Alexander Rofé, Diversità ideologiche del sionismo italiano

"Free Ebrei", III, 2, settembre 2014

Diversità ideologiche nel Sionismo italiano: Cassuto, Pacifici, Artom, Sciaky

di Alexander Rofé

Abstract

Alexander Rofé gives an account of different souls of Italian Zionism during the interwar period, when he lived in Italy with his family.

Parlare in qualche cosa come venti minuti di questi quattro maestri e pensatori è una vera audacia. E già mi pare di vederli abbozzare un sorriso ironico, alla fiorentina (tutti e quattro furono fiorentini, di nascita o di soggiorno), per questo mio ardire di “condensarli” in sì breve tempo. La mia attenuante è che vorrei semplicemente renderli presenti a un pubblico che non li ha conosciuti, e che forse vorrà poi rivolgersi ai loro scritti per intenderli meglio e comprendere il loro contributo alla vita e al pensiero di Israele.

Comincerò con Cassuto, il mio primo, amato e rimpianto, maestro di Bibbia. Umberto, Moshé David, Cassuto nacque a Firenze nell’età umbertina, nel 1883. A Firenze completò i suoi studi rabbinici e universitari, e colà, poi a Roma, insegnò nell’università e nel collegio rabbinico. Fu invitato all’Università Ebraica di Gerusalemme nel 1939 e qui insegnò fino alla sua prematura scomparsa nel 1951. Dodici anni in tutto! Eppure in questo breve tempo lasciò un’impronta profonda nello studio accademico della Bibbia Ebraica in Israele. Basta dire che Cassuto fu uno dei Padri Fondatori di discipline all’Università Ebraica, fondatori oriundi dall’Italia; come Tedeschi nella giurisprudenza, Bachi nella statistica e demografia, Raccah nella fisica, così Cassutto iniziò lo studio critico-storico della Bibbia Ebraica in Israele. Infatti, nell’Università Ebraica non esisteva una cattedra di studi biblici prima della venuta di Cassuto, c’era stata l’opposizione di fondamentalisti ebrei, che influenzavano i maggiori donatori all’Università; e ricordiamo che in quel periodo, del mandato britannico sulla Palestina, l’Università non era sovvenzionata dallo Stato, e dipendeva perciò dalla generosità di filantropi.

Dunque Cassuto iniziò, anche se con moderazione, lo studio critico-storico della Bibbia nell’Università Ebraica. In primo luogo ciò è evidente col suo rifiuto del midrash, delle omelie tradizionali ebraiche, nell’esegesi della Bibbia1. Il midrash è istruttivo per se stesso, ma nell’interpretazione della Scrittura può sviare l’esegeta. Inoltre, l’interprete, per Cassuto, non deve mai cercare nei testi dei segreti profondi o delle rivelazioni sublimi. (Riecheggiano qui le parole del grande Baruch Spinoza nel suo Tractatus Theologico-Politicus). Il testo biblico va spiegato sul livello naturale, umano. Per esempio, il concatenarsi delle diverse unità in un libro biblico fu determinato non da profonde intenzioni degli autori, ma da motivi psicologici, come l’associazione di idee e, ancor più, l’affinità esteriore2. Infine, l’investigazione storica del Cassuto lo portò a ricercare le radici della letteratura ebraico-biblica nella poesia canaanea, specialmente quella scoperta nei ruderi della città di Ugarit, sulla costa settentrionale della Siria.3 È una cosa che a pensarci bene è straordinaria: Cassuto, un ebreo osservante e rabbino, mise in rilievo il debito della cultura ebraica biblica verso la civiltà canaanea, quella stessa che gli autori biblici avevano tanto deprecato e disprezzato. Naturalmente, però, Cassuto amava sottolineare la differenza del tenore morale che correva tra i poemi epici canaanei e la letteratura religiosa di Israele.

Cassuto fu molto amato e stimato a Gerusalemme, sia per la sua personalità pacata e armoniosa, sia per la sua vasta cultura, sia per le sue facoltà intellettuali, sia per la sua capacità organizzativa: egli fu tra i fondatori e direttori della nostra Enciclopedia Biblica, che in nove volumi fu completata 37 anni dopo la sua morte. Ma non dobbiamo tacere che parte della sua popolarità fu dovuta alle sue posizioni armonistiche circa la composizione del Pentateuco. Cassuto tentò di confutare l’ipotesi documentaria, ossia che il Pentateuco, specie nella sua parte narrativa, risultasse dalla composizione di distinti documenti che l’avevano preceduto. L’ipotesi era stata generalmente aborrita dagli Ebrei dell’età contemporanea. Cassuto, nel contestarla, trovò in Israele non poca approvazione e plauso. Non tutti si resero conto, però, che Cassuto non tornava alle posizioni apologetiche-tradizionali: egli ammetteva che la stesura della Torah fosse stata preceduta da delle fonti, in parte scritte, in parte orali, e con ciò implicitamente ammetteva che la Torah nella sua completezza non poteva essere attribuita a Mosè!4

