Anna Szwarc Zając, Witold Pilecki ad Auschwitz

"Free Ebrei", VII, 1, maggio 2018

Witold Pilecki ad Auschwitz

di Anna Szwarc Zając

Abstract

Anna Szwarc Zając tells us the story of Witold Pilecki, a Polish cavalryman, intelligence officer and patriot, active during the Second World War, who was executed in 1948 and rehabilitated in 1990.

Witold Pilecki è nato il 13 maggio 1901 a Ołoniec, in Polonia. All’epoca la Polonia non era come la conosciamo oggi, bensì faceva parte del Nord della Russia. La sua famiglia era di origini nobili pertanto dovette superare tante difficoltà. Marco Patricelli nel suo libro Il volontario descrive molto bene il quadro storico di quegli anni:

Julian Józef [il padre di Witold – aggiunto ASZ], è stato uno dei patrioti che nel 1863, secondo la ‘vocazione nazionale’ polacca, ha provato a liberare la sua patria dal giogo di Pietroburgo: l’ennesima insurrezione fallita, tragica e romantica, delle tante che hanno punteggiato gli ultimi decenni di una Polonia che non esiste più dal 1795, quando Russia, Austria e Prussia si sono spartiti i lembi rimanenti di uno Stato già parzialmente smembrato nel 1772 e nel 1793[1].

Sebbene Witold frequentò la scuola russa, acquisendo una grande padronanza della lingua, non dimenticò mai le sue radici. In casa si parlava polacco ed, ovviamente, si leggevano i libri scritti dai poeti polacchi. Nel 1910 la famiglia si spostò a Vilnius e qui Pilecki si avvicinò agli scout Szare szeregi. Successivamente, quando la Polonia divenne un Paese libero, Pilecki iniziò a frequentare dei corsi di formazione sia dell’università di Poznań sia di Vilnius. E’ in questi anni che il giovane Witold incontra la professoressa Maria Ostrowska[2] e si innamora perdutamente di lei. I due si sposarono il 7 aprile 1931. Dalla loro unione nascono Andrzej (Andrea) e Zofia (Sofia)[3]. Nonostante le responsabilità da capo della famiglia, Witold continua a sostenere il suo Paese e decide di entrare a far parte dell’Esercito polacco. Parteciperà attivamente alla lotta contro i Bolscevichi durante la battaglia del 1920, e lo stesso farà ben diciannove anni più tardi, quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale[4].

Dopo la conquista della Polonia da parte della Germania, Pilecki non si arrende e cerca di contrastare l’invasione tedesca. Insieme al commilitone Jan Włodarkiewicz, Pilecki crea una rete di fiducia per contrastare il nemico. Gli incontri clandestini si terranno a Varsavia in via Idzikowskiego:

 

Il senso del dovere, qualche tempo dopo, porta Pilecki a Varsavia, con il suo comandante, il maggiore Jan Włodarkiewicz; assieme a lui, nel corso di un incontro nell’abitazione della cognata Eleonora Ostrowska, aveva stabilito di creare un’organizzazione clandestina per proseguire la lotta per riconquistare l’indipendenza: il 9 novembre 1939, nella Polonia dilaniata dagli artigli d’acciaio dell’aquila nazista, nasceva l’Esercito secreto polacco (Tajna Armia Polska)[5].

 

Il 10 novembre 1939 nella chiesa di Varsavia ubicata in via Długa 15, Pilecki e i suoi compagni prestano giuramento alla presenza del prete Jan Zieja[6]. Dopodiché Witold diventa un ispettore del TAP (l’Esercito segreto polacco). Durante la sua attività da ispettore pianifica le nuove azioni da intraprendere. Tra queste la più impegnativa e la più pericolosa è senza dubbio quella di voler entrare in un campo di concentramento. L’occasione ideale si manifesta il 19 settembre 1940. Proprio in questo giorno a Varsavia i tedeschi organizzano la retata. Witold si trova a casa di sua cognata Eleonora Ostrowska in via Wojska Polskiego 40a interno 7 e capisce subito che questo è il momento giusto per mettere in atto il suo piano: guarda il nemico fisso negli occhi ed alza le mani in segno di resa[7]. I nazisti deportano i prigionieri, la maggior parte di loro erano i cittadini di Varsavia, e dopo paio di giorni vengono fatti salire sul treno diretto ad Auschwitz. Il viaggio fu davvero faticoso sebbene fosse durato soltanto un giorno[8]. Era difficile sopportare la polvere di calce, ogni esalazione irritava sempre di più la gola e Pilecki nel suo rapporto scrive: “volevamo soltanto bere”[9], ma l’acqua non arrivava.

