Giacobbe e l'angelo, a cura di D'Antuono, Kajon, Ricci Sindoni

"Free Ebrei", III, 1, maggio 2014

  

Giacobbe e l’angelo. Figure ebraiche alle radici della modernità europea, a cura di Emilia D’Antuono, Irene Kajon, Paola Ricci Sindoni, Roma, Lithos libri, 2012, 544 pp., € 22,00

 

di Gabriele Guerra

 

 

Abstract

In this collection of essays edited by Emilia D'Antuono, Irene Kajon and Paola Ricci, the authors try to reassess the relationships between Jewish culture and thought and European "Christian" world from the end of the XIXth century.  

Nell'enigmatica storia raccontata nella Genesi, secondo cui il patriarca Giacobbe – che si era messo in viaggio verso suo zio per sfuggire all'ira del fratello Esaù, al quale con l’inganno aveva sottratto la primogenitura – per tutta una notte avrebbe lottato con un misterioso angelo, che alla fine, oltre a lasciargli slogata l’articolazione del femore, gli diede il nuovo nome di Israele, poiché aveva lottato con Dio e con gli uomini uscendone vincitore, ritroviamo in nuce tutta la problematica e drammatica – letteralmente conflittuale – dimensione esistenziale dell’ebraismo alle prese con uno scomodo fratello, da un lato, e con un rapporto teso e intenso con la divinità, dall'altro. Giustamente le curatrici di questo volume, che raccoglie gli atti di un convegno tenutosi all'Università di Roma La Sapienza nel 2010, ricordano nella premessa che secondo l’esegesi midrashica tradizionale l’angelo con cui Giacobbe ingaggia la lotta notturna rappresenta in realtà lo spirito di Esaù, nel quale a sua volta la tradizione ebraica ha sempre visto volta a volta Roma, l’ecumene cristiana o l’Europa; e dunque l’episodio biblico incarna a perfezione «un rapporto tra cultura ebraica e cultura europea non facile, e tuttavia intenso e fecondo» (p. 9).

Come sempre accade in simili volumi collettanei, per di più dedicati a indagare una genealogia storica e concettuale vastissima, i contributi sono diversissimi tra loro per struttura, procedure ermeneutiche e fasi storiche analizzate; nondimeno, gli atti si sottraggono all'impressione di una variegata e sostanzialmente estemporanea miscellanea, perché sottostanno a una rigorosa – benché dialettica e sempre biunivoca – articolazione interpretativa: ovvero quella volta ad indagare appunto i rapporti tra cultura ebraica e pensiero europeo. Esemplare in tal senso è il contributo che apre il volume, dalla funzione dichiaratamente introduttiva, per mano di Iren Kajon, La lotta tra Giacobbe e l’angelo: una metafora della relazione tra Israele ed Europa, in cui l’autrice indaga la ricorrenza dell’episodio biblico nella cultura europea tra Rilke e gli U2, passando per l’ampia tradizione iconografica occidentale e ricordando anche la sua reinterpretazione, da parte di autorevoli esponenti dell’ebraismo italiano, negli anni bui della seconda guerra mondiale: per essi la lotta con l’angelo assume i drammatici connotati della «estrema violenza della persecuzione» in cui cioè  «l’ombra di Esaù appare più come ciò che mostra la sua ostilità verso Israele che nel suo aspetto di avversario avente anch’egli come radice nel padre, dunque come un fratello nemico» (p. 25). In tal modo Irene Kajon squaderna dinanzi agli occhi del lettore avvertito la feconda ed intensa relazione – non priva di tratti drammaticamente conflittuali, come detto – che lega da sempre elemento ebraico ed elemento europeo: quasi un ribaltamento in judaiciis, si potrebbe dire, dell’assioma schmittiano del “Feind” in quanto “unsere eigene Frage als Gestalt”, ovvero del nemico in quanto “figura del nostro proprio problema”, come il giurista di Plettenberg si espresse già nel 1915. Il dialogo che qui invece si tematizza appare però come una sorta di “teoria dialettica dell’amicizia” in cui la “figura del nostro proprio problema” (nostro sia in senso ebraico che genericamente europeo) non è il nemico sans phrase, quanto piuttosto la proiezione dell’Altro nel Medesimo, con tutti gli addentellati storici e categoriali che tale questione implica.

