Chicchi di cinema ebraico (I)

"Free Ebrei", VI, 2, ottobre 2017

Chicchi di cinema ebraico (I)

Abstract

Riccardo Ghezzi reviews some movies which contain Jewish and Israeli themes

 

Il 2017 è stato un anno all’insegna dell’ebraismo nelle sale cinematografiche. Tre pellicole in particolare si sono distinte per riferimenti impliciti o espliciti a Israele, alla cultura ebraica o alla storia degli ebrei. Il più significativo è “Libere, Disobbedienti e Innamorate”, ambientato a Tel Aviv. Un film coraggioso, anche in considerazione del fatto che la regista è Maysaloun Hamoud, araba palestinese alla sua prima esperienza. Le protagoniste sono tre ragazze arabe che si trovano a condividere da coinquiline lo stesso appartamento a Tel Aviv: una cristiana, una musulmana osservante e una musulmana laica. Si intrecciano le vicende delle tre giovani, alle prese con le loro contraddizioni e le tentazioni di una città viva e libertina come Tel Aviv, in contrasto con le imposizioni dogmatiche della cultura delle protagoniste, soprattutto le due religiose osservanti.

Certo, non sono mancate le velate critiche ad Israele, ampiamente previste considerando la regia, ma la pellicola affronta senza alcuna remora il tema delle donne arabe, le loro privazioni e l’emancipazione possibile solo in Israele. Un paese che probabilmente nel film diretto dalla Hamoud appare meno accogliente nei confronti delle minoranze di quanto effettivamente sia, ma di fatto permette l’integrazione di tre ragazze la cui cultura sarebbe distante anni luce da quella di una città come Tel Aviv.

Il film è interessante non solo perché denuncia con coraggio (anche se meno di quel che servirebbe, ma ci possiamo accontentare) la condizione critica e delicata della donna araba (musulmana, ma anche cristiana), ma anche perché permette di conoscere Israele attraverso gli occhi di una regista palestinese. Contraddizioni, certo, difficoltà di integrazione anche. Ma senza dubbio emerge un paese libero in cui anche tre donne arabe possono scoprire una vita diversa da quella imposta dai loro stessi condizionamenti sociali. E se ad ammetterlo è una regista araba, non può che essere un fattore positivo.

Il tema della donna è ovviamente centrale anche in “Wonder Woman” della regista “Patty” Jenkins, campione di incassi negli Usa. La supereroina semidea dei fumetti Dc Comics è interpretata sul grande schermo dall’israeliana Gal Gadot, ex soldatessa Idf. L’attrice ha espresso in passato idee e posizioni di vicinanza e solidarietà nei confronti di Israele, condannando duramente Hamas e il terrorismo palestinese. La sua Wonder Woman è un personaggio immaginario, tuttavia non si può restare indifferenti ai continui riferimenti all’emancipazione femminile proposti dalla pellicola. La Wonder Woman di Patty Jenkins e Gal Gadot, per restando una semidea dai poteri pressoché smisurati, è un personaggio che non perde mai la propria femminilità. Non è forse il messaggio più importante del film, che si conclude con un appello a non arrendersi mai e a credere sempre nell’amore (banale, forse, ma reso particolarmente bene), tuttavia non può sfuggire allo spettatore: si può essere donne e non rinunciare alla femminilità anche sconfiggendo pregiudizi e imposizioni sociali sui ruoli di genere.

Una donna può essere forte, indipendente, bastare a se stessa rimanendo tale, senza per questo assumere caratteristiche maschili. Non è certo necessario possedere i superpoteri di Wonder Woman, che pure nel film deve avvalersi dell’aiuto di persone (uomini e donne) tutt’altro che invincibili ma disposte a fare tutto ciò che è nelle loro possibilità.

Il tema dell’emancipazione femminile e della parità tra sessi non è tabù in Israele, che da questo punto di vista può dare lezioni persino a buona parte dell’Europa: forse non è un caso che sia proprio un’attrice israeliana ad interpretare il ruolo di Wonder Woman. E’ invece tabù in tanti, troppi, paesi arabi, tra cui quelli che hanno vietato o provato a boicottare la pellicola diretta da Patty Jenkins. Ufficialmente, il motivo è il “sionismo” dell’attrice Gal Gadot, rea come detto di aver difeso con convinzione le ragioni di Israele. Forse, però, è proprio il messaggio di emancipazione femminile a non convincere paesi come Libano e Tunisia che si sono scagliati contro Wonder Woman.

Infine, “The war – Il pianeta delle scimmie”, diretto da Matt Reeves, terzo capitolo di una fortunata trilogia cinematografica, può essere visto come un omaggio all’ebraismo e alla parabola degli ebrei. Specificando che le scimmie sono “i buoni” e sgombrando ogni possibile equivoco su riferimenti con accezione negativa, l’odio e i pregiudizi da parte degli umani nei confronti delle scimmie ricordano drammaticamente la retorica antisemita. L’interpretazione del film è piuttosto libera e lo spettatore può vederci riferimenti anche ai migranti, tuttavia appaiono chiari almeno un paio di riferimenti: la parabola di Mosè e soprattutto il richiamo alla Shoah, quando le scimmie vengono rinchiuse dagli uomini in veri e propri campi di concentramento. Il finale, poi, sembrerebbe persino eloquente: l’arrivo delle scimmie, perseguitate, in una terra promessa nella quale poter vivere finalmente in pace. Eretz Israel?

Casella di testo

Citazione:

Riccardo Ghezzi, Chicchi di cinema ebraico (I), "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", VI, 2, ottobre 2017

url: http://www.freeebrei.com/anno-vi-numero-2-luglio-dicembre-2017/chicchi-di-cinema-ebraico-i