Auschwitz apre suo cancello a Pilecki il 22 settembre 1940, si sentivano solo le grida delle SS e gli abbai dei cani[10]. Danuta Czech dopo la data 22 IX 1940 scrive:

 

Da Varsavia vengono internati nel campo di concentramento di Auschwitz 1705 detenuti, destinati al lager dal comando della Sipo e del SD per il distretto di Varsavia. Nel trasporto si trovano 1139 uomini arrestati durante rastrellamenti e 566 uomini provenienti dalla prigione di Pawiak. Ricevono i numeri da 3821 a 4959 e da 4961 a 5526. Il numero 3904 lo riceve il detenuto Stanisław Dębski, ossia Stanisław Dubois, un giovane e impegnato collaboratore del Partito Socialista Polacco (PPS). Con il numero 4007 viene contrassegnato Konstanty Jagiełło, anche gli membro del PPS e attivista dello scoutismo rosso; intorno a loro si raccolgono i socialisti già internati nel lager, cosi ché si possono formare le strutture base dell’organizzazione clandestina di lotta del PPS nel lager. Il numero 4859 lo riceve il detenuto Tomasz Serafiński, in realtà Witold Pilecki, capo di stato maggiore dell’organizzazione clandestina Armata Segreta Polacca (TAP). D’accordo con i suoi immediati superiori, Witold Pilecki, nel corso di un rastrellamento a Varsavia, si era volontariamente aggregato a un gruppo di uomini che dovevano essere arrestati, per entrare cosi nel campo di concentramento di Auschwitz e organizzarvi un gruppo di resistenza, spingere i detenuti a prestarsi reciproco aiuto e cercare di stabilire vie di contatto con l’esterno[11].

 

Fin dal primo giorno Witold Pilecki osserva e memorizza tutto[12]. Incontra le persone che, come lui, odiano i tedeschi. All’inizio cerca di aiutare i prigionieri del lager. Per esempio, dà loro più cibo o assegna i lavori meno faticosi ai prigionieri più deboli fisicamente. Władysław Bartoszewski nel suo libro Mój Auschwitz (Il mio Auschwitz) sottolinea che Witold Pilecki era un militare[13], perciò il suo fisico era preparato a resistere alle difficoltà. Bartoszewski, invece, non era così atletico né così forte pertanto aveva bisogno di maggior sostegno, di una marcia in più rispetto agli uomini come Pilecki. Per questo motivo nella sua mansione Witold era insostituibile.

Sempre nel 1940, Witold Pilecki, crea una organizzazione militare segreta, la TOW (Tajna Organizacja Wojskowa): era un gruppo costituito da cinque persone che, sino ad allora, non erano mai state in contatto né si conoscevano. Ogni partecipante doveva creare, a sua volta, una nuova rete composta da altre cinque persone, e così via… La fiducia reciproca era, dunque, alla base di questa rete come Władysław Surmacki, dr Władysłąw Dering, Jerzy Bebiron, Eugeniusz Obojski, Roman Zagner.

In seguito a Witold venne tolta la mansione che gli era stata affidata e poco dopo i tedeschi diedero l’ordine di densificare il blok. Tutti gli uomini dovevano uscire senza vestiti. A causa di questo nuovo ordine impartito dai tedeschi Pilecki si ammalò, ciononostante rifiuta di recarsi in Rewir, cioè in ospedale. Witold è grave, spesso perde conoscenza e per questo i suoi compagni decidono di portarlo in ospedale, dove venne visitato dal dottor Dering. La cura a cui doveva sottoporsi durava dieci giorni[14]. Pilecki, una volta guarito, rimase in ospedale e lavorò lì, aiutando a Dering. Questo nuovo incarico gli permette di camminare all’interno del lager più liberamente ed incontra Aleksander Wielkopolski. Quest’uomo è stato rilasciato in modo inaspettato. Pilecki non ci pensa due volte, e redige il suo primo rapporto, dove descrive che cosa succedeva realmente ad Auschwitz: menziona l’Olocausto e dichiara che le SS quali responsabili della Shoah. Il documento, grazie all’aiuto di Wielkopolski, è stato mandato e pubblicato a Londra.

