Marcella Scopelliti, Buber e il teatro

Abstract

Marcella Scopelliti's essay on Martin Buber and theather investigates a relatively unknown chapter of Martin Buber's intellectual production and tries to demonstrate its relevance in the general production of the Jewish philosopher. 

 

Il libro di Marcella Scopelliti fa luce su un aspetto finora poco conosciuto dell’opera di Martin Buber: il rapporto con il teatro che accompagna come un filo sotterraneo la riflessione del grande intellettuale viennese, dal confronto con Theodor Herzl, alle traduzioni di David Pinski, agli articoli su Eleonora Duse ed Ermete Novelli, alla fondazione dell’Associazione per gli spettacoli drammatici a Hellerau nel 1913. Già nel 1901 Buber indicava infatti la costruzione di un teatro nazionale ebraico come un momento centrale per quella “jüdische Renaissance” che avrebbe dovuto precedere e accompagnare la creazione di un focolare nazionale in Palestina. Attraverso l’analisi di vari scritti (in parte riprodotti in appendice) Marcella Scopelliti ricostruisce il complesso sfondo culturale nel quale affonda le radici la riflessione buberiana sul teatro: l’influsso di Nietzsche, i mistici tedeschi, la filosofia orientale, i racconti chassidici. Siamo fra la fine dell’Ottocento e i primi Novecento, gli anni in cui Buber diviene guida indiscussa del Kulturzionismus mitteleuropeo; un sionismo culturale aperto al dialogo con le tradizioni e alla convivenza fra i popoli, che è uscito sconfitto della storia ma ha lasciato una lezione importante, oggi più che mai attuale. Sono gli anni della fase pre-dialogica di Buber (il suo Ich und Du è del 1923). Ma proprio negli scritti teatrali Scopelliti individua a ragione gli elementi che caratterizzano il pensiero successivo di Buber; in particolare l’idea di un teatro inteso etimologicamente come il “luogo dal quale si guarda” e “dove si mette a distanza il mondo per incontrarlo, per ri-conoscerlo e riconoscersi”.

Lo studio fa emergere altresì la modernità della concezione teatrale di Buber, indicando convergenze con Craig, Appia, Majerchol’d, Artaud e soprattutto con Grotowski, il geniale regista polacco che ebbe in Buber un punto di riferimento costante e una guida spirituale. Pagine illuminanti sono dedicate anche al rapporto di Buber e Hofmannsthal con Eleonora Duse, la cui “fiamma”, scrive Scopelliti, “trattiene le contraddizioni e i conflitti del mondo e li purifica”. Per Buber il teatro è il luogo del  pensiero in azione e dello svelamento di sé: dell’esserci dell’uomo intero e dell’incontro con l’altro. Al protagonista del dialogo Daniel, del 1913, gli attori comunicano  la loro presenzadai margini dell’essere” rivelando, osserva Scopelliti, “la polarità originaria dell’uomo con la precisione di un’ombra, in uno spazio privo di spazio, in un tempo fuori dal tempo”. “Quella coppia tragica” ricorda il protagonista del dialogo di Buber “si ergeva innanzi a me come Creonte e Antigone, che non avevano né torto né ragione, non erano né colpevoli né innocenti, non possedevano null’altro se non la loro polarità, la loro essenza, il loro fato. E al loro cospetto fui colto da indicibile timore, come se fossi io quello spirito di cui quelle forze rivelavano la segreta dualità originaria. Ma già non mi trovavo più di fronte a loro ma in mezzo a loro e le correnti, che defluivano da polo a polo, scorrevano attraverso il mio cuore.”

Marcella Scopelliti individua nella spiritualità chassidica uno dei motivi ispiratori dell’idea di teatro di Martin Buber, quasi un “sovrapporsi  dell’immagine della comunità chassidica e del suo capo, lo zaddik, all’immagine di un’altra casa di preghiera, con il suo attore” (ma il rapporto potrebbe anche essere letto al contrario). L’attore sulla scena è infatti “il braciere cui tutti i membri della comunità guardano in attesa che la trasformazione lo colga inondando di un senso incendiario il presente”.  Il teatro si rivela dunque come luogo iniziatico per eccellenza. E il fuoco come il filo conduttore di questo appassionato studio. Il fuoco del dionisiaco che guizza fra forma e vita; il fuoco del roveto ardente che non consuma e fa emergere le scintille divine nascoste nella cenere dell’esistenza. Per chi si trova al centro di questa esperienza vale quello che Buber scriveva del bambino, dell’uomo primitivo e degli spiriti creativi: “Sulla fronte di ognuno di loro brilla un raggio di luna come il riflesso di un paradiso perduto, ma quel raggio risplende di un fuoco rubato al cielo”.

Casella di testo

Citazione:

Marcella Scopelliti, Buber e il teatro (recensione di Guido Massino), "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", IV, 2, agosto 2015

url: http://www.freeebrei.com/anno-iv-numero-2-luglio-dicembre-2015/marcella-scopelliti-buber-e-il-teatro