Gualtiero Tagliacozzo, Memorie di memorie

"Free Ebrei", III, 1, gennaio 2014

Memorie di memorie

di Gualtiero Tagliacozzo1

Abstract

Gualtiero Tagliacazzo recalls his youth during the Second World War and the aid received by some Catholic priests.

Roma anno 1938 … anzi no … Venezia 10 aprile 1938.

Al colmo della felicità due esseri si univano in matrimonio località ghetto ebraico in sinagoga. Cerimonia ebraica dove sposo e sposa dovevano bere il vino fare due o tre giri intorno all’altare e rompere il bicchiere. Sposa che non vede l’ora che finisca questa cerimonia. Nugoli di parenti e amici tutti sia alla sinagoga che all’Albergo Danieli vi arrivarono in gondola o in motoscafo. Naturalmente gli sposi in gondola.

La loro storia d’amore. Lei si chiamava Lidia Coen, lui Tagliacozzo Giorgio, romano di sette generazioni. Lei invece è solo veneta, ancora meglio una tosa di Trieste, ma emigrata a Venezia. Lidia era sull’orlo dello zitellaggio. Perché aveva 27 anni e non si decideva a sposarsi. Con tutto che aveva 5 pretendenti per cui padre e madre pensavano che non si sarebbe più sposata. Un giorno o forse una domenica avvenne il miracolo di un mal di testa e di un matrimonio. Infatti si sposava un cugino di Lidia con (guarda caso ) una sorella di Giorgio. Per cui avvenne l’invito, ma non per Lidia bensì per la madre.

Combinazione proprio quella domenica questa ultima aveva un gran mal di testa e il marito doveva restare per curarla. Qualcuno però doveva rappresentare la famiglia giusto quella zitella di Lidia. Così Lidia si preparò la valigia (perché il matrimonio si svolgeva a Roma). Partì il sabato e la domenica era pronte per andare al matrimonio.

Certo non si trovava a suo agio, in una città che non conosceva, ma aveva la speranza di conoscere qualcuno al matrimonio. Ebbe un primo impatto contrario al tempio ebraico. Questo perché forse era la prima volta che vi andava, ma il fatto che gli uomini dovevano stare in platea e le donne in galleria le dette molto fastidio.

Tuttavia lì su conobbe per combinazione due sorelle di Giorgio. La terza era quella che si stava sposando col cugino Guido Coen, mentre la sorella si chiamava Renata Tagliacozzo. Le due invece che Lidia incontrò in galleria: una si chiamava Elsa e l’altra Alba.

Certo, Lidia non poteva immaginare che nella sua futura vita avrebbe avuto dei cruenti scontri con Alba per poi finire in baci e abbracci al colmo della loro commozione.

Al di là di questo, il corteo nuziale si spostò in un albergo. Era il ricevimento. C’erano tanti tavoli con tanta gente intorno. A Lidia capitò un posto in uno di questi tavoli con tanta gente intorno, ma anonimi. Giorgio invece stava in un altro tavolo con sorelle e fratelli madre e padre. I fratelli erano Fulvio e Ugo, la madre Ester Sestieri naturalmente in Tagliacozzo e Alberto Tagliacozzo (padre). Da quel tavolo Giorgio notò Lidia e si accorse che non legava con gli altri commensali. Per cui nonna Ester preoccupata si avvicinò a Lidia per socializzare. Ma forse non la prese per il verso giusto perché lei chiamò un altro tassi e se ne tornò in albergo.

Giorgio, che vide la mossa di Lidia, pregò suo fratello Ugo (minore dei sei figli) di seguirla e di scusarsi se non si era trovata bene. Ugo e Giorgio erano i due più piccoli e andavano sempre d’accordo.

Così Ugo inseguì Lidia la raggiunse in albergo per scusarsi, ma soprattutto per avere un appuntamento per Giorgio. Il che non avvenne perché Lidia non glielo dette.

A questo punto uno direbbe fine della storia, ma non è così. Perché Giorgio era stato conquistato da quella tosa altera e forse dispettosa. Per cui escogitò un tranello con la complicità della sorella che si era appena sposata e suo marito Guido Coen (cugino di Lidia). Lidia non abitava a Venezia, ma in una villa al Lido.