Pilecki non si ferma qui. È costretto di lasciare Revir, ma ottiene un posto di lavoro in una falegnameria. Anche in questa occasione crea un nuovo gruppo composto da cinque persone con Fratelli Kupiec, Antoni Rosa, Witold Szymkowski, Stanisław Gutkiewicz[15].

Da questo momento in avanti la vita ad Auschwitz sarà sempre più dura: c’è tanto freddo, manca il cibo e si vedono ovunque i kapo che molto spesso picchiano a morte i prigionieri “la vita e la morte – scrive Patricelli – sembrano un gioco senza regole, capriccioso e spietato”[16]. Un  giorno tenta di scappare, al che i tedeschi organizzano un appello che dura un’ infinità[17]. Pilecki si sente male,  quasi sviene. Per fortuna le guardie non si accorsero di nulla grazie all’aiuto degli compagni, che lo tengono sotto braccio. Lo salva anche un altro fatto, ovvero un prigioniero che non resistendo più al dolore si butta sul filo spinato, catturando l’attenzione delle SS.

Witold sente che deve cambiare lavoro, allora corrompe un kapo e decide di uscire dal lager per demolire le case a Brzezinka. Questo passo gli permette di conoscere altre persone. Parla con le donne che gli forniscono molte informazioni importanti.

Pilecki comincia a conoscere altre organizzazioni clandestine e propone di fare una fusione. Così, durante il Natale 1941, si forma l’Unione dell’organizzazione militare, ovvero la ZOW (Związek Organizacji Wojskowej), il cui leader é Jan Rawisz[18]. La ZOW funziona bene ed è impegnata su più fronti. I collaboratori riescono a rubare una radio dallo comando tedesco e lo nascondono nel blocco 21. Ascoltano le notizie della BBC e grazie al passa parola fanno giungere le informazioni all’interno del lager.

L’Unione dell’organizzazione militare è stata in seguito denunciata da una persona anonima e sono cominciati degli arresti. Il primo ad essere catturato è stato Jan Korcz. Allo stesso tempo Pilecki cerca di creare nuova rete in qualità di nuovo leader. Era in attesa di un ordine da Varsavia per cominciare la rivolta ad Auschwitz, ma l’ordine non è mai arrivato. I tedeschi erano molto sospettosi nei suoi confronti e, in realtà, non hanno mai smesso di indagare su di lui. Nell’ aprile 1943 i nazisti decidono di fare un’ulteriore selezione e deportano tanti prigionieri negli altri campi concentramento. La rete inizia, quindi, a sgretolarsi. Allora Witold ebbe l’idea di scappare da Auschwitz per raggiungere Varsavia. Parla con due colleghi Rawicz e Bogdanowski. Chiede loro di continuare a pensare di organizzare la rivolta[19]. Pilecki, insieme con Edward Cisielski e Jan Redzej, nelle notti tra il 26 ed il 27 aprile 1943 scappano da Auschwitz. Preparano vestiti, soldi e cianuro. Ciesielski preparò un caffè mischiandovi all’interno i sonniferi e per poi offrirlo alle guardie. Nel frattempo Pilecki mise fuori uso la sirena e all’improvviso il collegamento telefonico venne interrotto. Si dirigono verso il fiume Soła, dove avevano lasciato i vestiti. Purtroppo vennero scoperti e le guardie iniziarono a sparare, ma per fortuna, non nessuno venne colpito[20]. Corsero senza sosta per tutta la notte finché non arrivarono ad Alwerina, dove vennero aiutati da un Don[21]. Dopo una breve sosta, i tre decisero di lasciare il rifugio, e di notte, si allontanarono. Chiesero aiuto alle persone che incontravano lungo il cammino[22]. Si imbatterono in un gruppo di tedeschi e, questa volta, uno di loro venne ferito. Perciò furono costretti a fermarsi. Giunsero a Bohnia, ma Pilecki proseguì per raggiungere da solo la capitale. Partecipò alla rivolta di Varsavia[23], venne mandato a Murna, dove si prese cura dei ragazzi feriti, per ciò lo hanno soprannominato “papà”. Nel luglio del 1945 parte per raggiungere il Secondo Corpo Polacco in Italia. Terminata la guerra, Pilecki tornò in Polonia e non smise mai di servire la patria. Combatté contro i comunisti, elencando tutti i crimini da loro commessi. Arrestato e accusato di tradimento, venne ucciso a colpi d'arma da fuoco il 25 maggio 1948. Nessuno disse alla famiglia dove avvenne l’esecuzione. Ancora oggi non si sa dove sia trova il corpo di Witold Pilecki[24].

