Vincenzo Pinto, Ebreo di destra o destrorso di religione israelitica
"Free Ebrei", II, 2, novembre 2013
Ebreo di destra o destrorso di religione israelitica? Intorno alla recente riedizione del libro "Sionismo bifronte" di Ettore Ovazza*
Abstract
Vincenzo Pinto discusses the recent publication of "Sionismo Bifronte" of Ettore Ovazza by Andrea Giacobazzi and tries to explain the dilemmas of rightwinged Jews in the XXth century political arena.
Andrea Giacobazzi, giovane studioso cattolico intransigente, collaboratore della rivista "Free Ebrei", nonché autore di un paio di lavori sul sionismo e sulla destra ebraica nel periodo interbellico già analizzati sulla nostra rivista (L'Asse Roma-Berlino-Tel Aviv e Il fez e la kippah), ha riedito per Anteo Edizioni un lavoro ormai dimenticato di Ettore Ovazza, intitolato Sionismo bifronte. Questo saggio, che raccoglieva gli articoli apparsi sulla "Nostra Bandiera" (la rivista degli ebrei "fascistissimi" torinesi) fra il 1934 e il 1935, sosteneva la pericolosità del sionismo perché richiedeva una "doppia lealtà" agli ebrei diasporici italiani e rappresentava l'inizio della fine della diaspora. Gli ebrei, secondo Ovazza, dovevano scegliere di essere semplici membri di una religione e non una presunta nazione ebraica: dovevano essere patriottici e quindi fascisti, abbandonando il sostegno a un anacronismo imperialistico come lo Stato ebraico-palestinese inglese. L'ebraismo è spirito e non materia: è storia, eredità spirituale che non può essere vincolata a uno spazio e un'etnia. Il saggio di Ovazza appariva agli albori della crisi etiopica, quando il Regime fascista iniziava a spostare il proprio "asse" verso la Germania nazista.
La tesi del libro di Ovazza affronta il teorema della doppia lealtà, ovvero l'esclusività dell'appartenenza nazionale, sostenendo l'estraneità fra nazione e religione in ambito ebraico. Giacobazzi, schierato su posizioni storiografiche e politiche radical-cattoliche, ha argomentato nei suoi lavori precedenti che: 1) il rapporto fra sionismo e movimenti totalitari di destra nel periodo interbellico non era solo politico ma anche ideale, cioè proteso alla salvaguardia della razza; 2) la dirigenza ebraica italiana e la maggior parte degli ebrei italiani erano chiaramente fascisti, quantomeno sino alla svolta delle leggi razziali. Queste due tesi hanno la funzione di "razzistizzare" e "fascitizzare" (cioè nazistizzare) l'ebraismo italiano e internazionale, invertendo simmetricamente l'immagine dell'ebreo vittima (sostenuta dai difensori di Israele) in quello di carnefice (sostenuto dai suoi critici). Si tratta di una sorta di recupero ex post del mito del "complotto giudaico-massonico": mentre il nazismo e con lui tutti i movimenti socialisti-nazionali (tra cui una parte del fascismo) criticavano gli aspetti distruttori insiti nella "religione talmudica", apolide, cosmopolita, internazionalista, materialista, comunista e capitalista, ecc., adesso il "complotto" opererebbe nell'internazionalismo americano nemico dei popoli, materialista, antitradizionalista e imperialista, sorretto dalla lobby ebraica (l'unica illegittima).
L'originalità della tesi giacobazziana, espressa per esempio nel Lo smarrimento di David, apparso su "Rinascita" (quotidiano di sinistra nazionale), consiste nella critica cristianizzante rivolta all'ebraismo da una prospettiva spiritualista: solo l'Amore di Dio, incarnato nel Messia, può redimere il popolo ebraico. Solo un amore sincero può "vincere" l'antisemitismo (come afferma paradossalmente Daniel Balint, protagonista del film The Believer). Quand'anche la tesi non sia affatto nuova, nuovi sono gli strumenti utilizzati per sostenerla, come una critica serrata alle compromissioni dell'establishment religioso e politico ebraico (non dissimile da quella di larga parte della gioventù ebraica di sinistra), una critica indiretta al sionismo e alle derive messianiche (anche qui non distinguendosi da una parte della critica anti-imperialista di sinistra) e il tema del "sangue" ebraico (una sorta di riverbero misterico-pagano del cristianesimo sull'ebraismo). La differenza fra la posizione giacobazziana e quella di un medio ebreo di sinistra, laico e internazionalista (ovvero che ritiene l'ebraismo solo una religione e non il "marchio" della propria identità etnico-nazionale) si ha negli esiti, non nei presupposti: l'abbandono del materialismo internazionalista a favore di un particolarismo spiritualista cristiano, depurato da ogni riferimento oggettuale.
