I Singer / Die Singer

I Singer (da sinistra a destra): Esther Kreitman (1891-1954), Israel J. (1893-1944) e Isaac B. (1904-1991)

Ci sono storie che somigliano ai blocchi di marmo del tempio grande di Varsavia. Mastodontiche e stabili solo nei ricordi, in realtà sgretolate. Triturate e rase al suolo dal corso degli eventi. Sono storie che cominciano da qualche parte oltre il confine polacco all’epoca dello Zar, in una shetl di poche case fragili, costruite sulla certezza delle attese lunghe e delle fughe improvvise, e poi si spargono per il mondo. Berlino, Amsterdam, Londra, New York. Resistono nei racconti, nelle infinite ore di ricostruzione delle parentele, nelle testimonianze e nei commenti, nello studio perpetuo che è il tentativo di tenere insieme i destini spaiati dei protagonisti. Ricordano le vicende del popolo di cui fanno parte: hanno un’origine ma nessuno potrebbe dire con certezza quale sia, parlano una lingua che si somiglia ma che non è mai la stessa, sono state ovunque ma senza sentirsi mai a casa.

Quella della famiglia Singer è un insieme di studiosi e scrittori, uomini onesti, come si dice. Comincia in un villaggio chiamato Bilgoray, dove viveva un rabbino di nome Pichas Mendl Zinger, patriarca di una dinastia destinata a spezzarsi diverse volte prima di ritrovarsi e ricomporsi parzialmente solo per mettere insieme quanta memoria bastasse a non farla perdere di nuovo, e poi si sposta a Varsavia. Rav Zinger era sposato con Basheva Zylberman, il cui nome sarebbe rimasto in quello del suo erede più famoso: Isaac Bashevis Singer.

La prima a nascere e a scrivere è stata Esther, poi passata alle stampe con il nome del marito, Avraham Kreitman, un intagliatore di diamanti. Scriveva in yiddish, come avrebbero fatto i suoi fratelli, anche se aveva abbandonato la Polonia già nel 1913 per il Belgio e poi per Londra, dove avrebbe vissuto tutta la vita. Quella di Esther è una vicenda che si perde quasi subito, fatta di rimpianti e ritorni, di sofferenze e di repressioni. Nei suoi libri — soltanto tre, il più famoso dei quali si chiama Der Sheydimis Tants, tradotto in Deborah e pubblicato nel 1936 (in Italia per Baldini&Castoldi, 2012, col titolo Debora per la traduzione di Lorenza Lanza e Patrizia Vicentini) — descrive la condizione di oppressione della donna intellettuale nella società ashkenazita di fine Ottocento.

Il matrimonio combinato che l’aveva trascinata a soli ventun anni attraverso Paesi stranieri, in fuga da un’infelicità più che da una minaccia reale, sembrava averla marchiata con una sorta di malinconia permanente. Per due volte, finite le persecuzioni della Seconda Guerra Mondiale, è tornata alla ricerca della sua famiglia: prima in Unione Sovietica, per scoprire che il fratello minore Moyshe, sopravvissuto allo Sterminio, era morto nel 1946, e poi in Polonia dove però non c’era più nessuno. Suo figlio Morris, anche lui diventato uno scrittore conosciuto come Martin Lea, ha raccontato di come la madre avesse supplicato Bashevis di aiutarla a emigrare negli Stati Uniti, senza successo. Certo è che i due si sono ricongiunti nel 1947, solo per un breve periodo. Esther sopravvive nelle opere dei fratelli, nel racconto Yentl, in Satana a Goray (Longanesi, 2002 per la traduzione di Bruno Oddera) di Bashevis e in Yoshe Kalb (Adelphi, 2014 per la traduzione di Bruno Fonzi) di Israel Joshua.

Sono due in particolare, i romanzi in cui è possibile ricercare tracce della famiglia Singer. Due pezzi unici, appesantiti dall’incombenza della necessità di raccontare e resi leggeri dalla finzione, che seguono i propri protagonisti attraverso le loro fughe: dall’ignoranza prima e dalla persecuzione poi. La famiglia Karnowski (Adelphi, 2013, tradotto da Anna Linda Callow) di Israel Joshua, nato nel 1893, è un lungo testamento che percorre la storia di tre generazioni di ebrei polacchi emigrati a Berlino alla ricerca di un ambiente intellettuale riformato e stimolante. Tra interpretazioni rabbiniche dei testi sacri e il pragmatismo delle esplorazioni sessuali, il romanzo diventa una testimonianza intima velata, ma non per questo indecifrabile. I protagonisti sono costretti a confrontarsi con i pregiudizi e con la Tragedia, che porterà la famiglia a rifugiarsi in America negli anni Trenta. Anche Israel, secondogenito di rav Zinger, era emigrato in America nel 1934. Qui avrebbe pubblicato il suo maggior successo, I fratelli Ashkenazi (Longanesi, 2004, traduzione di Bruno Fonzi) e sarebbe morto a soli cinquant’anni, nel 1944. Senza il privilegio di veder finire i tempi bui.