I contributi del volume, come detto, spaziano da una ricognizione storicamente puntuale di singole figure ebraiche della prima età moderna nella loro tesa interrelazione con la cultura cristiana del tempo (Alessandro Guetta, Le opere italiane e latine di Lazzaro da Viterbo, ebreo umanista del XVI secolo; Piergabriele Mancuso, Gesuiti, lumi e rabbini. La controversia Brielli-Pinamonti a inizio Settecento) ad un aperçu storico-concettuale volto a rintracciare la sistematica “introvabilità” dell’Ebreo in quanto “idea” platonica del negativo (Emilia D’Antuono, Un inquietante paradosso del moderno: la presenza dell’ebraismo e l’«introvabilità» degli ebrei); dal rapporto tra mito e logos nella storia dell’esegesi biblica (Roberto Bordoli, Le ragioni del mito. Fatti e idee nella Bibbia) ai rapporti epistolari di pieno Ottocento come manifestazione di una Wissenschaft dell’ebraismo che tenda a costruirlo come vera e propria disciplina scientifica ed accademica (Chiara Adorisio, Wissenschaft des Judentums e critica del misticismo in Salomon Munk e Samuel David Luzzatto); ma tutti i contributi presenti forniscono preziosi tasselli per una tassonomia dell’elemento ebraico nel discorso europeo (politico, filosofico, morale, teologico) che oscilla tra essenzializzazione e categorizzazione dell’ebraismo – essenzialmente nei termini della filosofia della storia hegeliana – e ostinata presenza dell’ebreo in carne ed ossa, con la sua spesso irriducibile diversità culturale, religiosa, esperienziale.

Una sezione importante del volume è occupata proprio dall'indagine intorno alle forme storiche e dottrinarie che tale diversità ha preso nella storia, e che culminano nelle diverse e multiforme eresie dell’ebraismo. Così Cristina Ciucu riflette sulla “teologia” sabbatiana nel profeta Nathan di Gaza, rintracciandovi interessantissimi paralleli con la filosofia schellinghiana della rivelazione (The metaphysical foundations of the Sabbatean Messianism as reflected in Natha of Gaza’s Sefer ha-Beriah); mentre Fiorella Gabizon indaga la transizione assai complessa – e rintracciabile per comprensibili motivi maggiormente nella storia della letteratura che in quella delle idee – che dal sabbatianesimo radicale finì poi per sfociare nel “fervore sionista” di Israel Zangwill, esponente paradigmatico della letteratura ebraica di lingua inglese (Israel Zangwill: da Sabbetai Zevi a Theodor Herzl); un percorso simile a quello tracciato da Alessandro Gebbia (Satan in Goray di Isaac Bashevis Singer: dall’Europa di Sabbetai Zevi alle teorie delle dieci tribù perdute di Israele in America. Le radici ebraiche della cultura puritana), tra letteratura yiddish e sua fortunata ricezione oltreoceano, in cui lo shtetl singeriano centroeuropeo alle prese con l’eresia sabbatiana diventa significativamente simile al villaggio puritano del New England in cui hanno luogo le vicende della Lettera Scarlatta hawthorniana: quasi una enigmatica staffetta che mette in scena su un piano tipologico i conflitti moderni tra ortodossia ed eresia.

I contributi seguenti affrontano il “secolo d’oro” dell’ebraismo europeo, ovvero l’ebraismo tedesco tra fine dell’Ottocento e inizio del XX secolo, in cui quei fili, tanto caratteristici della prima età moderna, che intrecciano il dipanarsi della coscienza tra ortodossia ed eresia, paiono assumere nuovi e a tutta prima sconcertanti disegni. Saverio Campanini, esperto studioso di cose scholemiane, si dedica infatti a indagare un momento apparentemente periferico della sterminata produzione del grande studioso della mistica ebraica, rintracciandovi una interpretazione molto personale – con un occhio alla attualità politico-culturale dell’età weimariana – della teologia ereticale sabbatiana (Die Hybris der Juden. Alle origini della teologia sabbatiana in Gershom Scholem); mentre Myriam Bienenstock indaga la ricezione di Spinoza – questo ebreo assolutamente sui generis – in due pensatori affini ma sostanzialmente diversi come Hermann Cohen e Franz Rosenzweig (Confronting Spinoza: Rosenzweig vs. Cohen). Una analisi parallela in tal senso la compie Michela Torbidoni, passando in rassegna come la rivista francese «Revue de Métaphysique et de Morale» abbia letto Spinoza nel delicato passaggio storico della Terza Repubblica francese (Spinoza nella Revue de Métaphysique et de Morale (1893-1939). L’intellettuale democratico tra République ed ebraismo).

