Avrom Sutzker, Sibir (edizione integrale)
"Free Ebrei", II, 3, Dicembre 2013
Avrom Sutzker, Sibir
a cura di Sigrid Sohn, revisione di Sarah Seidmann
Abstract
Sigrid Sohn fully translates "Sibir" by Avrom Sutzkever, the last big Yiddish writer and poet.
L'autore
Avrom Sutzkever, nato nel 1913 a Smorgon in Bielorussia, fu l’ultimo grande poeta e scrittore yiddish. Morì a Tel Aviv in Israele a gennaio 2011.
Durante la prima guerra mondiale la sua famiglia si rifugiò a Omsk, in Siberia, dove suo padre morì nel 1920.
La Seconda guerra mondiale lo vide in Lituania, a Vilna, nel ghetto da dove fuggì con i partigiani nei boschi che circondavano la città. Dopo varie peregrinazioni approdò infine in Palestina, prima della proclamazione nel nuovo stato di Israele dove, nel 1949, fondò la sua prestigiosa rivista letteraria «Goldene keyt».
Il bellissimo poema Sibir fu scritto nell’inverno tra il 1935 e il 1936 e mostra come la natura e gli uomini di quella terra lontana avessero formato il suo carattere. Scrisse dunque il canto in un tempo in cui era un cosiddetto “artista puro” senza alcuna interferenza “poetica”: pura creazione di parole yiddish nel vero senso della parola. Una poesia piena di colori da vedere e da ascoltare.
Fu pubblicato nel 1953 con illustrazioni di Marc Chagall appositamente create per questo poema.
L'opera
Il libro si presenta in un formato album e usa bei caratteri artistici anche sulla stessa copertina con il titolo. Tra i due nomi Sutzkever e Chagall si trova anche il piccolo disegno di un uccello o gallo che si fonde con i caratteri della scrittura. Una composizione raffinata, molto bella.
Poi seguono, su una pagina a parte, alcune spiegazioni sull’origine del poema (Vilna 1936). I disegni furono creati da Chagall appositamente nel 1950. La traduzione in ebraico, eseguita dallo scrittore Shin Shalom, fu pubblicata nel 1952.
Quasi immediatamente segue in Oroth, il piccolo giornale letterario, pubblicato dal reparto Educazione e la Cultura nella diaspora dell’organizzazione sionista, un estratto bilingue. La casa editrice invece sceglie di pubblicare due volumi di cui uno con l’originale e uno con la traduzione. Non è chiaro perché non sia stato fatta un’edizione con il testo a fronte, ma è probabile che la casa editrice avesse interesse per pubblicare due volumi più preziosi.
Sutzkever stesso in una poesia scritta quando già si era stabilito in Israele, chiede al suo pubblico:
“Dovrò forse farmi tradurre quando sono ancora in vita?”
Certamente non intendeva solo se stesso, ma parlava per tutti gli scrittori yiddish viventi, e per lui il problema era particolarmente importante. Lo stile della sua opera si fonde allo stile del suo vivere, la sua lingua e alla musicalità di questa. Sutzkever non può essere pensato distintamente dalla sua lingua. Più che in ogni altro poeta i suoni e le voci delle sue poesie assommano tutti i suoni di quegli strumenti (linguistici) che si fondono con lui per diventare un tutt’uno.
Bisogna infine aggiungere che il canto Sibir Sutzkever lo scrisse ancora prima della seconda guerra mondiale, in un tempo in cui era un “artista puro” senza alcuna aggiunta “poetica”, cioè il suo canto era pura creazione di parole yiddish. Era una poesia da vedere, da ascoltare, da sentire con colori e vitalità.
La poesia inizia:
Tramonto su pallidi sentieri ghiacciati
la mente piena di dolci colori da sogno.
Dalla valle si fa strada la luce di una piccola casa
coperta dalla neve del tramonto.
Praticamente l’immagine è davanti agli occhi e quello che non si vede si sente dalle zayn, lamed e shin.