Quello dei Karnowski è un tassello, poi ripreso e completato idealmente con La famiglia Moskat (Corbaccio, 1995, tradotto da Bruno Fonzi) dall’ultimo dei Singer, Isaac Bashevis, che si incastra in un mosaico di indizi diffusi nella ricchissima produzione complessiva dei tre fratelli.

Non ci sarebbe nemmeno bisogno di descrivere Bashevis, riconosciuto come il più importante scrittore yiddish della letteratura moderna, premio Nobel nel 1978, traduttore di Gabriele D’Annunzio e Knut Hamsun negli anni Venti, intellettuale influente e studioso infaticabile. Le prime versioni in inglese dei sui scritti hanno cominciato a circolare verso la fine degli anni Trenta, quando Bashevis, seguendo le orme di Israel, aveva cominciato a collaborare come corrispondente estero del quotidiano Forverts , diffuso negli Stati Uniti. È qui che dal 1945, ormai rifugiato e avendo ottenuto la cittadinanza americana, ha cominciato a pubblicare la saga dei Moskat in memoria del fratello, morto da appena due anni, che attraversa mezzo secolo di storia ebraica dell’Est, tessendo un intrico di relazioni tanto affascinante quanto complesso. Per la prima volta, Bashevis ha messo per iscritto la testimonianza di un intero popolo attraverso lo svolgimento di una discendenza, ha tracciato la realtà a lui contemporanea, dipingendola nelle contraddizioni ideologiche, religiose e esistenziali di una famiglia di commercianti di Varsavia, destinati al fallimento in poche generazioni sotto lo sguardo severo del patriarca Meshulam. Senza risparmiare niente ai suoi lettori tanto che, per amore del realismo, le pubblicazioni della saga, ritenuta inappropriata, sono state sospese per due volte da Forverts, per essere poi riprese a furor di popolo.

Bashevis Singer è stato una voce fondamentale per la storia ebraica d’Europa, senza la quale gran parte della memoria sarebbe andata perduta nell’orrore della Tragedia. È stato il punto di rottura con la tradizione antica, che ha trascinato lo yiddish nella modernità mantenendo intatto quell’umorismo che è stato la salvezza di una tradizione, ma anche un esponente importantissimo della memoria storica. In diciotto romanzi e quasi duecento racconti brevi è stato in grado di fare da punto di incontro per una generazione di scrittori altrimenti perduta, quella dei reduci, di cui hanno fatto parte Esther e Israel, ma anche Abraham Sutzkever e Aaron Zeitlin. Eredi di una lingua non più riconosciuta — con la nascita della Stato di Israele, lo yiddish non viene più considerato come lingua ebraica — che ha finito per diventare il dialetto universale di chi non aveva mai avuto una Patria e non era pronto a costruirne una dal nulla. Con parole sue: «Mi piace scrivere storie di fantasmi e non c’è niente di più azzeccato per le storie di fantasmi che una lingua morente. Più la lingua è moribonda, più i fantasmi sono vitali. I fantasmi amano lo yiddish, lo parlano tutti».

Con la morte di Bashevis, nel 1991, si chiude la storia di una dinastia di scrittori, formata sullo studio della Torah ed evoluta nell’osservazione del presente. Un presente doloroso e difficile, ma non per questo meno adatto all’ironia pungente che per millenni ha fatto da guscio protettivo per un popolo perseguitato, ma mai condannato. «Credo nella reincarnazione — ha detto Bashevis all’accettazione del Nobel — e sono sicuro che presto il Messiah verrà e migliaia di cadaveri yiddish si alzeranno dalle loro tombe. La prima cosa che chiederanno sarà: “C’è qualche nuovo libro che vale la pena di leggere?”». La voce della famiglia Singer è la voce di migliaia di ebrei europei in movimento, non necessariamente in fuga. Inizia in Polonia e finisce in America, come tante e come tante va ricostruita attraverso gli indizi nascosti nei ricordi. Somiglia al Tempio grande di Varsavia, solo che è ancora tutta lì, da leggere.