Il libro si chiude con l’ulteriore, ancor più drammatica sfida posta a questa “teoria dialettica dell’amicizia” ebraico-europea, da parte della seconda guerra mondiale e del nazionalsocialismo: ovvero la Shoah e le sue interpretazioni. Uno degli autori più citati in questi contributi è il teologo e filosofo ebreo Emil Fackenheim, nato in Germania e salito in Israele in tarda età, che maggiormente si è speso nel tentare di dare una risposta filosofica e teologica allo sterminio nazista degli ebrei, ma che in questo volume è assunto dentro una costellazione morale e concettuale che caratterizza un po’ tutta la storia postbellica delle relazioni ebraico-europee, che ora diventano piuttosto ebraico-occidentali tout court, per la presenza massiccia degli Stati Uniti nell’attuale passaggio storico-spirituale (Michael L. Morgan, Revelation in Emil Fackenheim’s post-Holocaust jewish Thought; Paola Ricci Sindoni, La dimensione ontoetica della resistenza: Emil Fackenheim e la Shoah; Lucrezia Piraino, L’autobiografia come genere filosofico. Memoria, narrazione e testimonianza nell’Epitaffio per l’ebraismo tedesco di Emil Fackenheim; Mariangela Caporale, L’antigiudaismo come ragione teologica del cristianesimo: la riflessione nordamericana al cospetto di Auschwitz; Massimo Giuliani, La teologia ebraica post-shoah di David Weiss Halivni; Nunzio Bombaci, Discesa all’Ade di Günther Anders; Giovanna Costanzo, La cenere e il pianto. La bibbia ebraica dopo la Shoah; Amira Meir, The Binding of Isaac in past and present Jewish commentaries). Tutti contributi che indagano quella «catabasi nelle regioni del nulla» (375), secondo la cupa definizione di Günther Anders per il suo viaggio in Europa alla ricerca delle sue radici ormai carbonizzate, che l’ebraismo post-Shoah ha dovuto giocoforza intraprendere dopo la catastrofe.

I contributi che chiudono questo imponente volume, e non solo nel numero delle pagine, restano giustamente legati a questa prospettiva: leggendo nei singoli contributi di singoli pensatori ed intellettuali ebrei (Orietta Ombrosi, L’antropologia filosofica di Primo Levi; Anna Lissa, Sulla soglia: Europa e Israele in Fumo di Aharon Appelfeld; Jack Bemporad, Hans Jonas: a personal reflection) preziosi segnacoli di una relazione con il mondo culturale europeo ed occidentale in genere che continua a sussistere e a dare frutti, nonostante tutto; senza però per questo ridursi a quell'«idolatria della memoria ebraica» (293) di cui Paola Ricci Sindoni avverte i pericoli di “monumentalizzazione di Auschwitz” in apertura al suo bel contributo. La memoria ebraica che in tal modo esce da questo libro appare in tal modo come una struttura mentale dinamica e multiforme, che attraversa cruciali questioni bioetiche contemporanee (Gianluca Attademo, L’eredità ebraica per il dibattito bioetico europeo), o le riflessioni più pertinenti di filosofia della storia (Donatella Di Cesare, Il tempo della fine – la fine del tempo. Sul messianismo ebraico), oppure infine la scottante questione dell’anticonformismo intellettuale (Giuseppe Veltri, Lo spazio del dissenso. Tre tipi di anticonformismo nel Novecento: Leo Baeck, Jacob Taubes e Yeshayahu Leibowitz), che da un ambito specificamente intraebraico finisce però per illuminare anche la questione – cruciale per tutta la storia moderna – del rapporto tra coscienza e storia. Testimonianze, insomma, che la lotta con l’angelo è ben lungi dall'essersi conclusa. 

Casella di testo

Citazione:

Giacobbe e l'angelo, a cura di E. D'Antuono, I. Kajon, P. Ricci Sandoni (recensione di Gabriele Guerra), "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", III, 1, maggio 2014

url: http://www.freeebrei.com/anno-iii-numero-1-gennaio-giugno-2014/giacobbe-e-langelo-a-cura-di-dantuono-kajon-ricci-sindoni