A questo si aggiunge la particolare struttura che distingue tutto il poema. Questa si sviluppa in tre strofe a quattro versi e ogni verso è a cinque piedi, dove la prima riga (femminile) fa rima con la terza e la seconda (maschile) fa rima con la quarta. Inoltre ci sono diverse allitterazioni. Ovviamente tutte queste caratteristiche in una traduzione per quanto buona, vanno in genere perse.
L’ultimo capitolo si chiude poi con i seguenti versi:
Stella polare cammina forte con me,
sono il tuo pupazzo di neve rivestito di pelle
per il mio gelo, tutto intorno si scioglie
solo le betulle rimangono a far da siepi.
Stella polare, fedele fino alla morte
quanta dolcezza mi evochi!
Ogni estate mi cade addosso come neve, un fuoco
che ogni inverno mi crepita addosso e luccica.
Fa che l’ammonimento eterno
si rivolga alla tua sorridente espressione celeste,
fa che proprio quei suoni, quell’ammonimento
rimangano in me.
Certamente queste parole quasi gelide ma non fredde possono immortalare un poeta.
Anche se Sutzkever usa parole incomprensibili o inesistenti, come per esempio “klinen e klonen”, questo lo può fare se è comprensibile nel contesto. Questo poeta non è ne il primo ne l’ultimo a coniare parole che diventano di uso comune. Sebbene le poesie nascono nel clima gelido della Russia settentrionale possono comunque assumere altre immagini, interpretate nelle traduzioni in ebraico.
Il suo poema nato nel gelo della Russia settentrionale è stato poi importato in un clima subtropicale qual è quello d’Israele e le parole possono assumere significati diversi.
Nei tre capitoli sul amico siberiano Tshanguri si riscontra uno stile di alta poesia e una fortissima sensibilità. Questi capitoli, nonostante lo yiddish di Sutzkever risulti talmente raffinato e sofisticato, assommano tuttavia una semplicità che difficilmente è trasportabile in un'altra lingua e assumono in altre lingue a volte un che di antiquata retorica. Bisogna conoscere l’originale di questa lingua e non la lettura nella traduzione, e “baciarla”, come dice Bialik, attraverso un fazzoletto1.
Note
1 Cfr. Avram Sutzkever, Sibir, Poeme, Tsaykhenung fun Mark Shagal, Farlag Musad Bialik, Yerusholayim 1953.
Il testo
Abraham Sutskever
S I B I R
Poema
Disegni di
MARC CHAGALL
Traduzione dallo yiddish
Revisione e adattamento poetico
Sarah Seidmann
Nella piccola casa Alef
Tramonto su pallidi sentieri ghiacciati
la mente piena di dolci colori da sogno.
Dalla valle si fa strada la luce di una piccola casa
coperta dalla neve del tramonto.
Magici boschi si disegnano sui vetri,
slitte incantate suonano tutt’intorno.
Sulla piccola soffitta tubano i colombi,
tubano come se il suono uscisse dal mio volto.
Sotto il ghiaccio rigato da splendenti cristalli
scorre l’Irtysh appena appena.
Sotto volte silenziose
fiorisce un mondo – un bimbo di sette anni.
Nella piccola casa Bet
Nel chiarore del buio innevato della piccola casa
della mia infanzia in Siberia,
fioriscono dalle mie pupille boccioli,
boccioli d’argento vivo all’infinito.
La luna soffia la sua luce
nei pallidi angoli dimenticati.
Come la luna bianco è il padre,
sulle sue mani immobili il silenzio della neve.
Taglia il pane nero con il coltello lucido
pieno di devozione. Il viso si fa blu
e con nuovi pensieri tagliati a fette
intingo nel sale il pane del padre.
Nella piccola casa Gimmel
Coltelli. Padre. Tizzoni incandescenti.
Infanzia. Bambino. Un‘ombra toglie
il violino dal muro. E din-din delicati
suoni di neve mi cadono sulla testa.
Silenzio. Il padre suona. E i suoni -
impressi nell’aria come nel gelo,
argentini, si perdono nel blu del respiro
sopra la neve dove si specchia la luna.
Attraverso una lastra di cristallo ghiacciata
un lupo gusta il richiamo della carne.