Chi si rese perfettamente conto delle implicazioni della critica-storica di Cassuto fu quell’altro fiorentino di nascita, Alfonso Pacifici.5 Se Cassuto fu un vero umanista, una specie di Pico della Mirandola ebreo nel secolo ventesimo, Pacifici per contro fu una contemporanea personificazione ebraica di Girolamo Savonarola. Mi fu riferito che Pacifici una volta lanciò contro Cassuto una specie di anatema o scomunica a causa degli scritti considerati eretici di quest’ultimo6. L’episodio si confà al carattere e alle idee di Pacifici. Nato nel 1889, fu convertito all’osservanza delle mitzvoth, i precetti religiosi, dal Rabbino Shemuel Hirsch Margulies, e diventò, ancora giovane, un acceso sionista. Studiò legge a Pisa, dove si laureò, ma si distinse specialmente come oratore e pubblicista. Il suo passaggio all’integralismo religioso ebraico fu graduale. In un suo discorso del 1916, pubblicato sul settimanale sionista Israel nel 1917, parlava della “Questione Nazionale Ebraica”7. Qui c’era la nazione ebraica, l’anima della nazione, il movimento nazionale ebraico, il ritorno alla patria degli ebrei, la ricostruzione sionista in Palestina, una normale vita economica ebraica; ancora non c’era niente del Pacifici posteriore. Ma nel 1922 già si vantava in conversazione con Weizmann, che alle cariche principali dell’organizzazione Sionistica Italiana non poteva essere eletto “chi fosse stato noto come non osservante dello shabbath”. E a questo Weizmann reagì: “Ma allora, Signor Pacifici, voi mi volete fare dell’Ebraismo italiano una miniatura?”8.

Gradualmente Pacifici si avvicinava alla ortodossia integralista ebraica. Gradualmente. Mi fu raccontato che nel 1925 circa venne in una prima visita in Eretz Israel. Compagno di viaggio fu il Dr. Enzo Bonaventura, che poi ebbe la cattedra di psicologia in questa università, e perì nel 1948 nel massacro di Sheikh-Jarrach. Vennero a Gerusalemme, salirono sulla spianata del Tempio, entrarono nella cosiddetta Moschea di Omar, e lì si fermarono assorti in contemplazione mistica… Ben sappiamo che quello che fecero è una trasgressione inammissibile per un Ebreo osservante. Ma Pacifici ancora non lo sapeva.

In questa fase sionistica, Pacifici, continuando l’opera del suo maestro Margulies, ebbe certo non poca influenza su giovani ebrei fiorentini; negli anni trenta vennero in aliyah diverse famiglie di Firenze: i Sinigaglia, Servadio, Ottolenghi, Padovano, Cividalli, Ascoli, Bonaventura, Padoa, Sarfatti, Gennazzani, Bigiavi-Levi, Fiano, Passigli, Procaccia, Bolaffi, De Angelis, Beinaim, Varadi, Rocca e lo stesso Cassuto. Credo che in percentuale di ‘olim la comunità di Firenze sorpassò tutte le altre comunità italiane. Una buona parte di loro si stabilirono a Ramat-Gan, dove col tempo istituirono una sinagoga di rito fiorentino. In questa si commemorava con la hashkavah il Rav S. H. Margulies ancora trent'anni dopo la sua scomparsa! Il tempio esiste e funziona tuttora, anche se i discendenti dei fondatori si sono un po’ sparsi per il paese. Pacifici stesso compì la sua aliyah nel 1934 e si stabilì a Gerusalemme.