Infine, un elenco dei nomi utilizzati da Pilecki durante la sua missione in Polonia:

“Witold”, “Tomek”, “Romek”, Tomasz Serafiński, Roman Jezierski, Leon Bryjak, Jan Uznański e Witold Smoliński.

Vorrei ancora citare le parole della figlia di Pilecki, Sofia, che ha detto (mi permetto di tradurla): “Un cavaliere così, non muore mai. Lui è sempre presente tra di noi”.

Note     

[1] Marco Patricelli, Il volontario, Editori Laterza, Bari 2010, p. 5. 

[2] Adam Cyra, Rotmistrz Pilecki. Ochotnik do Auschwitz, trad. Anna Szwarc Zając, RM, Varsavia 2014, p. 98: “Maria Ostrowska aveva tre sorelle (Sofia, Vittoria e Stefania) e due fratelli (Bronislaw e Eduardo).

[3] Ivi, p. 98.

[4] Steven J. Zaloga, L’invasione della Polonia. La “guerra lampo”, trad. Francesca Ceccotti, RBA, Milano 2009, p. 39.

[5] M. Patricelli, Il volontario, ivi, p. 47.

[6] Adam Cyra, Rotmistrz Pilecki, ivi, p. 122.

[7] Przemysław Słowiński, Bohaterowie i zdrajcy. Polacy w służbach różnych wywiadów, Videograf, Chorzów 2013, p. 254.

[8] Guarda il film Der letzte zug di Artur Brauner, 2006.

[9] Il rapporto di Witold Pilecki.

[10] Il argomento dei cani scrive per esempio Zofia Posmysz, Pasażerka, Czytelnik, Varsavia 1971.

[11] http://www.deportati.it

[12] Faceva cosi anche Jan Karski e Seweryna Szmaglewska.

[13] Władysłąw Bartoszewski, Mój Auschwitz, Znak, Cracovia 2010, p. 43.

[14] Adam Cyra, Rotmistrz Pilecki, ivi, p. 149.

[15] Ivi, p. 185.

[16] M. Patricelli, Il volontario, ivi, p. 77.

[17] Władysłąw Bartoszewski, Mój Auschwitz, ivi, p. 121.

[18] M. Patricelli, Il volontario, ivi, p. 67.

[19] Adam Cyra, Rotmistrz Pilecki, ivi, p. 149.

[20] Raport Komórki Więziennej Delegatury Rządu z 1944 r. o Pawiaku, Oświęcimiu, Majdanku i Ravensbrück, „Najnowsze Dzieje Polski 1939-1945”, XII, 1968, p. 

[21] M. Patricelli, Il volontario, ivi, p. 196.

[22] Al contrario della storia di Edek Galiński e Mala Zimbetbaum, quali erano rilasciati alle autorità del campo. 

[23] Adam Cyra, Rotmistrz Pilecki, ivi, p. 351.

[24] Film Polscy bohaterowie wojenni. Witold Pilecki, History 2013.

Casella di testo

Citazione:

Anna Szwarc Zając, Witold Pilecki ad Auschwitz, "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", VII, 1, maggio 2018

url: http://www.freeebrei.com/anno-vii-numero-1-gennaio-giugno-2018/anna-szwarc-zajc-witold-pilecki-ad-auschwitz