Silenzio. Nella nostra piccionaia un piccolo colombo
sguscia da un uovo, pik pik.
All’alba
Le impronte delle zampe che un animale
ha seminato come rose nella neve,
sono appena illuminate dall’alto
quando il sole rinnovato e sconosciuto
le raggiunge con il suo urlo accuminato. Sotto
è ancora buio. Le radici del bosco
stridono con i denti nel profondo della terra.
Davanti alla slitta il cane emana
un vapore vivo. Il vapore si fonde
salendo con il respiro della gente intorno
e si ferma con il fumo da un camino
finché nell’aria rimane sospeso un bivacco.
Identità Alef
“Dimmi, dove finisce il mondo, padre?!”
Come un filosofo esigo la risposta.
La risposta arriva: “Dietro quella baita
sulla cima della montagna, là dove tramonta il sole”.
Davvero, proprio così? Se è così – non insistere.
Raggiungere la cima! E io corro su,
su sulla montagna, dove finisce il mondo
attraverso reticoli di lacrime argentee.
Gli occhi si interrogano davanti al dio della Siberia,
gli occhi si interrogano, non sia vana la mia nostalgia.
La neve seppellisce tutto il tempo passato fino a ora,
milioni di anni: che tu sia il benvenuto.
Identità Bet
Dietro a me – un puntino, un padre.
Il cuore verso il sole, al galoppo.
Eccomi, ho raggiunto la baita!
Solo la tensione non cala.
Le mie labbra sono attratte dal falò
che ravviva il pianto del dolore.
Padre caro, il mondo si trascina avanti,
non c’è fine – non c’è, non c’è, non c’è.
Il padre non ascolta, le stelle cadono, diventano verdi.
Il padre non vede che dalla pelle chiara
divento da ragazzo – una slavina,
fatta di luce e sorpresa.
Come una slitta dai suoni nostalgici
Sulla neve azzurrina e di diamante
scrivo con il vento come scrivessi con una penna,
camminando sui muffosi terreni
dell’infanzia. Mai ho visto
tale purezza dominare
tutte le misere ombre del pensiero.
Come una slitta dai suoni nostalgici
così tintinna la mia vita delicata e lunga
attraverso la steppa che fa da specchio
all’imbrunire. Con il naso schiacciato,
spia la luna, e le due ali
si riflettono.
Pelliccia che brucia
Campi - luccicanti, accecanti come metallo
Alberi - intercalati da rocce.
Il sole porta una pelliccia che brucia
su nevi che non devono più coprire nulla.
Con il suo pennello di diamante l’artista
dipinge gelo con le sue nevose storie piene di colori sul mio cranio
“firma” come su una lastra di vetro
con il volo di una colomba.
Il sole tramonta dentro di me. Il sole non c’è più.
Rimane solo la sua pelliccia che brucia
su un lungo ramo. E io – muto –
certamente vestirgli vorrei il suo tramonto.
In un bosco della Siberia Alef
Giovane sole che rinasci in eterno,
fa con me capriole sulla neve.
Dice il padre: “Figlio mio andiamo
a prendere la legna nel bosco”. E il nostro
piccolo cavallo d’argento viene attaccato alla slitta.
Il giorno infiamma nella neve
come tagliato a fette da affilati lame di sole.
Polvere scintillante – il respiro! Una corsa
attraverso le maglie del sole
nella steppa degli orsi addormentati. Vibra la neve.
Ora tutte le notti giacciono
stelle cadenti ghiacciate in pace.
In un bosco della Siberia Beth
Bosco. L’ululato dei lupi emana
un fresco luccichio sui rami.
L’eco segue al silenzio e
lancia in me una calda freccia.
Ogni fiocco di neve è un campanellino ghiacciato,
se ti muovi emette un suono
e il suono si sbriciola in mille pezzi.
Improvvisamente una piccola volpe mi mostra la lingua
da un cumulo di neve e sparisce.
“Piccola volpe, non aver paura!”- E la mia guancia
si scalda con lucide lacrime che scendono
finché il sole tramonta illuminando l’ascia del padre.
