Renzo Guolo, L'ultima utopia

"Free Ebrei", IV, 2, ottobre 2015

Renzo Guolo, L’ultima utopia. Gli jihadisti europei, Milano, Guerini e Associati, 2015, 176 pp., € 14,50

 

di Paolo Di Motoli

 

Abstract

Renzo Guolo's essay on European jihadists tries to analyze from a sociological point of view the rise and the creation of a fundamentalist Islamism in the second generations of Islamic emigrants.

L’adesione a una ideologia totalizzante capace di dare un senso al mondo è uno dei motivi che spinge una serie di giovani cresciuti in Europa ad arruolarsi per combattere a favore dello Stato Islamico in Siria o a compiere feroci azioni terroristiche in Europa. La tesi dell’autore è che il fenomeno non vada considerato una variante del problema religioso ma come espressione di una ideologia. Il professore sostiene che l’islamismo radicale è l’ultima grande ideologia del Novecento. Il testo del sociologo Renzo Guolo (L’ultima utopia. Gli jihadisti europei, Guerini e Associati) affronta con gli strumenti classici della sociologia qualitativa un problema che è al centro dell’attenzione di media e studiosi di scienze sociali da molti anni.

Guolo insegna sociologia del’Islam all’Università di Padova ed è autore da più di un trentennio di testi che affrontano la galassia islamista in ogni sua variante (compreso lo sciismo) e i problemi dell’integrazione dei musulmani europei. Il suo interesse per l’islamismo è figlio della prima grande ondata islamista della fine degli anni Settanta che lo spinse a perfezionare i suoi studi in Francia e di una esperienza nella missione italiana nel Libano dei primi anni Ottanta.

La prima risposta che l’autore ci fornisce riguardo al profilo del foreign fighter è che appare difficile costruirne uno unitario per la grande varietà di attori che si spingono ad arruolarsi per combattere. Alcuni dati forniti da Guolo ci aiutano a inquadrare meglio il fenomeno. Si tratta di giovani con una età media che oscilla tra i 18 e i 28 anni; una seconda generazione di immigrati caratterizzata da quella che il compianto sociologo algerino Abdelmalek Sayad chiamava la “doppia assenza”. L’immigrato non è mai davvero pienamente cittadino dello stato in cui è cresciuto e non è più neppure straniero, è fuori della comunità di provenienza e allo stesso tempo non è completamente parte di quella in cui vive. Questo ritratto di ragazzi che sono “dentro” e “fuori” è quello che forse disorienta di più coloro che tentano di capire il fenomeno degli jihadisti europei. Non serve chiudersi in un recinto identitario come fanno gli imprenditori politici di paura e xenofobia poiché il pericolo è dentro la società e la conflittualità tra le comunità che molti sembrano auspicare (basta leggere i titoli di alcuni giornali di orientamento conservatori) non può far altro che alimentarlo. L’obiettivo del terrorismo è quello di polarizzare la società europea tra musulmani sottomessi ai voleri dello stato islamico e occidentali che invece di combattere piccoli gruppi terroristi trasformano il conflitto sulla sicurezza in conflitto culturale e religioso.

Guolo ci ricorda che questa è la terza generazione di jihadisti. La prima è quella dei combattenti in Afghanistan, Bosnia, Algeria, Filippine ed Egitto; la seconda è quella dei qaidisti e l’ultima è quella dei soldati in Siria agli ordini dello Stato Islamico e di Jabhat al Nusra ancora legato ad Al Qaida.

La repressione e i controlli da parte della sicurezza nei paesi occidentali hanno trasformato la rete islamista radicale cambiando anche i “luoghi della radicalizzazione” reali o virtuali.

Le moschee per esempio non sono più un luogo di proselitismo e reclutamento. I radicali al loro interno non fanno più professione aperta della loro ideologia per evitare la chiusura dei luoghi di culto. Nelle moschee radicali si arriva per reti amicali e il reclutamento avviene ai margini del luogo di culto proprio per sfuggire ai controlli delle autorità. Un aspetto che sembra caratterizzare questa generazione del fronte esterno (la Siria) e interno (il ritorno in Europa) è quello del “mimetismo”. La barba lunga e il Qamis hanno lasciato il posto a volti glabri. Il teorico Abu Musab al Suri invita nel suo manuale consultabile in rete alla “dissimulazione” (solitamente utilizzata dagli sciiti) per poter colpire meglio e a sorpresa.

I controlli e la forza della repressione in Francia hanno prodotto quindi gruppi di jihadisti miniaturizzati, coesi e caratterizzati da lunghe relazioni amicali tra i membri o addirittura il fenomeno dei “lupi solitari”, espressione classica di quello che Marc Sageman chiama il “Jihad senza leader”.

Il capitolo più interessante del libro di Guolo è il settimo intitolato significativamente “Dalla République allo stato islamico” e si occupa del tema della devianza e del fallimento delle politiche più repressive nei confronti dei banlieusard. Dopo le rivolte del 2005 si è arrivati a concedere ai poliziotti vittime di offese verbali o fisiche (il reato di “onore” tipico delle tensioni di strada) di costituirsi parte civile personalizzando la relazione tra individuo e corpi dello stato. I risarcimenti onerosi gettano i giovani africani o magrebini francesi in una spirale di criminalità che passa per le aule di tribunale e continua nelle carceri. La personalizzazione del rapporto con la polizia produce esasperazione dei conflitti e odio bruciante. In questo cammino il soggetto solitamente de-islamizzato si re-islamizza in senso radicale diventando una sorta di “rinato” nella nuova religione che assume la categoria del Jihad come elemento centrale. 

Casella di testo

Citazione:

Renzo Guolo, L'ultima utopia (recensione di Paolo Di Motoli), "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", IV, 2, ottobre 2015

url: http://www.freeebrei.com/anno-iv-numero-2-luglio-dicembre-2015/renzo-guolo-lultima-utopia