Adams e Vice, Representing Perpetrators

"Free Ebrei", III, 2, agosto 2014

Representing Perpetrators in Holocaust Literature and Film, edited by Jenny Adams and Sue Vice, London, Vallentine Mitchell, 2012, 292 pp., £ 50

 

di Vincenzo Pinto

 

Abstract

In this collection of essays editeb by Jenny Adams and Sue Vice, the authors try to analyze how and when the so-called exectioners have been represented in Holocaust Literature and Film and the shift occurred during the decades. 

La storia dei "vinti" è un filone storiografico ben noto agli addetti ai lavori, che tuttavia - così come il revisionismo più estremo (il cosiddetto "negazionismo") - è confinato a precise matrici politiche di carattere spesso strumentale: attaccare la vulgata dominante per rivendicare comprensione, "giustizia" e rovesciare la propria condizione di “vittime”. La narrazione dei “cattivi” è un filone narrativo anch'esso strumentale all'intreccio di un racconto, di un romanzo o di un film: è limitato a certi "caratteri" ben precisi e si consuma alla fine con la loro sconfitta (morte, prigionia o "redenzione") di fronte ai “buoni”. Se la narrazione dei "cattivi" si trasforma nella rappresentazione dei "carnefici", ovvero se la trama individua chiaramente il confine tra ciò che "lecito" (umano, giusto, morale, ecc.) e ciò che non lo è (inumano, ingiusto, immorale, ecc.), essa adempie una funzione meramente pedagogica che però nulla ha a che vedere con una rappresentazione realistica e veritiera della condizione umana. E' politicamente corretta ma esteticamente (ed eticamente) ingiusta. Proprio ai dilemmi sollevati dalla rappresentazione dei "perpetratori" nella fiction dell'Olocausto è dedicata questa raccolta di saggi curata da Jenni Adams e Sue Vice, in larga parte l'esito di un seminario specialistico svoltosi all'Università di Sheffield nel dicembre del 2010.

 

La prima parte della raccolta, intitolata Violence, Aesthetics, Complicity, raccoglie quattro saggi dedicati alle tecniche estetiche applicate da scrittori e cineasti per "negoziare" le sfide etiche implicite nel tentativo di rappresentare i responsabili del genocidio. Il saggio di Robert Eaglestone (Avoiding Evil in Perpetrator Fiction) si concentra su una serie di romanzi contemporanei (fra cui Le benevole di Jonathan Littell) dedicati ai perpetratori, con l'obiettivo di comprendere le ragioni delle loro azioni, ma evita di soffermarsi sui dilemmi sollevati da esse. Il saggio di Jenni Adams è incentrato proprio sull'analisi del protagonista delle Benevole (l'ex ufficiale delle SS Max Aue), che, contrariamente a Eaglestone, esplora in che misura le provocazioni del romanzo invitano reazioni etiche da parte del lettore e quindi una "negoziazione" della collusione verso il progetto di lettura della violenza nazista. Il saggio di Sue Vice analizza invece le inquadrature durante le interviste agli ex membri delle SS nel documentario Shoah di Claude Lanzmann (1985), in particolare sul tentativo da parte del regista di "personificare" e "metaforizzare" l'operato dei "colpevoli". Il saggio di Adam Brown si dedica invece al problema di "genere" nel film sull'Olocausto, analizzando le tecniche estetiche con cui viene rappresentatala complicità delle donne. Brown si concentra poi sulle pellicole Playing for Time di Daniel Mann (1980) e Out of the Ashes di Joseph Sargent (2002), che forniscono un quadro diverso della complicità femminile.

 

La seconda parte della raccolta, intitolata Representing and Understanding, sposta la sua attenzione dalla dimensione estetica al problema di assimilare le figure dei carnefici a nuovi paradigmi concettuali o narrativi esistenti. Il contributo di Lyndsey Stonebridge si concentra sulla nozione di "perpetratore occulto" attraverso la produzione pittorica di Francis Bacon, sorta a seguito del fallimento da parte del Processo di Norimberga di offrire un quadro adeguato al giudizio etico di tali figure. Il saggio di Amy Simon parte dall'analisi delle prospettive diaristiche del ghetto sui carnefici (Josef Zelkowicz ed Emanuel Ringelblum) per investigare l'assimilabilità di tali descrizioni partendo da un paradigma differente. Il lavoro di Antony Rowland (Reading the Female Perpetrator) prende in considerazione il fenomeno della "mascolinità femminile" come mezzo per comprendere la partecipazione delle donne ai crimini nazisti e per esplorare se le narrazioni e gli stereotipi preesistenti di "genere" abbiano limitato un esame delle origini culturali e personali del genocidio.

