Itzik Manger, Il libro del paradiso

"Free Ebrei", I, I, giugno 2012

 

 

Itzik Manger, Il libro del paradiso. Le meravigliose avventure di Shmuel Abe Abervo, postfazione di Alessandra Luise, Firenze, Giuntina, 2010, 222 pp., € 15

 

di Alessandra Cambatzu

 

Abstract

 Alessandra Luise's Italian edition of Il libro del paradiso by Itzik Manger allows Italian readers to face with one of the most important Yiddish novels at the turn of the XXth century.

 

 

Figura tormentata e fuori dalle righe, Manger, nato a Czernowitz nel 1901 (la città faceva allora parte dell'impero austroungarico e fu per lo yiddish e la cultura tedesca un centro di straordinaria importanza, basti pensare che vi nacque Paul Celan) in una famiglia poverissima (tratti del padre li possiamo trovare nell'angelo Shlomo Zalmen padre di Pisherl, l'angioletto amico del protagonista del romanzo) ma affettuosa. Fattosi cacciare da un ginnasio tedesco della sua città, vivrà successivamente a Bucarest e a Varsavia, il più importante centro della cultura askenazita. La vita degli ebrei varsaviani fu però resa difficile dal crescente antisemitismo della classe dirigente polacca e Manger si trasferì prima a Parigi, dove trascorse un periodo assai difficile e poi, dopo aver vagabondato tra Marsiglia Tunisi e Londra, si trasferì in Israele dove morì 1969.

Tra le opere ricordiamo: il Medresh Itsik (il Midrash di Itzik), i Megile-lider (i canti della Meghillah), entrambi degni di nota per il tentativo, riuscito, di rielaborare temi e personaggi biblici adattandoli alla vita degli stetlekh, le cittadine o meglio i villaggi ebraici dell'Europa orientale, contemporaneamente dissacrandoli e mostrando la loro inadeguatezza rispetto alla modernità. Questo aspetto dissacratorio è messo in luce anche nel romanzo Di vunderlekhe lebnsbashraybung fun Shemuʼel Aba Abervo - dos bukh fun Ganeydn (lo straordinario racconto della vita di Shmuel Abe Abervo- Il libro del paradiso), in cui i patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe gironzolano per il paradiso ebraico, privi di preoccupazioni e dotati di ville principesche, re David è un femminiere senza scrupoli che fa torcere di gelosia l'ex bella Betsabea che, se potesse, rispedirebbe al primo marito Uria, dispiacendosi assai di averlo fatto uccidere, Saul è impazzito per l'usurpazione della corona e infuria ogni notte sotto il balcone di un ormai annoiato David, Salomone è un tipetto irritabile e così via.

Ma qual è l'ambientazione? Siamo nel paradiso ebraico, separato da quello cristiano (per la precisione ortodosso, dove allignano sinistri angeli antisemiti come Dimitrj e santi in vena di ammiccante proselitismo come Nicola) e un paradiso islamico molto meno caratterizzato del primo. Questo paradiso ebraico è piuttosto sui generis, anzi assomiglia moltissimo alla terra. Ricchezza, povertà, diseguaglianze e liti tra mariti e mogli: non c'è differenza tra cielo e terra. Mentre i patriarchi si godono una ricchezza spropositata, angeli poverissimi combattono per mettere un boccone sotto i denti e la povertà è tanta che in famiglia ci si passano le ali. Sì perché, è bene ricordarlo, il paradiso è abitato da angeli e tutti possono volare.

Il protagonista Shmuel Abe è un piccolo angelo che trascorre serenamente le sue giornate, in compagni perlopiù del fedelissimo amico Pisherl, discolo e burlone, dal nome assai evocativo. I due però non sono sullo stesso piano: Shmuel Abe è un angelo “temporaneo”, destinato alla vita sulla terra, Pisherl resterà e vivrà in paradiso. Simon Ber, un angelo ubriacone e manesco, ha il compito di dare al piccolo Shmuel il colpetto sul naso che sancisce la fine della vita in paradiso e la nascita come comune mortale. Rassegnato, Shmuel “arriva” sulla terra e viene accolto da una yidishe mame affettuosa e soffocante e da un padre anonimo e succubo della moglie. All'arrivo di questa meraviglia che parla e ragiona come un adulto e soprattutto racconta cose meravigliose e incredibili del paradiso, il rabbino, il dayen (giudice di una corte religiosa) e dal riccone del villaggio, reb Hurvitz, scoprono, stupiti, che il paradiso è né più né meno un luogo di ingiustizia e privilegi in poco o nulla migliore della terra, che il paradiso cristiano è un luogo pericoloso e popolato di persone, quando va bene inaffidabili (si veda lo spassoso episodio dello shorabor, il massiccio bue all'ingrasso destinato a essere mangiato nel Giorno del Giudizio, che fugge e scappa proprio nel paradiso cristiano). Credere? Non credere? Il romanzo lascia la porta aperta alle interpretazioni.

La bella traduzione di Alessandra Luise ci trasmette tutta la sorridente malinconia della scrittura di Manger e la vita di un paradiso-shtetl in cui si sorride per non piangere. L'andamento è quello di una fiaba sospesa ma in fin dei conti amara. Dov'è Adonay? Dov'è la giustizia? si chiede Pisherl, forse la figura più simpatica e meglio tratteggiata di tutta la narrazione. Non c'è risposta alla domanda e finché la gente non chiederà giustizia questa non sarà data.

Casella di testo

Citazione:

Itzik Manger, Il libro del paradiso (recensione di Alessandra Cambatzu), "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", I, 1, giugno 2012

url: http://www.freeebrei.com/anno-i-1-gennaio-giugno-2012/itzik-manger-il-libro-del-paradiso