi dei suoi silenzi e delle sue prese di posizioni polemiche. Grande importanza viene conferita al Bund, l'Unione dei lavori ebrei dell'Europa orientale che albeggia quale fucina dell'identità ebraica diasporica nella prima metà del Novecento per la capacità di unire la lotta per la redenzione individuale, classista e nazionale degli ebrei. Goldkorn si sofferma sulla retorica del Bund e sulla sua sofferta storia nel periodo bellico. Ricostruisce la “famiglia materna” che ha accudito e forgiato Marek Edelman durante la guerra: dalla fidanzata Stasia (Ryfka Rozensztajn) ai bundisti Szmul Zygielbojm e Abrasza Blum. Blum è la figura chiave di questo libro e della militanza bundista di Edelman: è stato una sorta di padre spirituale, di educatore, l'uomo che gli ha insegnato a sopravvivere con dignità. La figura di Mordechaj Anielewicz è solo accennata: pesano le discordanze di vedute tra il martirio del sionista e la sopravvivenza dignitosa del bundista. Il resoconto di Edelman è soprattutto la storia di una battaglia che riscatta la memoria degli sconfitti. Amore e oblio sono i due estremi del segmento esistenziale del futuro chirurgo ebreo polacco: amore per la vita e necessità di dimenticare il passato doloroso per poter continuare a vivere.
Il ghetto di Varsavia lotta rappresenta uno dei primi resoconti dello sterminio di massa nazista. L'aspetto particolare consiste nello spazio fisico in cui ha luogo (il ghetto) e nell'azione dei protagonisti. Salta subito all'occhio la grande diversità tra i più giovani e i più anziani, tra gli attivisti politici e gli indifferenti, tra gli opportunisti e gli idealisti. Il ghetto è un microcosmo complesso e variegato, dove la diversità umana viene per certi versi esacerbata dallo spazio ristretto e dall'assenza di un orizzonte d'aspettativa individuale e collettivo. Il racconto di Edelman dimostra tutta la difficoltà esistente nel “salvare” i grandi numeri e di come solo un gruppo di persone abbia avuto il coraggio di salvare la propria vita mettendola a repentaglio. Questo sembra essere il grande lascito di questo affresco: la vita può essere salvata non nell'attesa di qualcuno o nella mera sopravvivenza, ma agendo per nobilitarla e conferirle senso e dignità. La fede (mondana o extra-mondana), come ha testimoniato anche Primo Levi in Se questo è un uomo, è uno dei motori dell'agire umano, ma può diventare anche la più grande consolazione in mezzo alle burrasche della persecuzione sistematica.
In mezzo a questo racconto epico si celano alcuni dilemmi e silenzi forse irrisolvibili. La storia dell'insurrezione del ghetto di Varsavia è soprattutto la memoria di coloro che la vissero. Edelman sopravvisse alla carneficina nazista e riuscì a scrivere questo e altri resoconti. Possediamo larga parte dell'archivio dello storico Emanuel Ringelblum e i diari di personalità di spicco del ghetto (come Yitzhak Zuckerman, Adam Czerniakow, Chaim Aaron Kaplan, Abraham Lewin e Stanislaw Adler). In un certo senso, la storia del ghetto si riallaccia alla memorialistica diasporica ebraica, caratterizzata dall'esigenza di sopravvivere in un mondo “alieno” e di salvaguardare la propria incolumità fisica di fronte alla continua minaccia gentile. Certo, abbiamo i resoconti e i diari di Jürgen Stroop, comandante delle SS e della polizia del distretto di Varsavia, e quelli di Friedrich Wilhelm Krüger, Governatore generale della Polonia. Abbiamo pochissimi riferimenti all'Organizzazione militare ebraica (ZZW) di Pawel Frenkel, antagonista dell'Organizzazione combattente ebraica (ZOB) guidata da Mordechaj Anielewicz. La memoria dell'insurrezione del ghetto di Varsavia è ben altra cosa rispetto alla sua storia, fatta di dissidi, divergenze e di contrapposizioni ideologiche. Merito indiscusso di Edelman è quello di aver testimoniato la dignità della vita in mezzo alla barbarie nazista.
Casella di testo
Citazione:
Marek Edelman, Il ghetto di Varsavia lotta, a cura di Wlodek Goldkorn (recensione di Vincenzo Pinto), "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", I, 2, settembre 2012
url: http://www.freeebrei.com/anno-i-2-luglio-dicembre-2012/marek-edelman-il-ghetto-di-varsavia-lotta