Suo padre era il presidente del Lloyd Adriatico per navi che trasportavano merci dall’India e dalla Cina. Lo stratagemma di Giorgio e Guido era di andare a prendere Lidia con la macchina per farle fare una passeggiata, ma a un certo punto avrebbe per combinazione incontrato Giorgio e naturalmente lo avrebbe fatto salire.

Non solo, ma poi li avrebbe lasciati soli con la scusa che la macchina aveva dei guasti meccanici. Tutta questa macchinazione sciolse il cuore di Lidia.

Si fidanzarono, ma senza dire niente ai rispettivi genitori per quattro mesi. Giorgio ogni fine settimana si faceva il suo viaggio da Venezia al Lido. Suonava il campanello della villa tre volte e ad aprirgli era una domestica di famiglia di ventennale servizio (Angela), che voleva molto bene alla Lidia. Per cui andava in camera di costei e l’avvisava che Giorgio era arrivato.

Lei, con una scusa, usciva e incontrava Giorgio poco più in là della villa. Gli unici a che sapevano del fidanzamento erano Guido Coen e sua moglie Renata (sorella di Giorgio).

Finalmente, d’accordo con i loro complici, decisero di dirlo alle relative famiglie. Quella di Giorgio fu la cosa più facile. Mentre quella di Lidia non lo fu affatto. Lei pensò che il momento migliore sarebbe stato quando i suoi genitori stavano alle cure termali di Chianciano, era vicino il periodo che loro andavano. Le terme erano vicino a Siena.

Quindi Lidia e Giorgio presero una macchina in affitto con autista. L’autista si chiamava Ferruccio. Arrivarono alle terme felici e contenti di dare la notizia. La risposta però dei genitori li gelò perché risposero che visto che aveva fatto tutta da sola poteva continuare a fare da sola.

In realtà non fu così. Però non erano contenti dei famigliari di lui. Per Giorgio non avevano dubbi: era un brav’uomo che aveva un lavoro per cui guadagnava, ma la famiglia …

Lo dissero a Lidia e con gli occhi di poi dovette dare ragione ai genitori. Poi, con gli occhi invece dell’amore, non si ragiona. Per cui ecco il matrimonio, anno 1938.

Prima di questo però avvenne un triste evento. Era morto di mal di cuore il padre dello sposo a gennaio e le nozze erano ad aprile. Per cui la famiglia di Giorgio chiese di rimandarle.

La famiglia di Lidia rispose che non si poteva più perché ormai era tutto predisposto. La famiglia di Giorgio minacciò di non intervenire alle nozze e non avrebbe contribuito alle spese del matrimonio. Così Giorgio fu costretto a impersonare il personaggio di “Cenerentolo” visto che la sposa dovette comprare al futuro sposo il vestito per le nozze

Comunque la famiglia Tagliacozzo si presentò al matrimonio al gran completo compresi mogli e mariti perché nel frattempo si erano quasi tutti sposati.

Anno 1938, si cominciava anche a respirare aria di razzismo.

Nonostante questo, tutto andò avanti. Il padre della sposa desiderando che sua figlia facesse una vita tranquilla le comprò tre appartamenti a Roma. In più, le fece un vitalizio di 20.000 lire dell’epoca vita natural durante. Così pensava di averla sistemata proprio bene. (Purtroppo per Lidia non fu così).

Giorgio come lavoro si era creato una fabbrichetta di rotoli igienici che consegnava ai clienti con un carro tirato da un cavallo e un suo uomo di fiducia Bartolomeo. Questo personaggio Giorgio se lo tenne fino alla morte di questo.

Tutto andava per il meglio. Tanto più che, nel 1939, nacque il primo figlio. Alberto. Il quale nei primi mesi si rifiutò di parlare, per cui quando la madre di Giorgio andò a trovare la nuora le disse “non hai saputo dare al mio Giorgio un figlio sano”. Invece ad Alberto venne la parola che poi in seguito usò per il suo lavoro. E molto bene.

