Alberto Gasparetto, Turchia e Israele

"Free Ebrei", V, 2, agosto 2016

Turchia e Israele, convergenza d’interessi. Una possibile riconciliazione?

di Alberto Gasparetto

Abstract

Alberto Gasparetto analyzes the relationships between Turkey and Israel in the light of Syrian civil war, Isis invasion, Erdogan's Islamic democracy and Iranian agreement. Which will be the role played by the State of Israel?

Fin dalla fine del secondo conflitto mondiale, Turchia e Israele rappresentano la pietra angolare dell’influenza geopolitica statunitense in Medio oriente. Pur essendo un paese a maggioranza islamica, la Turchia viene concepita quale avamposto della Nato in funzione antisovietica durante tutta la guerra fredda. Alla fine degli anni Cinquanta, i due Paesi stabiliscono il cosiddetto «patto della periferia», in funzione anti-araba. Negli anni Novanta, in conseguenza della politica americana del dual containment (tesa a contenere la duplice minaccia proveniente dai regimi iracheno e iraniano), Israele e Turchia vengono fortemente incoraggiati a stringere un’alleanza di natura strategico-militare. La situazione, però, subisce un drastico mutamento in conseguenza del netto e significativo ricambio nella leadership politica di Ankara all’inizio dello scorso decennio. Il successo dell’AK Parti alle elezioni del novembre 2002 costituisce una cesura storica significativa: per la prima volta nella storia del Paese, l’élite politica che guida gli affari governativi non è più espressione dell’establishment che, fin dalla nascita della Turchia, tutela i valori repubblicani proclamati da Atatürk. Una prima crepa si registra al summit economico di Davos nel gennaio 2009, quando Erdogan – allora Premier – decide di alzarsi provocatoriamente per abbandonare il consesso allorché il Presidente Shimon Peres prende la parola. Il meeting avviene a brevissima distanza dall’operazione Cast Lead con la quale Israele risponde con l’uso della forza a bombardamenti di Hamas (27 dicembre 2008-18 gennaio 2009). Il nadir nelle relazioni fra i due Paesi viene raggiunto il 31 maggio 2010, quando un commando israeliano irrompe su una delle sei imbarcazioni, la Mavi Marmara, che, battendo bandiera turca, hanno lo scopo di portare aiuti alla Striscia di Gaza forzando il blocco imposto da Israele in seguito alla guerra civile palestinese del giugno 2007 (Hamas impone il proprio totale controllo sulla Striscia dopo aver estromesso Fatah). Nell’operazione perdono la vita dieci persone, nove cittadini turchi e un americano.

Verso la fine del 2015, Erdogan in persona annuncia espressamente la volontà di «normalizzare» le relazioni con Israele[1]: «il processo di normalizzazione ha molto da offrire a noi, a Israele, alla Palestina e alla regione»; «Israele ha bisogno di un Paese come la Turchia nella regione. Dobbiamo ammettere che anche noi abbiamo bisogno di Israele». Finora, il principale ostacolo che ha impedito ai due Paesi di superare le reciproche ostilità è stata la mancata accettazione da parte israeliana di tre condizioni originarie ritenute imprescindibili per Ankara a questo scopo: scuse ufficiali, risarcimento per le famiglie delle vittime; rimozione dell’embargo alla Striscia di Gaza. Negli utlimi mesi Israele ha rilanciato chiedendo l’espulsione di Saleh al-Aruri, rifugiato di Hamas a Istanbul, contestualmente alla cessazione delle attività militari svolte da Hamas sul territorio turco[2], ma Ankara ha a sua volta premuto su Israele affinché si ristabiliscano le condizioni per l’aiuto umanitario nella Striscia di Gaza[3], dichiarando che se Israele accoglierà le richieste turche miranti alla soluzione dei problemi legati agli approvvigionamenti elettrici e idrici nella Striscia, firmerà presto un accordo di riconciliazione[4]. Recentemente, i due Paesi hanno discusso un progetto per la costruzione di un porto marittimo nella Striscia che allevierebbe tangibilmente le aspre condizioni in cui vive la popolazione e la cui realizzazione permetterebbe alla Turchia di continuare ad avere influenza economica su Gaza[5]. Inoltre, Ankara e Gerusalemme sono coinvolti in un altro progetto concernente lo sfruttamento di riserve di gas naturale scoperte nel Mar Mediterraneo al largo delle coste israeliane[6], che, passando per Cipro, consentirebbero alla Turchia non solo di ridurre un poco la dipendenza da Russia e Iran, ma farebbero fare un salto notevole alle relazioni con Nicosia e, di riflesso, con la Grecia.