Se l'antisemitismo è una strategia di "sopravvivenza" attuata dall'establishment rabbinico diasporico, prima, e dello Stato sionista, poi, che rapporto esiste fra le culture di destra e il mondo ebraico? Non si tratta più di una contrapposizione ma dell'esistenza di affinità vere e proprie. Indubbiamente, la difesa dei valori tradizionali (religiosi in primis), la salvaguardia etnica delle proprie radici sono una posizione che meglio si adatta a una sensibilità destrorsa. Anche il "vittimismo" è una tipica strategia di salvaguardia della propria identità (soprattutto se tradizionalmente minoritaria): se "tutto il mondo" è ostile, allora debbo rinchiudermi in me stesso per difendere la "purezza" del mio ideale (o della mia identità). A ben guardare è una posizione non solo "ebraica" ma anche politica più in generale. Lo stesso negazionismo di Stato iraniano, che può essere comprensibile da un punto di vista strategico e politico, finisce per sposare di fatto gli stessi assunti del sionismo: una visione persecutoria della storia (tutto il mondo ce l'ha con la Rivoluzione sciita, in special modo il "demone" ebraico-americano), la mancata consapevolezza della pluralità identitaria insita in ogni uomo (la religione è tutto, l'uomo non è niente) e la tesi che i popoli siano entità a se stanti (ovvere pietre assolutamente prive di pori). Il genocidio del nazismo (precedente, però, alla fondazione di uno Stato ebraico) viene negato come costruzione propagandistica degli ebrei. Sul piano della propaganda è indubbio l'uso strumentale che il governo israeliano pratica, sul piano della realtà storica no. Si può discutere di come interpretare il genocidio, se come "olocausto", shoah e con un altro termine. Della sua esistenza (e di quella di altri genocidi) no.
Il tema che ci sta a cuore è la distinzione, apparentemente oziosa, fra ebreo di destra e destrorso di religione ebraica. Giacobazzi liquida il problema in termini teologici: l'ebreo è di destra nella misura in cui obbedisce alle regole rabbiniche o alla versione secolarizzata sionista. In altre parole, egli nega l'esistenza di un destrorso di religione ebraica (quale fu Ovazza). Prima viene la religione, poi tutto il resto. La teoria, però, confligge assai spesso con i quadri storici, se è vero che il primato della teologia sulla politica non è sempre tale. I teorici della rivoluzione conservatrice dell'età contemporanea (da Donoso Cortés sino a Schmitt) hanno infatti sostenuto la necessità di una teologia politica, ponendo l'autorità a capo della vita associativa umana. Ma esistono anche casi in cui l'uomo ritiene la religione non il proprio "cappello" (o "kippah") ma le proprie "scarpe". Ecco che la tesi dell'ebreo di destra lascia spazio all'uomo di religione ebraica. Ecco che rispunta fuori la tragica figura di Ettore Ovazza, ucciso proprio per aver voluto rovesciare l'assunto di essere ebreo (cioè di nazionalità ebraica) e italiano (di domicilio) a favore di un altro: quella di essere italiano (cioè di nazionalità italiana) di religione ebraica.
La tesi storico-teologica giacobazziana trova peraltro analoghi illustri modelli in studiosi che cattolici conservatori non sono. La critica alle presunte derive nazionalistiche dello Stato d'Israele e all'uso strumentale dell'antisemitismo è da sempre il cavallo di battaglia di una certa sinistra radicale che sostiene i diritti dei popoli e critica il c.d. imperialismo occidentale e americano. La differenza fra questa posizione e quella esposta sopranzi consiste nella rilevanza data alla religione: per i radical-cattolici è Dio incarnato a dover fungere da luce dei popoli "smarriti" (in particolare quello ebraico, non però quello musulmano, ritenuto di per sé illuminato); per i radical-internazionalisti è l'uomo concreto-universale a dover guidare le sorti dell'umanità. La prima posizione si oppone – per riprendere la tesi di Ernst Nolte – alla "trascendenza orizzontale" (cioè all'idea che esistano uomini e non membri di un popolo-entità), mentre la seconda è decisamente restia alla "trascendenza verticale" (cioè all'idea che esistano gerarchie autoritarie e, in sostanza, un Dio trascendente). Se entrambe le posizioni ritengono l'antisemitismo uno strumento difensivo e offensivo dell'ebraismo (difensivo prima della nascita dello Stato ebraico, offensivo in seguito), il presunto vittimismo ebraico non sarebbe altro che una giustificazione della propria "irredimibilità", cioè della propria non-salvezza e "perdizione" storica. Gli uni ritengono che l'irredimibilità ebraica consista nel non aver superato il particolarismo etico-religioso (cioè nella legge pietrificata o nei culti misterici, sopravvissuti guarda caso nell'ebraismo e non nel cristianesimo paolino), gli altri nell'essere divenuti strumenti dell'imperialismo occidentale.
