Si è svolto a Roma il primo Congresso UDAI (Unione delle
Associazioni pro Israele) ed è stato un momento molto importante sotto diversi
punti di vista. Innanzitutto, quello organizzativo: le associazioni, infatti,
sono diventate ormai 15, anche se ancora per la maggior parte collocate nel
Nord Italia. L’obiettivo principale che esse dovranno porsi è quello di riuscire
a far conoscere la realtà israeliana e, soprattutto, a contrastare il
perdurante e, purtroppo, crescente antisemitismo/antisionismo che caratterizza
la stampa italiana e quella straniera. Importantissimo, a tal proposito, il
ruolo ricoperto da “Informazione Corretta” e quello più generale dall’informazione
in Italia, di cui si è parlato nell’interessante tavola rotonda condotta da
Angelo Pezzana, Daniele Scalise, Mattia Feltri, Roberto Giardina, seguita dalla
relazione di Massimo Lomonaco sul funzionamento dell’agenzia Ansa da Israele.
Nel perseguimento di tale scopo, però, è necessario riuscire a far breccia
anche nello “zoccolo duro” del pregiudizio antiebraico che alberga nella
percezione diffusa dell’opinione pubblica, un pregiudizio che prende molte
forme e che, negli ultimi tempi, si è nutrito a dismisura della campagna BDS e
della delegittimazione dello Stato ebraico, come bene ha evidenziato Giovanni
Quer (BDS e delegittimazione), ma
anche del processo di “impossessamento” della tematica dei diritti umani da
parte della sinistra progressista europea e americana, come ha chiarito Enzo
Cucco, presidente di Certi Diritti, con la sua relazione su I diritti civili in Italia ostili a Israele.
A ciò di deve aggiungere tutta la campagna che si è nutrita in modo esasperato del “politicamente
corretto”, che non ha fatto altro che creare una sorta di codice etico
“inverso”, profondamente illiberale e antidemocratico, le cui conseguenze si
riflettono soprattutto sul giudizio popolare relativo ad Israele. Insomma, il
“combinato disposto” – per usare l’espressione di Daniele Scalise – ha creato
un meccanismo quasi automatico di condanna immediata dell’unica realtà
democratica dell’area mediorientale e una frattura sempre più ampia tra
l’accettazione emotiva della Shoah e il rifiuto dell’ebreo che difende con le
armi il suo paese. Insomma, tra tutti i movimenti nazionalistici nati
nell’Ottocento, l’unico che non è mai stato accettato – purtroppo, talvolta anche
all’interno dell’ebraismo mondiale – è stato proprio il sionismo. E su
questo aspetto, le Associazioni pro Israele hanno davvero un compito importante
da portare avanti.
L’aspetto, invece,
positivo è lo sviluppo dell’innovazione in Israele, che – nonostante la forte
campagna di disinformazione o, peggio, di manipolazione della verità – ha
raggiunto livelli molto alti, come hanno indicato sia Rafi Erdreich, ministro
consigliere per l’informazione dell’Ambasciata di Israele (Le componenti dell’ecosistema dell’innovazione israeliana), sia
Dario Peirone dell’Università di Torino (L’economia
israeliana come innovazione), mentre Michael Levi ha messo a fuoco il
pericoloso e attualmente sottostimato processo di penetrazione iraniana in
Italia (La penetrazione dell’Iran in
Italia), addirittura incoraggiato da alcune regioni italiane, come le
Marche e la Puglia, e sostenuto dall’Unione Europea.
Dal punto di vista dell’analisi
politica e internazionalistica, il pericolo maggiore per Israele è costituito proprio
dall’Iran, che, anche sul piano strategico, sta tentando in tutti i modi di
creare un ponte verso il Mediterraneo, mettendo seriamente a rischio la
sicurezza di Israele. Le relazioni di Antonio Donno (La politica americana in Medio Oriente), di Zvi Mazel (Pace e sicurezza in Medio Oriente),
Mordechai Kedar (La trasformazione degli
Stati arabo-musulmani in Medio Oriente), di Ugo Volli (Israele: il quadro strategico, pericoli e opportunità) e
l’intervento registrato di Fiamma Nirenstein (Israele e la politica internazionale) hanno sicuramente aperto un’approfondita
e attenta riflessione sulle prospettive dei futuri possibili scenari dell’area.
Donno ha posto l’accento sul vuoto creato dall’amministrazione Obama in Medio
Oriente – e i “vuoti” politici o territoriali nelle relazioni internazionali
vengono sempre “riempiti” da qualcun altro – e sul fatto che il Medio Oriente
come noi lo abbiamo conosciuto non esiste più, perché nell’area si sono ormai
installate la Russia di Putin, con il suo progetto di tradizione zarista di
espansione verso i “mari caldi”, l’Iran che persegue una politica
espansionistica di ampio respiro verso il Mediterraneo e la Cina, che al
momento è la potenza apparentemente meno “ingombrane”, ma la cui egemonia non
tarderà a manifestarsi. Dal canto suo, Mordechai Kedar dell’Università Bar Ilan
di Tel Aviv ha visto, come unica soluzione al processo di pacificazione della
regione, non più la proposta dei due Stati, ma la formazione di veri e propri
emirati “omogenei” in grado di creare relazioni pacifiche dapprima fra di loro
e, poi, con Israele. Ugo Volli, invece, ha chiarito come
– rispetto alle situazioni precedenti – Israele stia mostrando un volto
economico e diplomatico mai visto prima, con la politica di Netanyahu che ha
messo in agenda una serie di accordi con paesi africani, latino-americani e
estremo-orientali prima impensabili, senza parlare delle relazioni abbastanza
amichevoli con alcuni paesi arabi (non ultima la visita in Israele dell’erede
al trono saudita) e della marginalizzazione di fatto della questione
palestinese. L’unica vera preoccupazione, secondo Volli, è invece proprio
quella militare, perché Israele non vuole assolutamente una contiguità
territoriale tra Iran e Libano, ma auspica una sorta di “zona cuscinetto”
garantita dai russi, con l’obiettivo tattico di bloccare proprio la
realizzazione, da parte iraniana, di quel ponte verso il Mediterraneo che
accerchierebbe Israele nei suoi confini settentrionali. Se ciò dovesse
accadere, senza che la Russia lo impedisca, allora lo Stato ebraico non
starebbe ad aspettare di essere colpito, ma sarebbe costretto, come già
successo in passato, a sferrare il primo colpo. E in quel caso, tutti dovremmo
essere preparati a spiegare l’ennesima “guerra di Israele”. Al Congresso sono
intervenute Noemi Di Segni, presidente dell’UCEI, e Ruth Dureghello, presidente
del CER, per portare i saluti delle rispettive organizzazioni.