 Il tentativo di riavvicinamento politico-diplomatico che ha trovato sponda non solo a Gerusalemme (Netanyahu ha manifestato interesse e speranza)[7] ma anche all’interno della comunità ebraica americana (a seguito di un incontro informale fra Erdogan e le principali associazioni filo-israeliane negli Stati Uniti)[8] avviene durante una fase assai delicata delle relazioni internazionali. Si assiste, infatti, a un passaggio cruciale della guerra in Siria, con le truppe di Assad che hanno ormai riguadagnato terreno ed il conflitto vede il coinvolgimento diretto dell’Iran; sul versante della questione iraniana, si registra il raggiungimento dello storico accordo sul nucleare, avvenuto l’estate scorsa, causando alcune tensioni fra Israele e Stati Uniti; e, infine, si assiste all’intensificazione dell’offensiva jihadista in Europa. In una telefonata del 23 marzo scorso, quattro giorni dopo l’attentato avvenuto a Istiklal Caddesi a Istanbul e rivendicato dall’ISIS, Erdogan, in una telefonata intercorsa fra lui e il proprio omologo israeliano Reuven Rivlin, ha annunciato di essere pronto a cooperare con Israele per contrastare il terrorismo, mentre quest’ultimo, ricevendo le condoglianze del primo per la morte di quattro cittadini israeliani, ha osservato che il terrorismo è tale ovunque colpisca, si tratti di Istanbul, Bruxelles, Parigi o Gerusalemme[9]. E’ il primo contatto ufficiale a questo livello da marzo 2013.

Se si guarda da vicino lo scenario regionale, pertanto, sono diverse le ragioni che hanno spinto le due parti a cercare un accordo per porre termine definitivamente alla crisi scoppiata nel 2010. E’ nel teatro siriano che si concentrano le principali forze che spingono in questa direzione. Il corposo coinvolgimento militare della Russia, sostenuta dall’Iran, a favore del regime di Assad ha spinto Erdogan ad accelerare le mosse. La Turchia assiste, infatti, con estremo timore alla formazione di un asse Russia-Iran sempre più solido non solo per la convergenza degli interessi delle due potenze in Siria, ma anche sotto il profilo delle loro relazioni economiche e militari, negli ultimi anni sempre più strette[10].

Ankara sa perfettamente che l’Amministrazione americana, nell’operare un contestuale disimpegno dalla regione, non solo vede favorevolmente la presenza russa in Siria[11] (contrariamente ai luoghi comuni), ma è ormai impegnata in una strategia incline a favorire il recupero delle relazioni con l’Iran – potenza da sempre rivale della Turchia in Medio oriente; strategia culminata nell’accordo sul nucleare raggiunto nel luglio 2015 e teso ad alleggerire il peso delle sanzioni che gravano sulla capacità di esportazione e di crescita economica di Tehran. Dalla prospettiva israeliana, la storica alleanza strategico-militare con gli Stati Uniti si è piuttosto raffreddata negli ultimi tempi, sia per via del disimpegno americano in Medio oriente, sia per una linea di politica estera che, come sopra sottolineato, prevede, ormai dal marzo 2013, il riallacciamento dei rapporti con l’Iran. Era stato lo stesso Obama, in occasione della visita in Israele, a spingere Netanyahu ad inviare alla Turchia scuse formali per l’incidente della Mavi Marmara: «fate la pace; sto avviando un’azione rivolta all’Iran nella regione: avrete bisogno l’uno dell’altra»[12]. Tenendo conto anche della sempre più “ingombrante” presenza iraniana nel teatro siriano, con il coinvolgimento di Hezbollah, e la stretta alleanza col regime di Baghdad e con la folta comunità sciita presente in Iraq, la longa manus dell’Iran è proiettata ben al di là dei confini nazionali, rassomigliando sempre più a quella che oltre un decennio fa, dopo la guerra in Iraq, era stata ribattezzata la «mezzaluna sciita». La crescita dell’influenza iraniana in Medio oriente rappresenta una valida ragione per l’avviamento di un nuovo corso delle relazioni fra Israele e Turchia.

