Il romanzo di Carlo Greppi, Non
restare indietro, ha portato all’attenzione del pubblico un tema che da
qualche anno è al centro dell’interesse di chi si occupa di didattica della
Shoah: i viaggi degli studenti nei luoghi della memoria,
ovvero in quegli spazi definiti campi di concentramento o Lager, oggi
trasformati in musei. E ha guardato ad alcune delle tante e diverse reazioni
che questi viaggi possono suscitare nei giovani.
È stato lo storico francese
Pierre Nora, nella seconda metà degli anni ’80, a coniare il termine “luoghi
della memoria” e a definirne i contorni, specificando che non sempre questi
coincidono con i cosiddetti luoghi della storia. In sostanza, vi sono molti
“luoghi della storia” (un bosco, una chiesetta, una via o una piazza in cui si
svolse un evento importante) di cui non è stato realizzato un ricordo tangibile
e al contrario esistono lapidi, installazioni artistiche et similia, collocate
in un luogo diverso da quello in cui si svolse il fatto.
Gli ex campi di
concentramento assolvono entrambe le funzioni, in quanto sono un luogo di
memoria possente ma anche un luogo di storia e chiunque si assuma la
responsabilità di vivere insieme ai giovani (o anche ai meno giovani)
l’esperienza di varcare i cancelli di Auschwitz, di camminare su quelle pietre,
di toccare il legno delle baracche o di restare in silenzio di fronte alla
desolazione infinita di Birkenau, sa che si trova a dover gestire memoria e
storia, ovvero uno spazio emotivo e un contenuto storico, entrambi complessi e
di grande portata.
Nessuno ormai, dopo
l’elaborazione delle teorie di John Dewey e Jean Piaget, oserebbe ancora
sostenere che l’apprendimento passa attraverso la relazione frontale e la pura
trasmissione di contenuti e credo che più o meno tutti quelli che si occupano
di formazione ed educazione a diversi livelli e con ruoli differenti, siano
coscienti del fatto che l’esperienza soggettiva e le emozioni rivestono un
ruolo fondamentale nella didattica. E non solo perché hanno letto i saggi di David
Kolb e Daniel Goleman, ma perché lo hanno provato personalmente.
Le emozioni sono una risorsa,
uno strumento, un linguaggio, uno spazio di conoscenza e di crescita e il Lager
è realmente un luogo di memoria e di emozioni. “Auschwitz sommerge. In tutti i
sensi. È difficile gestire qualcosa che non si potrà mai capire del tutto”, ha
scritto Piotr Cywinski nel suo libro Non c’è una fine, davvero intenso.
Auschwitz è uno shock e
personalmente non ho mai creduto granché all’efficacia dell’effetto shock ai
fini dell’apprendimento, ma resto convinta del fatto che i viaggi nei luoghi
della memoria possano essere uno strumento straordinario di crescita e di
consapevolezza, a patto che chi guida questi viaggi e accompagna i ragazzi, riesca
a lavorare sulla memoria mettendo al centro la storia e riesca a vedere nelle
emozioni il punto di partenza del percorso, non certo quello d’arrivo.
Le reazioni di pancia sono
quanto di più sano e normale possa esserci nell’adolescenza; all’adulto il
compito di non lasciare tutto questo alla rielaborazione dell’individuo e di
creare, a partire di qui, un percorso di conoscenza costruttivo.
Casella di testo
Citazione:
Maria Teresa Milano, Non restare indietro. Note sui "viaggi della memoria", "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", VI, 2, dicembre 2017
url: http://www.freeebrei.com/anno-vi-numero-2-luglio-dicembre-2017/maria-teresa-milano-non-restare-indietro
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