Maria Pia Balboni, Bisognava farlo. Il salvataggio degli ebrei internati a Finale Emilia

"Free Ebrei", III, 1, marzo 2014

Abstract

Maria Pia Balboni's essay tells the story of the rescue of the Jews imprisoned at Finale Emilia and the role played by Don Benedetto Richeldi.

Maria Pia Balboni è una studiosa di storia locale della Bassa modenese, che ha incentrato le proprie ricerche sulla comunità ebraica di Finale Emilia; in passato ha ripercorso le vicende della sinagoga e del cimitero israelitico della cittadina a cavallo del fiume Panaro.

Il volume ripercorre le vicende relative al salvataggio degli ebrei stranieri che trovandosi in Italia al momento della promulgazione delle leggi razziali e successivamente dello scoppio delle ostilità, furono dapprima internati e, dopo l’armistizio, perseguitati dalle autorità della RSI e dalla polizia nazista. Nella prima parte l’autrice ripercorre la storia della presenza ebraica in Italia, trattando poi la soffocante sequenza di provvedimenti che dal 1938 in avanti colpirono la comunità israelitica, ma che non ostacolarono l’arrivo nel nostro paese di migliaia di profughi provenienti dalle nazioni dove le persecuzioni si erano fatte più odiose, e in seguito, omicide; con lo scoppio delle ostilità, in Italia giunsero successivamente altri fuggiaschi disperati, prima dall’Europa orientale, e poi, dopo il 1941, dai Balcani.

La grande storia si intreccia con la piccola storia della provincia di Modena quando, nel corso del 1941-42, giungono come internati a Finale Emilia una decina di famiglie sfuggite alla catastrofe genocida nazista, trovando un modus vivendi accettabile in una comunità dove da sempre gli ebrei sono stati parte integrante del tessuto sociale cittadino. Qui fanno conoscenza con Don Benedetto Richeldi, che avrà un ruolo fondamentale nelle loro vite future, come anche nella storia della Resistenza nella Bassa modenese; la vita di questi uomini e donne scorre complessivamente senza scossoni, fino al momento dell’occupazione tedesca, che avviene immediatamente dopo l’8 settembre 1943. Rocambolescamente sfuggite a una prima retata – in circostanze che restano purtroppo non chiare, visto che pare siano stati restituiti alla libertà da un ufficiale della Wehrmacht – le famiglie ebree hanno don Richeldi come unico diaframma fra loro e i campi di sterminio. Entra in gioco a questo punto l’abilità nell'improvvisazione e la spericolata umanità del sacerdote modenese, il quale riesce a trovare una sistemazione per tutti, prima a Finale, poi nei dintorni, e per qualcuno perfino sull'Appennino modenese. L'inverno 1943-44 scorre così fra una parvenza di tranquillità, di cui sono testimonianza le fotografie che corredano il testo, improvvise fughe dai rifugi, ignobili delazioni, e travagliati itinerari di fuga verso la svizzera, grazie ad una precaria ma funzionale rete di assistenza creata dal parroco finalese.

Nel corso dei primi mesi del 1944, praticamente tutti gli ebrei riescono a raggiungere la nazione elvetica, sia pure fra pericoli non indifferenti, mentre il piccolo mondo presso cui tutte queste storie si sono incrociate, dovrà ancora subire un anno di occupazione nazista e di rastrellamenti fascisti. Don Benedetto, infatti, sarà uno degli animatori della Resistenza modenese, in una zona, la pianura al confine con la provincia di Ferrara, dove la creazione di una rete clandestina presenta problemi ardui e continue insidie.

Dopo la fine delle ostilità, al sacerdote sarà riconosciuta dal CLN la partecipazione al movimento di liberazione, mentre per i meriti nel salvataggio degli ebrei, saranno illuminati negli anni ’70, non tanto per trascuratezza da parte dei salvati, quanto per la riservatezza di don Benedetto Richeldi, restio alle luci della ribalta; il sacerdote è oggi annoverato fra i Giusti di Israele, per il suo coraggioso comportamento, che ebbe come unico filo conduttore l’imperativo morale del “bisognava farlo”. Il volume si conclude con un lungo memoriale inedito di Don Richeldi e con una interessante raccolta di documenti relativi alle onorificenze ottenute dallo stato di Israele.

La narrazione che ci offre Maria Pia Balboni è agile e ben documentata; ci sono apparsi di notevole interesse i paragrafi dedicati a ciascuno dei nuclei familiari che si trovarono a soggiornare a Finale Emilia provenendo dalle più diverse regioni europee, e da tragiche persecuzioni, offrendo al lettore un efficace affresco di come fu sradicata in pochi mesi la secolare presenza di una comunità prospera e integrata nel centro del continente. Non meno valida la parte in cui sono descritte le "trafile" dense di pericoli e incognite, verso la frontiera svizzera, senza dimenticare gli odiosi sovrapprezzi che furono imposti dagli spalloni agli ebrei più abbienti, cifre che comunque non garantivano mai la certezza di giungere sani e salvi in terra elvetica.

Se un appunto è possibile fare a un opera comunque innovativa (specie per il fatto di essere dedicata a una zona delle cui vicende nel corso dell’occupazione nazista si conosce tuttora assai poco) è un introduzione piuttosto dispersiva nel volersi occupare un po’ di tutto e di tutto un po’, dalla presenza ebraica in Italia in epoca romana fino alle leggi razziali. Si tratta comunque di una valutazione soggettiva, che non inficia il valore dello studio.

Casella di testo

Citazione:

Maria Pia Balboni, Bisognava farlo (recensione di Andrea Rossi), "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", III, 1, marzo 2014

url: http://www.freeebrei.com/anno-iii-numero-1-gennaio-giugno-2014/maria-pia-balboni-bisognava-farlo-il-salvataggio-degli-ebrei-internati-a-finale-emilia