Ma l’opinione di Pacifici continuava a muoversi sempre più verso la più rigorosa ortodossia. Lo udii una volta parlare al beit-ha‘am, in via Giaffa, nella prima metà degli anni ’50. I neturei qarta’, i facinorosi ultraortodossi, avevano ordito delle violente dimostrazioni per non so più quale infrazione dei precetti religiosi nella città di Gerusalemme. (Ben sappiamo che sono tumulti periodici!). Pacifici si schierò senza equivoci dalla loro parte e dichiarò testualmente: “La differenza fra noi e Amran Bloi [il capo dei neturei qarta’] è che egli fa, e noi parliamo”, e testualmente in ebraico con puro accento fiorentino: ואנחנו עושה שהוא הוא בלוי עמרם לבין בינינו ההבדל

!מדברים

La posizione di Pacifici si era consolidata in un monismo religioso. La Torah, scritta e orale, rivelazione divina a Israele, è l’alpha e l’omega dell’esistenza umana. Nient’altro può contare, solo l’osservanza scrupolosa delle mitzvoth, dei precetti divini, e in primis lo studio stesso della Torah. Lo Stato, il ritorno degli Ebrei alla loro patria, per lui erano cose che avrebbero acquistato significato solo se impregnate dall’osservanza delle mitzvoth! Altrimenti, ne facciamo a meno! Addio Sionismo! Addio Stato! Non per niente i seguaci di Pacifici predicano oggi la sua dottrina sul periodico Segullat Israel, in italiano, da New York!

Vi è una forza, una vera potenza, quasi da profeta, nella predicazione di Pacifici. È la certezza di parlare per Dio (adesso scrive solo D.). Con questa sicurezza attacca la critica biblica, “che su pretese basi scientifiche veniva[no] di fatto a negare l’origine divina della Torà stessa” e la condanna come "mode critiche pseudo-scientifiche"9. A questo mi provo a rispondere a distanza di 56 anni: vi è una disciplina che si chiama storia, con essa, se la curiamo onestamente, possiamo comprendere il nostro passato, e in sostanza – noi stessi. Ogni totalitarismo implica la svalutazione di questa disciplina. Il il nazismo e il fascismo lo fecero sostituendo alla storia i miti pagani e la retorica dell’impero romano. Il bolscevismo tramutò la storia in farsa, riscrivendola continuamente al servizio dei padroni di turno, i segretari del partito. Pacifici, dal suo podio, con grande aria di superiorità, parla di “pretese basi scientifiche” di “mode critiche pseudoscientifiche” – anche lui rappresenta un totalitarismo: la Torà è tutto, il pensiero umano applicato alla storia non conta. Non esiste comprensione al di fuori della Torà!

Non so se Cassuto ebbe occasione di rispondere a Pacifici. Chi certamente era vicino alle posizioni di Cassuto era suo cognato Elia Samuele Artom, nato a Torino nel 1887, Rav in diverse comunità italiane, tra le quali Tripoli e anche Firenze; si stabilì a Gerusalemme nel 1939, tornò di volta in volta a insegnare in Italia e qui decedette nel 1965. E' sepolto a Gerusalemme. Artom era molto erudito negli studi ebraici, autore di un commentario popolare a tutta la Bibbia, traduttore in ebraico dei libri apocrifi e in più versato nella storia e la letteratura del Giudaismo post-biblico. Artom era sionista: il suo figlio maggiore Emanuele, Rav anche lui, partecipò all’attività dell’haganah; il secondogenito, Me’ir, fece l’aliyah nel 1945, ma morì di poliomielite nel 1947; il figlio minore, Reuvén, cadde in guerra, a Motza, nel marzo del 1948. Il pensiero di Artom verte su due poli: la Torà e lo Stato. Lo Stato di Israele deve basarsi sulla Torà, altrimenti non potrà durare. Ma la visione della Torà per Artom è dinamica: la legge di Israele è stata in passato di continuo sviluppo; questo sviluppo deve rinnovarsi, affinché le leggi della Torà possano rispondere a tutti i quesiti che ha sollevato la nuova situazione – l’indipendenza di Israele. Per il rinnovamento della Torà Artom auspicava un rinnovamento del rabbinato – il sorgere di una nuova classe di rabbini, che avrebbero assunto la responsabilità di legiferare, così come avevano fatto i nostri saggi nel periodo della Mishnà.

Il libro programmatico di Artom, La nuova vita di Israele, החדשים ישראל חיי, fu pubblicato postumo dal figlio Emanuele nel 196610. Sono passati 46 anni, e per ora sembra che ci siamo ben allontanati dal programma di Artom: il rabbinato in Israele non si è evoluto verso un rinnovamento della legge ebraica; viceversa si è involuto, verso il modo di vivere dell’Europa Orientale nel secolo diciottesimo, con l’aggravante di un parassitismo economico e un violento fanatismo. La Torà non potrà essere la magna charta dello Stato di Israele.