[G. D'Antona, Dinastia: storia della famiglia Singer, http://www.linkiesta.it/it/article/2015/01/27/dinastia-storia-della-famiglia-singer/24421/]

Es gibt Geschichten wie Marmorblöcke des grossen Tempels von Warschau. Aufgebläht und stabil sind sie nur in der Erinnerungen, aber tatsächlich zerbröckelt. Sie sind zerreibt und gestreift durch den Gang der Ereignisse. Sie sind Geschichten, die irgendwo über die polnische Grenze in der Zarenzeit anfingen, in einer „Shetl“ mit fragilen Häusern, gebaut auf der Gewissheit langer Wartezeiten und plötzlicher Fluchten und dann sich auf der ganzen Welt verbreiten. Berlin, Amsterdam, London, New York. Sie halten in den Geschichten, in den endlosen Stunden der Rekonstruktion von Angehörigen, in den Zeugnissen und Kommentaren, in permanenter Studie an, die versucht, die ungeraden Schicksale der Protagonisten zusammen zu halten. Sie erinnern sich an die Geschichten des eigenen Volkes: sie kommen woanders, aber niemand konnte sicher sagen, was für eine ähnelnde Sprache sprechen, die aber nicht dieselbe ist; sie waren überall, aber sich ohne jemals zu Hause zu fühlen.

Die Familie Singer ist eine Gruppe von Wissenschaftlern und Schriftstellern, „ehrliche Menschen“, wie man sagt. Sie kommen aus einem Dorf namens Bilgoraj, wo ein Rabbiner namens Pichas Mendl Zinger lebte. Er war der Patriarch einer Dynastie, die bestimmt war zu brechen, bevor sie sich wieder zu treffen und teilweise zu komponieren, um nur die genügende Erinnerung zusammen zu stellen, die sich nicht wieder verlieren zu lässt, und dann bewegt sich zu Warschau. Rav Zinger war verheiratet mit Basheva Zylberman, dessen Name in einem seiner berühmtesten Erben blieb: Isaac Bashevis Singer.

Die erste Singer war Esther, die dann durch den Namen ihres Mannes, Avraham Kreitman, Schnitzer von Diamanten, bekannt wurde. Sie schrieb in Jiddisch wie ihre Brüder, obwohl sie in 1913 von Polen nach Belgien wanderte und dann nach London, wo sie ihr ganzes Leben lebte. Esthers Geschichte ist eine fast sofort verlorene Geschichte, die von Sehnsucht, Leiden und Unterdrückung charakterisiert wurde. In seinen Büchern – nur drei, die berühmteste ist Den Sheydimis Tants (als Deborah übersetzt) – beschreibt die Unterdrückung der weiblichen Intellektuellen in der aschkenasischen Gesellschaft des späten neunzehnten Jahrhunderts.

Die arrangierte Ehe, die sie 21 Jahre alt durch das Ausland gezogen hatte, in die Flucht aus dem Elend und nicht aus einer realen Bedrohung, schien mit einer Art permanenter Melancholie markiert zu haben. Zweimal, nach der Verfolgung des Zweiten Weltkrieges, suchte sie nach ihren Familie in der Sowjetunion, wo der jüngeren Bruder Moyshe, der der Extermination überlebt, im Jahr 1946 gestorben war, und dann in Polen, wo aber sie keinen Verwandte fand. Ihr Sohn Morris, der als der Schriftsteller Martin Lea bekannt wurde, erzählte wie seine Mutter den Bruder Bashevis gebeten hatte, sie erfolgslos in den Vereinigten Staaten auswandern zu helfen. Sicherlich wurden die beiden Brüder im Jahr 1947 wieder verbindet, aber nur für einen kurzen Zeitraum. Esther überlebt in den Werken der Brüder: Yentl und Satan in Goray von Bashevis und Yoshe Kalb von Israel Joshua.

In zwei besonderen Romane kann man die Spuren der Familie Singer suchen. Es handelt sich um zwei einzigartige Stücke, die von der Notwendigkeit der Erzählung bedrückt und von Fiktion erleichtert wurden, die die Protagonisten durch seinen Fluchten folgen: Unbewusstheit und Verfolgung. Die Karnowski Familie von Israel Joshua (im Jahr 1893 geboren) ist ein langes Testament, das die Geschichte von drei Generationen der in Berlin gewanderten polnischen Juden durchläuft, wo sie nach einer reformierten und anregenden intellektuellen Umgebung suchten. Zwischen rabbinischen Interpretationen der heiligen Texte und Pragmatismus der sexuellen Exploration, wird der Roman ein verschleiertes intimes, aber nicht unverständliches Zeugnis. Die Hauptfiguren sind gezwungen, sich mit den Vorurteilen und der Tragödie zu konfrontieren, die sich in den dreissiger Jahren die Familie in Amerika flüchten werden. Auch Israel, der zweite Sohn von Rabbi Zinger, wanderte im Jahr 1934 nach Amerika. Hier veröffentlichte er seinen erfolgreichsten Roman: Die Brüder Ashkenazi. Er starb nur 50 Jahren alt, im Jahr 1944. Er konnte nicht das Ende der dunklen Zeiten sehen.