La vita di Giorgio e Lidia trascorreva abbastanza tranquilla però non sapevano che dietro l’angolo della loro vita ci sarebbe stato un negozio.

Infatti la famiglia Tagliacozzo ereditò da un certo Pitigliani un negozio di cartoleria molto grande in via del Teatro Valle. Vicino proprio al teatro.

Intanto si faceva sempre più forte il vento del razzismo anche in Italia. Ma la famiglia Tagliacozzo per il momento aveva la contentezza del negozio. Che, essendo molto grande, aveva bisogno di personale, per cui i fratelli di Giorgio lo costrinsero a vendere la sua fabbrichetta per metterlo nel negozio. Lidia e Giorgio non furono molto contenti di questa decisione, ma gioco forza acconsentirono.

Siccome forse le cose per la famiglia Tagliacozzo andavano bene nonna Ester comprò tre o quattro appartamenti. Uno per lei uno per ogni figlio più grande, mentre ai due piccoli niente.

L’aria del razzismo si faceva sempre più forte.

Passata la contentezza del negozio, anche i Tagliacozzo se ne resero conto. Coloro che invece se ne resero conto presto furono i genitori di Lidia perché tolsero a suo padre la presidenza del Lloyd Adriatico. Per cui dopo aver sistemato tutti i suoi impiegati morì anche lui di crepacuore.

La moglie (donna forte), pensò di scappare per andare in Svizzera dal fratello del marito. Così si mise in viaggio a piedi con altra gente che scappava per arrivare al confine tra l’Italia e la Svizzera. Non so quanto dovettero camminare ne dove era il confine però vi arrivarono.

Prima di scappare la madre di Lidia aveva messo tutti i gioielli e i soldi dentro la fodera di una pelliccia di astrakan che lei si portava sulle braccia. Al confine dovendo passare il filo spinato e lei con la pelliccia non sapeva come fare le si offrì un signore molto gentile per reggerle il filo spinato e la pelliccia. Lei, fidandosi, gli dette la pelliccia. Se non che, questo signore fece scattare l’allarme. Lui scappò con la pelliccia di astrakan e la madre di Lidia si ritrovò ancora nello stato italiano e senza più niente.

Per fortuna non si perse d’animo: si guardò intorno, fece un attento esame della situazione e si rese conto che vicino c’era un paesino. Per cui si incamminò per il paese. Percorrendo le strade notò una chiesa e vi entrò. Cercò il prete lo trovò e gli disse tutto quello che le era successo e naturalmente aiuto. Per sua fortuna il prete la aiutò e si misero d’accordo che per tutto il tempo dell’occupazione nazista lei avrebbe fatto da perpetua a lui. E così fu. Questo prete che poi diventò cardinale quando finì il razzismo e la guerra andò al lido dalla madre di Lidia ogni anno.

Intanto anche a Roma le cose precipitavano. La famiglia Tagliacozzo pensò di scappare. Chi in America, chi in Africa tranne Giorgio e Lidia. Dovevano rimanere per salvaguardare i beni di famiglia. Cosa che fecero a rischio della propria pelle.

Le sorelle si vendettero gli appartamenti per pagarsi il viaggio con il piroscafo. Mentre quello di Ester Tagliacozzo lo tenne come anche Fulvio Tagliacozzo lo tenne. Due problemi in più per Giorgio e Lidia. Il terzo arrivò nel 1944 perché Lidia rimase un’altra volta incinta. Di questo ne parleremo in seguito.

Ma … torniamo nel 1938 … quando tutti partirono da Roma a Giorgio e Lidia non rimase che tornare alla loro casa in viale Giulio Cesare. Facendo su e giù da casa a negozio per vedere se tutto era in ordine. A questo punto entrano tre personaggi nuovi. Uno è il più importante perché è stato colui che li ha salvati da una retata delle SS in viale Giulio Cesare. L’altra la sorella della madre di Lidia e terzo una amico che diventò tale quando comprò un appartamento di una delle sorelle.