Chi lo disse già novant’anni fa fu Isacco Sciaky, la persona più odiata ed esecrata nel sionismo italiano. Anche vent’anni dopo la sua morte ho sentito parlare male di lui, ed erano calunnie! Era odiato perché era un caratteraccio, e detestato perché le sue idee precorrevano i tempi e lo rendevano impopolare. In più era sionista-revisionista, il partito ostracizzato dalle sinistre sionistiche e dai borghesi benpensanti. Chi era Isacco Sciaky? Nacque a Salonicco nel 1896, studiò in scuole italiane; era un grande ammiratore dell’Italia e della cultura italiana; venne a Roma nel 1917 e qui studiò filosofia con Giovanni Gentile ed Ernesto Bonaiuti, il “Santo”. Insegnò filosofia; nel 1939 venne in Eretz-Israel, e insegnò a Tel Aviv e a Gerusalemme. Qui morì nel 1979.

Daro' qui un esempio del come questo enfant terrible del sionismo italiano irritava i suoi interlocutori. Nel 1931 Sciaky venne con Roifer, suo amico, in una prima visita in Eretz-Israel. A Tel Aviv gli mostrarono con orgoglio la nuova grande sinagoga in via Allenby; era costata sforzi economici non indifferenti. “Non mi impressiona affatto” – disse Sciaky – “è una città di ebrei ed è naturale che ci sia una sinagoga. Il successo sarà quando nel centro di Tel Aviv ci sarà anche una chiesa!” Sciaky, a differenza degli altri sionisti italiani era un laico; e questo si spiega anche con le loro differenti origini. I sionisti italiani venivano dalla religione ebraica o, come Pacifici, avevano ritrovato la loro identità ebraica nella religione. Sciaky, come del resto tanti Ebrei dell’Europa Orientale, era cresciuto nell’etnia ebraica di Salonicco, una città che all’epoca era abitata da quattro gruppi etnici – Turchi, Bulgari, Greci ed Ebrei – l’esistenza di una nazione ebraica era per Sciaky un dato di fatto.

Nel pensiero di Sciaky lo Stato aveva un posto eminente. Lo Stato – come sede del diritto, che assicura la libertà all’individuo, limitandola di fronte alla libertà del prossimo. E siccome lo Stato deve assicurare la libertà dei cittadini deve necessariamente essere laico. Se non c’è una chiara distinzione tra confessione e stato, non solo sarà offesa la libertà, non solo – l’uguaglianza dei cittadini, ma lo Stato diventerà anche il campo di battaglia tra le diverse fazioni religiose, come l’Europa dei secoli XVI-XVII, come – per tornare ai fatti nostri – lo Stato Ebraico nell’età ellenistica e romana.

“Libera chiesa in libero stato” – era il programma di Cavour. E questo era l’eroe del Risorgimento ammirato da Sciaky, non Mazzini, non Garibaldi (il patriota guerrigliero ammirato da Begin), Cavour! All’amico Roifer Sciaky donò nel febbraio del 1936 una biografia di Cavour11; nella dedica scrisse: “questo ritratto di un costruttore di Stato”. Nella stessa data gli dette un estratto della nota da lui pubblicata, all’Accademia Nazionale dei Lincei: “Stato e libertà nel pensiero di Rousseau”12; lì c’è la dedica: “A Roifer, pensando allo Stato nostro da ricostruire”. Con queste idee, nel 1924, Sciaky si aggregò al Sionismo Revisionista di Jabotinsky.13

Per Jabotinsky Sciaky si adopero' in una continua azione diplomatica presso il governo italiano,14 un filosofo nella politica e diplomazia... Quanto sia difficile mettere insieme queste cose lo illustra il seguente episodio (raccontatomi da Sciaky). A fine giugno 1936 Jabotinsky si incontro' a Ginevra con tre revisionisti italiani – Carpi, Roifer e Sciaky. C'era stata la conquista dell'Etiopia e le sanzioni contro l'Italia, e la domanda in aria era che direzione avrebbe preso la politica italiana. Sciaky spiego' lungamente a Jabotinsky che l'Italia non poteva andare con la Germania nazista. Il resto, poi, si sa. Ma nel 1939 o 1940 Sciaky scrisse a Jabotinsky: "Si ricorda che Le dissi a Ginevra che l'Italia non si sarebbe alleata colla Germania? Io non mi sbagliai; si e' sbagliato 'lui' [ossia Mussolini]". Eh gia', Sciaky non sbagliava mai... La morale e' che i filosofi a volte vedono le cose non come sono, ma come dovrebbero essere.