In un bosco della Siberia Gimmel
Ritorniamo verso la casa silenziosa –
gira ancora la mia anima nel bosco
e il bosco, buono, tranquillo
la riscalda nel petto e la protegge.
Le stelle stanno incoronandomi con un canto,
stelle gonfiate nel vento!
E per le stelle viene quasi da piangere…
finché l’ultimo albero del bosco sparisce,
e solo i tronchi tagliati rimangono sulla neve.
In quel momento mi sveglia la voce del padre.
Vedo: la luna è nella slitta
è venuta con noi verso la mia casa nella valle.
Al padre
Padre, ti sono corso dietro,
seguendo la slitta con la tua cassa
con una colomba nel petto bianca come la neve per
ritrovare da qualche parte le tue memorie.
Quando uno zoppo con il cuore debole
ti ha costruito una casa nuova,
subito dopo un abisso ti ha inghiottito.
Là ho voluto caderci dentro anch’io,
dove brilli sotto il ghiaccio fino a ora!
In quel momento solo la mia colomba se n’è volata via,
il sole della sera incoronato di oro bianco
mi ha tirato su verso la vita…
Irtysh
Silenzio! Da dove nascono questo tipo di rumori?
L’Irtysh vuole travolgere gli argini!
Cerca nei freddi vortici sorgivi
i volti scavati del giorno.
Apre da una ruota sfondata
gli occhi verso le stelle : “Quanto tempo
impiega la primavera per ascoltare la mia preghiera
e il ghiaccio per liberare il mio canto?”
La notte gli mormora un segreto nella barba:
“Un sole nuovo si è fatto!” e subito
cade giù una stellina da un filo
e – bacia l’invernale fiume.
Pupazzo di neve Alef
Pupazzo di neve, ricordo di un’infanzia, protettore
di un lago freddo! Non invano
credo tu sia il mio signore.
Sia tu, pupazzo di neve, per sempre il benvenuto!
Sei il dio dei bambini e dei venti.
Affianco a te si china il mio sogno.
Arrivano branchi interi di lupi
e gridano: “Pupazzo di neve, sorvegliaci, proteggici!
Pupazzo di neve, non ti scioglierai,
resterà in eterno la tua splendente corazza di cristalli.
Come sei bello quando balli sui tuoi trampoli
per gli uomini di stelle nella valle!
Pupazzo di neve Beth
Pupazzo di neve, ridicolo con un pentolino
in testa al posto della corona! Mostra
ancora il tuo sorriso, nella nebbia,
riscalda la mia infelicità con il tuo ghiaccio.
Se la mia nostalgia ti ha raggiunto –
segui le stesse tracce
e arriverai a una piccola casa piena di suoni,
troverai me intento a dire una preghiera alla neve.
Se non mi troverai – non prendertela
saprai che ci siamo evitati.
Conserva tu la mia storia di quella casa
e finisci di vivere il mio presente.
Primavera siberiana Alef
Comincia con lo sbattere ali colorate
nel vento sopra la taiga selvaggia.
Tutto oscilla e sgocciola come uno specchio che si scioglie
Per miglia e miglia verdeggia ai margini.
Nevi bagnate, ali, specchietti pieni di colori e suoni
cantano una melodia.
Si risveglia con il ruggito di un giovane leone
nella pioggia il desiderio infantile
di rincorrere tutti i torrenti impetuosi,
di alzarsi in volo come un uccello
sopra gli uomini, i boschi, le rocce, i precipizi
verso il nuovo giorno di festa!
Primavera siberiana Beth
Con il chiarore di un verde limpido
fluisce senza pietre l’Irtysh.
Le suo onde si vogliono risvegliare
perché lastre di ghiaccio stanno già per sciogliersi…
Attraverso l’unica ruota sgangherata
guarda ora con l’onda più piccola
invece di guardare rabbuiato e impaurito
come il mondo balla il suo karahod1.
Il sole lancia con vigore tutt’intorno
raggi come spade o lecca
i ghiaccioli luccicanti delle betulle,
come un bambino il suo leccalecca.
Chirghiso
Shalom alle lontane lande chirghise,
vicino all’Irtysh, dorato dal falò,
dove tra gli spiedi che girano
avvolgete una melodia e perdete
la vostra tristezza finché cadrete in trance.