Del primo non so il nome, ma era un personaggio che lavorava in Prefettura e abitava sotto casa di Giorgio e Lidia. Tra le sue carte gli capitò il mandato delle SS per prendere Lidia, Giorgio e figlio. Per cui la sera non so di quale giorno o ora, andò da loro e glielo disse. Lidia fece come la madre, raccolse tutte le cose più preziose, cominciando da Giorgio e figlio per continuare con i soldi e le cose preziose.

Col pianto nel cuore abbandonò la sua bella casa e chiudendo la porta si chiedeva quando l’avrebbe rivista. Vicino a lei con Giorgio accanto che teneva il figlio in braccio. Fecero appena in tempo a scendere le scale per uscire che arrivò il plotone tedesco. Non potendo più uscire in strada continuarono a scendere le scale per ritrovarsi nel cortile del caseggiato. Disperati perché pensavano che non avevano più via di scampo. Quando una voce di donna li chiamò. Era una portiera del palazzo: Maria. li fece entrare in casa sua tutti e tre. Probabilmente li nascose bene perché le SS quando andarono a perquisire la casa non li trovarono.

Nel frattempo, il piccolo Alberto, oltre che aver ritrovato la parola, aveva anche imparato a zompicchiare (a camminare), perciò approfittando di una disattenzione di tutti una mattina uscì dal cortile, inforcò le scale e si ritrovò in strada. Quando Giorgio e Lidia se ne accorsero andarono anche loro per la strada a cercare il figlio che era scappato. Girarono intorno al palazzo, si allontanarono dal loro palazzo rischiando sempre di più. Alla fine si arresero perché non lo trovarono. Avviliti e disperati tornarono sui loro passi. Quando furono sotto casa, il pizzicagnolo che conosceva Lidia e Giorgio (perché il negozio era sotto casa loro) li chiamò dicendo che aveva qualcosa che apparteneva a loro. Era Alberto, lo aveva visto uscire dal portone da solo e lui con lo specchietto di una leccornia lo aveva attirato nel suo negozio e lo aveva trattenuto. La famigliola era un’altra volta riunita.

Dopo questa avventura finita bene c’era da risolvere urgentemente dove nascondersi. Certamente a casa loro no, anche perché fu requisita e occupata da un gerarca fascista. L’unico posto sicuro pensarono che fosse la cantina del negozio. Queste erano come delle caverne quasi un labirinto e vi si accedeva solo con il montacarichi. Fu la carta giusta anche perché c’era il fido Bartolomeo che li aiutava.

Adesso c’era da risolvere il secondo problema: salvare i beni dei Tagliacozzo. Erano rimasti due appartamenti a via Crescenzio. Quello della nonna Ester e quello di Fulvio. Il secondo era vuoto mentre il primo era pieno di mobili e soprammobili. Non so come fece Lidia, ma riuscì a svuotarlo e a far trasportare il contenuto in un garage che era vicino al negozio. Tra tutti questi mobili c’era un bellissimo pianoforte a coda.

Naturalmente il tempo passava. Il razzismo diventava sempre più violento. Oltre a questo vi erano anche i bombardamenti. Non so quando, ma Lidia che era andata a fare qualche commissione in città (sempre rischiando) lasciando marito e figlio a negozio si ritrovò nel bombardamento di S. Lorenzo!

Per sua fortuna si rifugiò in un portone che resistette ai bombardamenti. Quando ne uscì, c’era una atmosfera di morte con gente morta o ferita ma quello che la colpì di più erano i cavalli morti o feriti. Questo perché all’epoca avendo poca benzina le macchine i tram erano trainati dai cavalli, somari e muli. Nel frattempo a Giorgio giunse la voce del bombardamento e affidando il figliolo al fido Bartolomeo raggiunse San Lorenzo, col cuore in gola. La fortuna volle che si incontrarono tra le macerie dei palazzi, i feriti e i morti.

Tornarono al negozio a piedi e Lidia abbracciò il suo tesoro Alberto, che l’aspettava a braccia aperte. Questa fu altra avventura finita bene per fortuna. Col passare del tempo Lidia cominciò a pensare di mettere il piccolo Alberto al sicuro, sacrificando l’amore materno e paterno anche perché loro dovettero pensare ai beni di famiglia e cioè i due appartamenti che erano rimasti in via Crescenzio a. Non so chi le fece conoscere una certa donna che si chiamava Amabile, dicendole che era affidabilissima e molto seria. Lidia si fidò parlò con questa Amabile che dietro compenso avrebbe tenuto Alberto facendolo passare per suo figlio. Così fu. Il distacco fu difficile per tutti tra pianti abbracci e disperazione.