Il revisionismo di Sciaky, oltre al suo carattere difficile, oltre al suo laicismo che contrastava le idee di Pacifici, Lattes, Ciro Glass e altri attivisti del Sionismo, lo rese inviso agli ambienti del Sionismo italiano. Ma Enzo Sereni gli tenne fede, nonostante i contrasti ideologici: nel novembre del 1939 lo chiamò al telefono da Roma: “Vieni, prendi il treno da Firenze stanotte; ho un certificato per te, te lo meriti”. Fu così che Sciaky arrivò per tempo in Eretz-Israel.

Lo Stato di Israele è il frutto di quell’anelito al Ritorno inerente alla religione ebraica. Fu quell’anelito la prima ragione del movimento sionista, che in settant’anni di sforzi immani stabilì lo Stato Ebraico in questo paese. Ma una volta fondato, lo Stato, se vuole perdurare, deve reggersi secondo la logica degli Stati, deve aprirsi alla partecipazione di tutti i cittadini nella cosa comune, la res publica. Lo Stato non può essere confessionale. Se vuole vivere, deve recidere la corda ombelicale che lo nutriva, dal grembo della tradizione ebraica. Oggi questa verità è pressoché accettata dalla maggioranza degli israeliani. Sciaky, che precorreva i tempi, la proclamava già molti anni fa. Ma era una voce che chiamava nel deserto…

Note

1 U. Cassuto, "La Bibbia e l'ebraismo moderno", Israel, Vol. 9 (13.3.1924), pp. 3-4; idem, “Our Task in Biblical Scholarship", in idem, Biblical and Canaanite Literatures (in ebraico), Jerusalem 1972, pp. 3-11. Questa fu la sua prolusione all' Universita' Ebraica il 15.11.1939, abbreviata e tradotta in francese in Madregot 1 (1940), pp. 75-81. Gli scritti sparsi di Cassuto sono stati tradotti e pubblicati in inglese; e' da lamentare l'assenza di una loro pubblicazione in italiano.

2 U. Cassuto, "L'ordinamento del libro di Ezechiele", Miscellanea Giovanni Mercati, a cura di A. M. Albareda, Vol. I, Citta' del Vaticano 1946, pp. 40-51, spec. pp. 46-47.

3 U. Cassuto, "Biblical and Canaanite Literatures" (in ebraico), nel volume succitato a n. 1, pp. 20-54.

4 U. Cassuto, La questione della Genesi, Firenze 1934.

5 Di Pacifici si vedano gli articoli di Bruno Di Porto su Hazman Veharaion VII, N.i 22-23, 24, nonche' l'esauriente studio …

6 Di questa notizia non so se esiste una documentazione. A questo proposito il dott. Reuven Ravenna mi ha indicato l'articolo di Pacifici, "Il caso Cassuto", RMI 10 (1934), pp. 93-99.

7 A. Pacifici, La questione nazionale ebraica e la guerra europea, Firenze 5677-1917, 32 pp. , riprodotto dal settimanale ebraico Israel N.i 20-21, 22-24 dello stesso anno.

8 A. J. M. Pacifici, " 'Una miniatura'. Ricordi di una conversazione con Chaim Weizmann", Scritti in memoria di Leone Carpi, a cura di D. Carpi et al., Gerusalemme 1967, pp 219-228.

9 A. Pacifici, "Considerazioni sulle Comunita' separate, l'Unita' d'Israele e le Comunita' ebraiche d'Italia", Scritti in memoria di Sally Mayer (1875-1953, Gerusalemme 1956, pp. 295-307, a p. 298

10 In italiano: E. S. Artom, La nuova vita di Israele, Roma 5726, 1966.

11 Giuseppe Massari, Il conte di Cavour (Ricordi biografici) (1872), Rist. Sesto San Giovanni 1935.

12 Presentata dal Socio G. Gentile, Reale Accademia Nazionale dei Lincei, Rendiconti della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, Ser. VI, Vol. XI, fasc. 7-10, luglio-ottobre 1935, pp. 489-554.

13 Gli scritti ebraici e sionistici di Sciaky sono stati raccolti da V. Pinto in Il salonicchiota in nero, Belforte (Livorno) 2009.

14 Si veda V. Pinto, a cura di, Stato e liberta': il carteggio Jabotinsky-Sciaky (1924-1939),Soveria Mannelli (Catanzaro) 2002.

Casella di testo

Citazione:

Alexander Rofé, Diversità ideologiche del sionismo italiano, "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", III, 2, settembre 2014

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