Vincenzo Pinto, Auschwitz e Birkenau

"Free Ebrei", IV, 1, giugno 2015

Auschwitz e Birkenau

di Vincenzo Pinto

Abstract

Vincenzo Pinto tells his jorney in Auschwitz and Birkenau and tries to assess the importance of the memory after the end of the "witness's age"

Io e Sandra siamo andati a visitare il campo di concentramento/sterminio di Auschwitz durante il breve soggiorno a Cracovia di fine giugno 2015.

Premetto che ho già avuto modo di visitare altri lager (Dachau nel 1996, Buchenwald e Mauthausen nel 1998, Sachsenhausen nel 2012 e la Risiera di San Sabba a Pasqua di quest’anno), e tutti mi avevano trasmesso una indicibile e comprensibile tristezza. Mi ricordo in particolare Buchenwald, che visitai in un gelido febbraio del 1998 durante il mio soggiorno Erasmus in Germania (a Colonia), insieme a pochi altri visitatori, e Mauthausen, che visitai nel luglio successivo con un mio compagno di scuola e uno di università casualmente incontrato in Austria. Buchenwald mi sorprese per la simbolica vicinanza a Weimar, sede della fioritura del classicismo letterario tedesco (Goethe, Schiller, Herder ecc.). Di Mauthausen ricordo la location, cioè un colle che domina la valle del Danubio, i prati fioriti che circondano al sua fortezza.

La lunga premessa serve a indicare lo stridente contrasto fra la bellezza e la mostruosità che possono albergare a poche distanze di metri e, più in generale, nell’animo umano. La cultura tedesca è stata capace di grandi picchi in pressoché tutti i settori umani (salvo la cucina, con la lodevole eccezione delle torte) ma anche di inumane azioni perpetrate contro altri popoli.

La visita ai campi di Auschwitz e Birkenau, se avviene di mattina (cosa che io e Sandra ignoravamo), è soggetta a una guida che conduce il gruppo di italofoni lungo un percorso ben preciso, cadenzato da alcune tappe. Come ho detto per la Risiera di San Sabba, una descrizione analitica della visita è inutile, perché la cosa importante è visitare questi posti, vedere cosa è successo, come sia stato possibile tutto ciò, perché solo la visione, il tatto e gli odori, cioè il rapporto diretto coi nostri sensi ci permette di capire – ancorché lontanamente – ciò che è successo e come devono essersi sentite le persone condotte alla morte quasi certa e i carnefici di turno, cosa può averli animati, indotti, a uccidere barbaramente, a obbedire agli ordini, ad abdicare al libero arbitrio per sottomettersi alla volontà distruttiva del popolo, del capo o della loro patria.

Gli psicologi, gli storici e i filosofi hanno scritto tanto su questi tempi e scriveranno ancora, visto che le barbarie continuano a compiersi ancora oggi. Ma è certo che Auschwitz rappresenta il “modello”, il simulacro “Alfa” di un esperimento tecnologicamente aberrante volto a disumanizzare le vittime, a ridurle allo stato di animali senza coscienza, senza niente.

La guida polacca, infatti, ha proprio insistito su questo aspetto: il totale annichilimento di qualsiasi umanità nelle vittime (in questo caso soprattutto ebrei). La privazione dell’umanità inizia prima esteriormente, eliminando tutti quegli oggetti quotidiani che legano le persone alla loro sfera privata e pubblica, e poi prosegue interiormente, privandole della voglia di vivere che spesso si tramuta nel desiderio di morire (possibilmente velocemente e soffrendo poco).

La mia carrellata fotografica mostra alcuni scorci dei campi di Auschwitz e Birkenau, concentrandosi proprio sul percorso “disumanizzante” della visita, sulla visione di ciò che resta dell’iter mortuario nazista (prigioni, camere a gas, forni crematori) e sui luoghi di Birkenau, dove abbiamo visto, accanto ai monumenti, una baracca e la latrina.

Non auguro a nessuno di dedicare una vacanza alla visita di un campo di concentramento, perché se ne esce veramente feriti psicologicamente, consapevoli della transitorietà umana e della fragilità della nostra esistenza. Ho pensato per giorni a come centinaia di migliaia di persone, colpevoli per un’appartenenza non scelta, siano state condotte alla morte e non abbiano potuto farci niente. La guida polacca è stata interrogata da alcuni membri del gruppo, evidentemente a digiuno di nozioni storiche (e, direi, di buon senso), circa il silenzio della popolazione civile dei dintorni. Non potevano vedere e quindi non sapevano, è stata la sua risposta. La mia sensazione è un’altra, ma non è questo il luogo per esprimere ciò che penso dell’umanità in generale o per fare un confronto tra il comportamento degli italiani o dei polacchi.

Auschwitz, per quanto sia un posto di desolazione e di morte, che rischia anche di scomparire (la guida ha parlato di superficie fangosa che starebbe erodendo le fondamenta di alcune costruzioni), merita di essere visto e vissuto, perché è giusto che, nelle nostre miserabili e sicure vite, ci rendiamo conto di che cosa significhi essere perseguitati e dove l’animo umano possa arrivare se spinto solo dall’odio e dal risentimento verso il prossimo.

 

Ingresso ad Auschwitz

 

Santayana

Contenitori di ZB (1401)

Protesi

Bicchieri e tazze

Valigie

 

Abiti

Scarpe

Spazzole

Creme

 

Giacigli

Lavabi

Prigionia

 

Ricostruzione crematorio

Birkenau: torretta e panoramica

Targa italiana

 

Resti delle camere a gas

 

Baracche

 

Latrine

Casella di testo

Citazione:

Vincenzo Pinto, Auschwitz e Birkenau, "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", IV, 1, giugno 2015

url: http://www.freeebrei.com/anno-iv-numero-1-gennaio-giugno-2015/vincenzo-pinto-auschwitz-e-birkenau