Adesso che Lidia non aveva più il pensiero del figlio era un po’ più libera di agire e anche Giorgio. Giorgio, però, era troppo incosciente e spesso si vedeva con un amico Era colui che aveva comprato uno degli appartamenti delle due sorelle, era Pino Cario. Si incontravano in un bar semi nascosto. Non so cosa si raccontassero, ma alla fine del loro incontro prendevano sempre un tram insieme. Un giorno però questo tram fu fermato dai tedeschi per fare un controllo. Sia Giorgio che Pino non si persero d’animo appena il tram fu fermo saltarono dalla finestra del tram correndo il più possibile per allontanarsi da quel tram. Naturalmente dopo una lunga discussione Lidia proibì a Giorgio di andare a quegli appuntamenti Per cui Pino e Giorgio si sentirono solo per telefono.

Restava da risolvere come conservare gli appartamenti dei Tagliacozzo. Per il suo ormai non aveva più speranza perché lo aveva, occupato un gerarca fascista invece quelli dei Tagliacozzo no. Pensa e ripensa insieme al marito alla fine trovarono la soluzione. Intestare gli appartamenti a nome di altri. Non so come fecero ma ci riuscirono.

Una di queste persone so che era una certa signora Cherubini che aveva lavorato nel negozio, per l’altro non lo so. Fatto sta che riuscirono a non fare occupare gli appartamenti al contrario di quello di Lidia. Mi pare che a un certo punto spuntò un certo avvocato Tedeschi che al contrario dell’avvocato Musatti non aiutò molto la famiglia Tagliacozzo … anzi questo avvocato Tedeschi non so in quale modo cercò di mettere in difficoltà Giorgio e Lidia, ma non ci riuscì. Al contrario dell’avvocato Musatti che fu sempre presente quando i miei erano in difficoltà. Musatti, era amico di famiglia dei genitori di lidia da tanto tempo e anche lui abitava al Lido di Venezia. Era il fratello dello psicologo Musatti.

Ci fu un altro personaggio che aiutò Lidia e Giorgio: era la sorella della madre di Lidia, già ricordata precedentemente. Abitava in via Nomentana e aveva un grande e bell’appartamento. Aveva sposato un funzionario del Ministero dei Trasporti. Questo era cristiano e anche lei si fece cristiana. Lei pensava che non l’avrebbero perseguitata. Ma non fu così. Prima che scoppiasse il razzismo c’è da premettere che rimase vedova. Quindi anche lei era sola, per cui scappò dalla sua casa per andare dal fratello in Svizzera e al contrario della madre di Lidia vi riuscì.

Prima di partire chiuse a chiave l’appartamento, ma inutilmente perché anche questo venne occupato, non so da chi, ma fu liberato grazie ai Tagliacozzo.

A un certo giorno anche il rifugio del negozio era diventato non più sicuro perché nella zona giravano sempre più spesso i tedeschi, per cui era necessario trovare un altro rifugio. Giorgio e Lidia avevano in mano le chiavi dell’appartamento lasciato dalla zia che si era rifugiata in Svizzera. Per cui vi fecero un pensiero. Andarono a vedere e scoprirono che l’appartamento era stato occupato. Per cui persero le speranze di entrarvi.

Qui intervenne l’Avvocato Musatti, il vecchio amico di famiglia di Lidia, perché abitava anche lui a Venezia, al Lido. Per cui fece da mediatore con coloro che occupavano l’appartamento. Riuscì ad ottenere per Giorgio, Lidia e Alberto una camera nell’appartamento. Giorgio e Lidia accettarono. Grazie però ai pianti e capricci di Alberto non potendone più gli occupanti (chiamiamoli abusivi) lasciarono l’appartamento. O forse più verosimilmente ebbero paura e preferirono andare via. In questo modo rimasero padroni di tutto l’appartamento con grande felicità di Lidia.