Dal punto di vista israeliano, quindi, il pericolo maggiore resta l’Iran. Le divergenze rispetto alla strategia degli Stati Uniti hanno spinto Netanyahu a rivalutare non solo la mossa verso la Turchia, ma anche ad accogliere positivamente le richieste che provengono dal vicino Egitto circa la sicurezza dei confini. Dalle colonne del "Washington Post" ci si spinge addirittura a dipingere una quanto mai bizzarra «alleanza» fra Israele, Egitto e Hamas in funzione anti-jihadista: l’attività del Wilayat Sinai, formazione locale dello jihadismo ideologicamente legato all’ISIS, ha avuto come obiettivi militari egiziani ed è responsabile per l’abbattimento dell’aereo russo partito il 31 ottobre da Sharm el-Sheik per San Pietroburgo in cui hanno perso la vita 224 persone[13]. Se ad essere interessato in misura maggiore a contrastare una filiazione dell’ISIS è l’Egitto, Israele è oltremodo preoccupato della salvaguardia degli accessi alla Striscia dal Sinai e del contrabbando di armi di cui Hamas è il principale accusato. 

La convergenza fra Turchia e Israele appare quindi più che una necessità in questa fase della politica internazionale. Comunque, in questi casi, la prudenza nella formulazione di plausibili scenari è d’obbligo. Diversi segnali fanno ritenere che, nel contesto della più generale ed ufficiale guerra all’ISIS ed al terrorismo jihadista lanciata dalla coalizione occidentale di cui la Turchia fa parte, Erdogan sia intenzionato a portare avanti la propria guerra interna, assai meno popolare, contro il terrorismo curdo. Meno popolare poiché, da un lato, il confine fra partiti curdi, movimenti filo-curdi e gruppi armati pare labile e, dall’altro, non tutti nella comunità internazionale sono disposti a sostenere Erdogan in questa battaglia, non avendo ufficialmente inserito il PKK nella lista nera delle organizzazioni terroriste (ad esempio, Cina e Russia). La Turchia e Israele restano rivali, come riflesso della distribuzione di potenza nella regione. Allo stesso modo, le divergenze fra Turchia e Iran sugli obiettivi strategici in Siria vanno comunque inscritte in una relazione salda dal punto di vista economico, come i due capi del governo Davutoglu e Rouhani hanno ribadito nell’incontro tenutosi a Tehran nel mese di marzo[14].

 

Note

[1] Turkish-Israeli normalization has much to offer region, Erdogan says, Hurryiet Daily News, 14 dicembre 2015, http://www.hurriyetdailynews.com/turkish-israeli-normalization-has-much-to-offer-region-erdogan-says.aspx?pageID=238&nID=92479&NewsCatID=510; Turkey and Israel need each other, says President Erdogan, Hurryiet Daily News, 2 gennaio 2016, http://www.hurriyetdailynews.com/turkey-and-israel-need-each-other-says-president-erdogan.aspx?pageID=238&nID=93319&NewsCatID=338.

[2] Barack Ravid, Five years after Gaza Flotilla raid, Israel and Turkey reach understandings on ending crisis, 17 dicembre 2015, http://www.haaretz.com/israel-news/1.692478.

[3] Ankara: Israel-Turkey détente stalled over Gaza aid talks, 12 aprile 2016, http://www.timesofisrael.com/ankara-israel-turkey-detente-stalled-over-gaza-aid-talks/.

[4] Barack Ravid, Turkish PM: If Israel agrees to solve Gaza utilities crisis, we’ll sign reconciliation deal, 30 aprile 2016, http://www.haaretz.com/israel-news/.premium-1.717107.

[5] Geoffrey Aronson, What the Israeli-Turkish reconciliation says about Gaza, 3 marzo 2016, http://www.aljazeera.com/indepth/opinion/2016/03/israeli-turkish-reconciliation-gaza-160303052254804.html.