La figura di Ettore Ovazza, a settant'anni dalla morte, ci insegna a guardare al fenomeno etnico, culturale e religioso dell'ebraismo con grande circospezione e attenzione. L'ebraismo non è un popolo, una religione o uno Stato, ma può esserlo allo stesso tempo: tutto dipende dalla prospettiva con cui si osserva, si analizza e si giudica la storia dei singoli uomini. Ovazza tentò – come la stragrande maggioranza degli italiani di religione israelitica – di professarsi italiano e fallì perché Mussolini e il fascismo decisero di operare l'avvicinamento alla Germania nazista (per alcuni inscritto nel percorso di totalitarizzazione del fascismo, per altri una circostanza voluta ma non necessaria). L'ebraismo fu per lui una religione e basta. Ma non tutti la pensavano così: i fascisti più intransigenti ritenevano che l'ebraismo fosse una nazione a se stante e quindi decisero la fine della visione laica ottocentesca. Il sionismo, cresciuto anch'esso nel solco del nazionalismo romantico e non scevro di ambigue posizioni nei riguardi del nazismo (spesso di natura strumentale, talora l'esito di affinità spirituali), riteneva che la religione fosse un elemento fondamentale della nazione ebraica, una sorta di collante nazionale, e che quindi nazione e religione non fossero separabili. La salvaguardia etnica, che la destra cattolica e la sinistra materialista confondono con il razzismo, ha mantenuto nei secoli il messaggio etico-religioso ebraico.
Chi ha avuto "ragione"? I posteri hanno decretato la vittoria del sionismo e la sconfitta di una visione secolare dell'ebraismo. Oggi, in un mondo unificato dalla rete, resistono e si formano agglomerati identitari più o meno forti, porti più o meno sicuri nell'oceano delle (im)possibilità tecniche. Vi sono persone di religione ebraica con una visione conservatrice o progressista. Ma vi sono anche ebrei con una visione conservatrice o progressista. Definire tutti coloro che professano una religione a partire da questa religione è pacifico, ma è un'operazione riduttiva e riduzionistica, che rispecchia negli altri la propria visione, ma non sa guardare al di là di se stessi e della siepe di leopardiana memoria. Ovazza è stato paradossalmente uno degli ultimi alfieri di una visione laica e secolare della condizione ebraica nell'Italia novecentesca, per quanto fieramente patriottica e succuba di un'autorità distruttiva e non difensiva. Purtroppo per lui – e per molti italiani di religione ebraica – la storia si stava muovendo in un'altra direzione. Questa direzione era segnata dalla vittoria del nazionalismo e dalla nascita dello Stato d'Israele. Cosa ne è stato nel dopoguerra? A breve una nuova analisi. Nella speranza che altri testi del Novecento – importanti come la testimonianza di Ovazza – vengono nuovamente riproposti al pubblico italiano da editori coraggiosi (come Anteo di Reggio Emilia).
* Sono autore del saggio L'ebreo fascistissimo. Il fascismo estetico e sentimentale di Ettore Ovazza (1892-1943), “Nuova Storia Contemporanea”, XV, 5, 2011, pp. 51-72. E' in corso di pubblicazione una mia raccolta di saggi, intitolata In nome della patria e dedicata al rapporto fra ebrei e cultura di destra nel Novecento.
Casella di testo
Citazione:
Vincenzo Pinto, Ebreo di destra o destrorso di religione israelitica, "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", II, 2, novembre 2013
url: http://www.freeebrei.com/anno-ii-numero-2-luglio-dicembre-2013/vincenzo-pinto-ebreo-di-destra-o-destrorso-di-religione-israelitica