Devo fare un passo indietro. Alberto era tornato dai suoi veri genitori perché quella santa donna … che doveva fare passare Alberto per suo figlio (ve la ricordate Amabile) a un certo punto ricattò Lidia. A ogni incontro voleva soldi. Per cui Lidia si riprese suo figlio e se lo tenne con se felicissima di averlo vicino anche se correva dei rischi come loro. L’appartamento oltre che essere grande sotto aveva un giardino dove Alberto e famigliola potevano stare quasi tranquilli perché era abbastanza lontano dalla via principale (Nomentana) Stettero abbastanza tranquilli in quella casa. C’era uno studio, una camera dove si stirava, due bagni uno signorile l’altro di servizio, la cucina con balcone e la camera da pranzo. Tutto a disposizione di Llidia. Ma rimpiangeva sempre la sua casa in mano ad altre persone.

In questo paradiso approssimativo, Giorgio e Lidia andarono a cercare una cicogna per dare un fratellino ad Alberto. La trovarono. Però la vita nonostante la bella casa i rischi di essere presi dai tedeschi esistevano sempre. Sia quando Lidia faceva la fila per avere il latte o il pane. Sia quando Giorgio usciva per delle commissioni. Infatti un certo giorno si resero conto che anche il quartiere Nomentano si stava riempiendo di soldati tedeschi per cui non era più sicuro restare in quella casa.

Bisognava pensare a un altro luogo. Pensa e ripensa a Giorgio venne in mente di andare nel paese dove di solito in estate con la sua famiglia andavano in villeggiatura. Il paese non era molto distante da Roma. Ci si poteva arrivare in treno. Il paese era Oriolo Romano.

Intanto Lidia aspettava il fratellino per Alberto. Era forse all’ottavo mese. Nonostante questo partirono e andarono a Oriolo. Furono accolti benissimo specie da Marietta che era la donna che affittava la casa alla famiglia Tagliacozzo quando (come già detto andavano in villeggiatura). Specie Lidia che era in dolce attesa. Tutte le mattine la mettevano sotto un fico perché dicevano che i fichi le facevano bene. Giorgio invece si divertiva a portare in bicicletta Alberto e tutti i suoi amichetti che si era riuscito a farsi in quel paese. Anche Lidia nonostante il suo stato andava in bicicletta che un giorno mentre andavano tutt’e due in (bicicletta), mi raccontò papà che a un certo punto della loro passeggiata incrociarono due serpi e che non sapendo che fare ci passarono sopra. Un’altra cosa che invece mi raccontò mamma fu che un giorno Marietta fece una bella polenta calda. Una volta fatta la mise in mezzo al tavolo della cucina e tutti si misero a sedere intorno al tavolo e con uno spago tagliavano la loro fetta da mangiare. E così anche Giorgio e Lidia anche se non erano abituati a mangiare in quel modo, ma lo fecero. Con grande soddisfazione di Marietta che l’aveva fatta quasi appositamente per loro due.

Intanto il tempo passava e Lidia cominciava ad avere le prime doglie. Sempre più forti fino al punto che tutti, a cominciare da Marietta, stavano preparando tutto per far partorire Lidia in casa. A Lidia, però, tutto questo non la entusiasmava e pur sapendo che avrebbero corso dei rischi tornando a Roma confidò la cosa a Giorgio che condivise il volere della moglie. (Debbo fare un passo indietro).Quando Lidia si rese conto di essere rimasta incinta le venne in aiuto la dottoressa della famiglia Tagliacozzo, Costanza Belisario. Le confidò che non avrebbe più voluto mandare avanti la gravidanza visto i tempi che stava vivendo. La dottoressa a questo punto si arrabbiò dicendo che ormai non poteva più tornare indietro e che doveva partorire. Così fu. Per questo la dottoressa Belisario si faceva chiamare da me: la mia seconda mamma.

Anche. io me la ricordo come una seconda mamma vicina a me ogni volta che ebbi problemi di salute, accorreva subito quasi lasciando altri pazienti. Da piccolo però non mi era molto simpatica, il motivo lo dirò più avanti.