Die Familie Karnowski ist ein Bestandteil, der mit der Familie Moskat durch die letzte Singer, Isaac Bashevis, ergänzt und ideell abgeschlossen wurde. Der Roman fasst in der Mosaik von Spuren in der Gesamtproduktion der drei Brüder ein.

Man braucht nicht Bashevis zu beschreiben, weil er als der wichtigste jiddische Schriftsteller der modernen Literatur anerkannt ist, Nobelpreis im Jahr 1978, Übersetzer von Gabriele D‘Annunzio und Knut Hamsun in den zwanziger Jahren, einflussreicher Intellektuellen und unermüdlicher Gelehrte. Die ersten englischen Ausgabe seinen Schriften begann in den späten dressiger Jahren zu zirkulieren, wenn Bashevis, in die Fussstapfen von Israel tretend, begann als Auslandskorrespondent für die Zeitung „Forverts“ in den Vereinigten Staaten zu veröffentlichen. Hier, seit 1945, als Flüchtling und amerikanischer Staatsbürger, begann er die Saga von Moskat in Erinnerung an seinen nur vor zwei Jahren verstorbenen Bruder zu veröffentlichen, wo er 50 Jahren der europäisch-jüdischen Geschichte überspannt, ein Netz von faszinierenden und komplexen Beziehungen. Zum ersten Mal bezeugte Bashevis schriftlich ein ganzes Volk, indem er seine zeitgenössische Wirklichkeit skizzierte, die durch die ideologische, religiöse und existenzielle Widersprüche einer kaufmännisch tätigen Familie von Warschau malte, die in wenigen Generationen unter dem strengen Blick des Patriarchen Meschulam zum Untergang verurteilten wurde. Ohne nichts seine Leser zu vermeiden, so dass, zum Zwecke des Realismus, die Veröffentlichungen der Saga, als ungeeignet beurteilt, wurden zweimal von „Forverts“ gesperrt, aber lediglich durch seine populäre Anerkennung wieder aufgenommen.

Bashevis Singer war eine Grundstimme der jüdischen Geschichte Europas, ohne ein Grossteil des Speichers in dem Schrecken der Tragödie verloren würde. Er war die Bruchstelle mit der alten Tradition, die das Jiddisch in der Moderne durch die Erhaltung intakter Humor geschleppt hat, die nicht nur die Rettung einer Tradition war, sondern auch ein sehr wichtiger Vertreter des historischen Gedächtnisses. In 18 Romanen und fast 200 Geschichten war er in der Lage, eine ganze sonst verlorene Generation von Schriftstellern treffen zu lassen: die Generation der Veteranen, der nicht nur Esther und Israel gehöhrten, sondern auch Abraham Sutzkever und Aaron Zeitlin. Sie sind die Erben einer nicht mehr erkannten Sprache (nach der Geburt des Staates Israel ist das Jiddisch nicht mehr als jüdische Sprache betrachtet), die der Universal-Dialekt der Staatslosen und Staatsfeindlichen geworden wurde. Er sagte: „Ich mag Geistergeschichten schreiben, und es ist nichts besser geeignet für die Geistergeschichten als eine sterbende Sprache. Je mehr die Sprache stirbt, desto sind die Geister von entscheidender Bedeutung. Die Geister lieben Jiddisch, alle sprechen es“.

Mit dem Tod von Bashevis in 1991 schliesst sich die Geschichte einer Dynastie von Schriftstellern, auf Torastudium gebildet und in der Beobachtung der Gegenwart entwickelt. Eine schmerzhafte und schwierige Gegenwart, aber nichts desto weniger geeignet für die bessende Ironie, die Jahrtausend lang die Schutzhülle für ein verfolgtes, aber nie verurteiltes Volk war. „Ich glaube an der Reinkarnation – sagte Bashevis bei der Annahme der Nobel – und ich bin sicher, dass der Messias bald kommen wird und Tausende von Jiddisch Toten sich aus ihren Gräbern steigen werden. Sie werden zuerst fragen: „Gibt es ein neues Buch, das die Mühe lohnen zu lesen?“ Die Stimme der Familie Singer ist die Stimme von Tausenden von europäischen Juden unterwegs, die nicht unbedingt auf der Flucht waren. Sie beginnt in Polen und endet in Amerika, wie viele Geschichte und wie viele anderen muss sie durch die Spuren der Erinnerung wieder aufgebaut. Sie schaut auf den grossen Tempel von Warschau, nur es ist immer alles da zu lesen.