[6] Charles Kennedy, Game-changer Leviathan gas field sees serious delays, 25 febbraio 2016, http://oilprice.com/Energy/Natural-Gas/Game-Changer-Leviathan-Gas-Field-Sees-Serious-Delays.html; Jason Epstein, The implications of Turkish-Israeli rapprochement, 29 dicembre 2015, http://www.hurriyetdailynews.com/the-implication-of-turkish-israeli-rapprochement.aspx?pageID=238&nID=93130&NewsCatID=396.

[7] Israeli PM “hopeful” of normalization with Turkey, Hurriyet Daily News, 22 gennaio 2016, http://www.hurriyetdailynews.com/israeli-pm-hopeful-of-normalization-with-turkey.aspx?pageID=238&nID=94192&NewsCatID=352.

[8] Erdogan meets with US Jewish leaders in reconciliation effort, 2 aprile 2016, http://www.jpost.com/Israel-News/Erdogan-meets-with-US-Jewish-leaders-in-reconciliation-effort-450018.

[9] Turkey’s Erdogan sees positive outcome to talks with Israel next month, 31 marzo 2016, http://www.jpost.com/Israel-News/Politics-And-Diplomacy/Turkeys-Erdogan-sees-positive-outcome-to-talks-with-Israel-next-month-449904; Erdogan to Rivlin: Turkey is ready to cooperate with Israel against terrorism, http://www.jpost.com/Breaking-News/In-phone-call-Rivlin-thanks-Erdogan-for-condolences-over-Israeli-deaths-in-Istanbul-448939. Nell’attentato, il cui obiettivo, secondo le ricostruzioni, sarebbe dovuto essere un assembramento di turisti israeliani, è deceduto anche un cittadino iraniano.

[10]  La Russia ha accelerato le pratiche per la fornitura del sistema missilistico denominato S-300 proprio dopo il raggiungimento dell’intesa sul nucleare iraniano, riesumando un contratto risalente al 2007, che era stato sospeso nel 2010 per via delle pressioni internazionali. Alcune componenti sono già pervenute all’Iran e le restanti parti dovrebbero arrivare entro fine anno. Cfr. Russia to ship first S-300 system to Iran in August-September, 11 marzo 2016, http://www.presstv.ir/Detail/2016/03/11/455074/Iran-Russia-S300-Missile-defense-Rostec/; 1st S-300 shipment to head to Iran in coming days: Russia official, 5 aprile 2016, http://www.presstv.ir/Detail/2016/04/05/459217/Iran-Russia-S300-Kabulov-Russian-Foreign-Ministry/. Sulla questione e, più in generale, sui rapporti fra Russia e Iran si veda l’approfondimento di Mark Katz, Putin, Netanyahu and the S-300 missile sales to Iran, 16 aprile 2015, http://www.lobelog.com/putin-netanyahu-and-the-s-300-missile-sales-to-iran/.

[11] Dario Fabbri, Perché Obama apprezza la Russia in Siria, 2 ottobre 2015, http://www.limesonline.com/perche-obama-apprezza-la-russia-in-siria/87006?prv=true.

[12] Tolga Tanis, Why are Turkey and Israel mending fences?, 28 dicembre 2015, http://www.hurriyetdailynews.com/why-are-turkey-and-israel-mending-fences.aspx?pageID=449&nID=93072&NewsCatID=534.

[13] Sudarsan Raghavan, William Booth, Israel, Hamas and Egypt form unlikely alliance against Islamic State affiliate, 30 aprile 2016, https://www.washingtonpost.com/world/middle_east/israel-hamas-and-egypt-form-unlikely-alliance-against-islamic-state-affiliate/2016/04/30/cacb99dc-fb79-11e5-813a-90ab563f0dde_story.html.

[14] Ayla Jean Yackley, Bozorgmehr Sharafedin, Rivals Turkey and Iran seek to “manage differences”, 5 marzo 2016, http://www.reuters.com/article/us-iran-turkey-visit-idUSKCN0W70DB.

Casella di testo

Citazione:

Alberto Gasparetto, Turchia e Israele, convergenza di interessi. Una possibile riconciliazione?, "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", V, 2, agosto 2016

url: http://www.freeebrei.com/anno-v-numero-2-luglio-dicembre-2016/alberto-gasparetto-turchia-e-israele