Giorgio e Lidia dissero le loro intenzioni a Marietta. La quale si disperò e cercò di convincerli a restare a Oriolo che era più sicuro di una Roma invasa dai tedeschi, i due non sentirono ragioni per cui la mattina dopo presero il treno per Roma. Il treno era pienissimo dovettero stare in piedi tutto il tempo del viaggio. Giorgio teneva Alberto in braccio vicino a Lidia. Però a un certo punto la folla fece allontanare Giorgio e Alberto e Llidia si ritrovò sola circondata da uomini che cominciarono a farle dei complimenti non graditi. Cominciò a gridare: Giorgio, ma non sentiva o per lo meno non poteva intervenire perché era troppo lontano da lei. Lidia se la stava vedendo brutta, ma seppe reagire. Cominciò a dare schiaffi poi prese la sua borsa di coccodrillo a con una cerniera abbastanza pesante e cominciò a dare borsate. Così facendo riuscì a raggiungere Giorgio e Alberto e fu al riparo. Tra una cosa e l’altra il treno arrivò a Roma. Però arrivò a Roma all’ora del coprifuoco. Lidia e Giorgio non pensarono a questa coincidenza e si diressero alla clinica in via Cola di Rienzo che poi diventò un cinema. Infatti quando arrivarono alla porta chiusa della clinica non li volevano fare entrare perché dicevano che era una scusa per entrare visto che era in vigore il coprifuoco. Solo quando Lidia svenne si convinsero a farli entrare. Nacque un bel maschietto, il sottoscritto.

Per questo se i tedeschi avessero fatto una retata mamma stava negli alloggi delle suore, mentre mio padre invece doveva stare in una bara … nella camera mortuaria, io ospite di qualche altra puerpera. In tutto questo quello che non so dove stava mio fratello.

Come se non bastasse, per le cure che avrebbero dato a mia madre vollero che papà con l’autoambulanza e un altro uomo andassero a fare i rifornimenti per la clinica. La cosa avveniva di notte. Una sera l’autoambulanza si trovò in mezzo a sparatorie e la macchina di papà fu colpita. Giorgio e il compagno fecero in tempo a uscire e a nascondersi dietro una montagnola. Poveri mamma e papà quante ne hanno passate e quante ne hanno dovute passare anche in tempo di pace. A cominciare dal fatto che per 20 anni la madre non l’ha più voluta vedere perché delle malelingue avevano parlato male di Lidia e non solo arrivarono fino in Svizzera per parlare male di lei.

Dissero che Lidia era una pazza e che non curava nè il marito nè i figli. La madre venti anni dopo tramite Zia Linda (ve la ricordate) riuscì a riavvicinarle con grande felicità di entrambe. La cosa durò purtroppo poco perché la madre morì.

Di questo periodo ho trovato delle lettere dove mia madre chiedeva perdono alla madre, lettere delle cattiverie e lettere della madre che non voleva più vederla. Queste lettere le ho distrutte pensando che oramai non c’erano più le persone ed era inutile parlarne.

Certo dopo aver passato la guerra anche tutto questo deve essere stato difficile andare avanti.

Per mantenere la famiglia Lidia si adattò a fare la cameriera (o quasi) lei che era abituata in gioventù ad avere due cameriere.

Qui finiscono i miei ricordi. Per cui finisce il racconto … ma forse potrebbe continuare … chi lo sa.

Una ultima cosa, penso che al giorno di oggi i miei non si sarebbero salvati perché siamo diventati egoisti e ognuno, purtroppo, cerca di tirare l’acqua al proprio molino, come dice un proverbio. Ringrazio tutti coloro che hanno aiutato la mia famiglia a salvarsi dai tedeschi anche se non ci sono più.

Nota biografica

1 Gualtiero Tagliacozzo, figlio di Giorgio e Lidia, è nato a Roma nel 1944. Laureato in architettura, ha lavorato come libero professionista e all'ufficio stampa dell'AIL (Associazione italiana contro le leucemie).

Casella di testo

Citazione:

Gualtiero Tagliacozzo, Memorie di memorie, "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", III, 1, gennaio 2014

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