Ognuno sorseggia il suo lamento come alcol.
E la vecchia gobba del cammello
che sorride tra le rughe, può capire
la musicalità della vostra febbre gialla.
Quando la mia vita oscilla come una lanterna
indirizzo il mio canto a voi,
apro sette orecchie e – ascolto.
Il mio amico Tshanguri Alef
Sei ancora vivo, amico mio Tshanguri,
o sei diventato una figura di neve?
I tuoi problemi traspaiono dalle nuvole
con le pupille prese in prestito dal bosco.
Vieni di nuovo a giocare con me e trovare
quello che non abbiamo mai avuto.
Lascia che baciamo ogni filo d’erba, ogni foglia
con il primo respiro del mattino.
Lecchiamo il latte appiccicoso delle ferite delle piante
e diamo la caccia alle civette.
Lasciaci addormentare, fratello mio, dopo la lunga passeggiata
come allora, lungo il sentiero.
Il mio amico Tshanguri Beth
Torni nuovamente a cavallo del tuo sordo cammello
con le gobbe, e mi tiri su velocemente
con una tirata di camicia, -
e siamo corsi nel vento
per incontrare in un angolo silenzioso
la nascita delle ombre prima della notte.
Ogni filo d’erba fa magie e luccica
Inimmaginabile la sua bellezza.
Segni di vita spariscono in lontananza,
l’Irtysh, nebuloso, luccica.
Il cammello si lamenta. E noi cavalchiamo
verso le lucide rocce di granito.
Il mio amico Tshanguri Gimmel
Quando le ripide montagne spariscono –
si confonde nel bluviola il bosco.
La lunga mano della sera prende e unisce
tutte le cose particolari che si nascondono.
Balla su un pino l’ultima fiammella,
balla sulle labbra l’ultima parola.
Nel grande sogno il cammello s’inginocchia.
Si fa buio. Solo il silenzio fa chiaro.
Lame di ferro tagliano umide nuvole.
Qualcuno svela i suoi segreti. Arriva la notte.
E noi due mangiamo la luna
come un’anguria tagliata a fette.
Dal rogo Alef
La notte soffia nel bosco dividendo un rogo,
dallo spavento giovani alberi diventeranno grigi.
Calano ombre come lucide accette
tra i rami che scricchiolano, tra le erbe.
E i chirgisi – bambini, donne, uomini –
si specchiano in quegli spigoli taglienti.
Crepitano i rami con il verso delle galline.
E come la perla da un filo rotto
scende la brina su faville crepitanti,
scende la brina su mani congiunte.
Un uccello immerso nella notte
inizia a volare mentre il suo violino brucia.
Dal rogo Bet
Adesso si sente un rumore pieno di vigore,
vicino alla fiamma, una figura di bronzo.
E’ un girotondo, un turbinio col bosco
nel ballo, con nastri argentati.
Un vortice. Un timpano. Una calda melodia,
finché il concertoso ritmo delle scintille
inizia a dondolare come una campana tutto intorno.
Le ultime stelle scendono sulle montagne.
Iniziano ubriachi a ballare i chirgisi
uniti in una catena intorno alla tavola che crepita.
E con onde e spiedi che girano
si eccita l’Irtysh all’orizzonte.
Stella polare
Stella polare cammina forte con me,
sono il tuo pupazzo di neve rivestito di pelle
per il mio gelo, tutto intorno si scioglie
solo le betulle rimangono a far da siepi.
Stella polare, fedele fino alla morte
quanta dolcezza mi evochi!
Ogni estate mi cade addosso come neve, un fuoco
che ogni inverno mi crepita addosso e luccica.
Fa che l’ammonimento eterno
si rivolga alla tua sorridente espressione celeste,
fa che proprio quei suoni, quell’ammonimento
rimangano in me.
Note
1 Karahod o korohod: ballo tradizionale ebraico che si danza in cerchio.
Casella di testo
Citazione:
Avrom Sutzker, Sibir (edizione integrale), a cura di Sigrid Sohn, "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", II, 2, dicembre 2013
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