 

La terza parte della raccolta, intitolata Politics, Form and Genre, si concentra sugli aspetti di genere, stile e traiettoria narrativa nella rappresentazione della colpevolezza genocidiale, concentrandosi sulle sue implicazioni politiche. il saggio di Matthew Boswell dedicato al film di Oliver Hirschbiegel La caduta (2004) riscontra tendenze allarmanti dietro alle scelte generiche del regista, che ricorre spesso a una concezione sociale darwinista della storia e dello Stato rafforzando l'ideologia nazista. Boswell analizza le implicazioni del naturalismo cinematografico della Caduta per investigare da vicino la politica stilistica nella rappresentazioni dei carnefici. Il saggio di James Bailey si concentra sull'impatto del processo Eichmann nella produzione di Muriel Spark. Il nouveau roman offre alla scrittrice scozzese il modo di esporre l'artificiosità degli ordini "naturali" e di smascherare la visione del mondo del criminale di guerra tedesco. Il lavoro di James Jordan analizza le implicazioni politiche del dramma televisivo The Prisoner, prodotto dalla BBC nel 1952, prima rappresentazione dello Stato di Israele che provocò costernazione per la rappresentazione di un ministro israeliano ucciso in quanto precedente nazista.

 

La quarta e ultima parte, intitolata Memories, Sites and Contexts, raccoglie quattro saggi che esaminano differenti contesti nazionali, culturali e generazionali della rappresentazione dei perpetratori. Il lavoro di Caroline Pearce sulla rappresentazione dei carnefici nazisti nei siti memorialistici tedeschi esamina lo sviluppo e le difficoltà affrontati dal confronto tedesco con la storia attraverso la Casa della Conferenza del Wannsee e la Topografia del Terrore. Il saggio di Christine Berberich si concentra sui romanzi The Dark Room di Rachel Seiffert (2001) e Am Beispiel meines Bruders di Uwe Timm (2003), quali mezzi per affrontare il rapporto delle generazioni future con la storia carnefice di quelle antecedenti. La Berberich lega la nozione di "postmemoria" al processo di Vergangenheitsbewältigung (compromesso col passato). Il lavoro di Laurence Piercy (Bruce Chatwin, W.G. Sebald , and the Red-Brown Skin) attinge dal concetto di memoria multidirezionale di Michael Rothberg per esaminare la post-memoria dei carnefici. Piercy offre analisi differenti dei lasciti del colonialismo britannico e del genocidio nazista rappresentate negli scritti di Chatwin e Sebald. Il lavoro di Eleanor Kent usa un approccio multidirezionale simile concentrandosi su Valzer con Bashir di Ari Folman (2008), non limitandosi alla possibilità della colpevolezza personale ma investigando ciò che accade in un contesto post-olocaustico e impegnandosi in discorsi psicoanalitici declinati secondo questi eventi.

 

Questa raccolta saggistica ha un indiscusso pregio: quello di occuparsi del problema della memoria cercando di includere le figure "negative" attraverso un processo di "negoziazione" della loro posizione nella rappresentazione ufficiale. Se la prospettiva anglosassone di questo lavoro è ampia, multidisciplinare e poco "politicizzata", non così può dirsi - per esempio - per quella italiana. Per limitarci al caso della ricezione italiana delle Benevole di Littell oppure di Valzer con Bashir di Folman, il tema della memoria della Shoah è legato indiscutibilmente a valutazioni di ordine quasi meta-religioso, che rendono problematica una considerazione onesta dei "perpetratori". I traumi familiari di Aue, da una parte, e la rimozione del "male" da parte di Folman, dall'altra, sono due esempi lampanti di come sia difficile affrontare il tema del "carnefice" da una prospettiva realistica, senza cadere nello pseudo-lombrosianesimo di Lanzmann o nel darwinismo di Hirschbiegel. E' sintomatico che la raccolta di saggi si limiti a citare il concetto di "zona grigia" di Primo Levi o Il portiere di notte di Liliana Cavani (1974). Se la narrazione può avere un effetto catartico, non è certo imponendo la "vittoria" della purezza etica (come insegna la lezione filmica anglosassone) ma piuttosto tentando di evitare banalizzazioni o demonizzazioni della figura del "carnefice". Che tale resta anche se viene "umanizzato". Ma va compreso, condannato e - a suo modo - "perdonato" perché il futuro non resti impigliato nelle maglie del passato e possa dire e dare qualcosa di nuovo all'umanità.

Casella di testo

Citazione:

Representing Perpetrators, a cura di J. Adams e S. Vice (recensione di Vincenzo Pinto), "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", III, 2, agosto 2014

url: http://www.freeebrei.com/anno-iii-numero-2-luglio-dicembre-2014/adams-e-vice-representing-perpetrators