Colin Shindler, Israele. Dal 1948 a oggi

"Free Ebrei", III, 1, marzo 2014

Abstract

Colin Shindler's essay on the history of Israeli politics from the beginning till our days is an attempt to show the different turning point of Israeli policy through the emergence of old-new men, such as Menachem Begin's victory in the 1977 elections.

Colin Shindler, docente di Studi Israeliani alla SOAS di Londra, è autore di un ponderoso saggio in cui ripercorre le vicende politiche dello Stato d'Israele dalla fondazione sino all'autunno 2011. L'A. è uno degli studiosi più importanti a livello europeo di storia israeliana. Dopo un lavoro sull'immagine della guerra nel cinema hollywodiano e alcuni saggi sulle origini della destra politica israeliana (The land beyond promise, 2002; The triumph of military Zionism, 2006), l'A. ha pubblicato questo ponderoso saggio sulla storia dello stato ebraico, cui ha fatto seguito, pochi mesi fa, un lavoro sullo spinoso (e freudianamente irrisolto) rapporto fra sinistra europea e Israele. L'edizione italiana del saggio A history of modern Israel (che si chiudeva con il 2008) è stato aggiornata per mano dell'A. stesso.

La storia di Israele è un tema costantemente agli onori della cronaca. Poco o nulla sappiamo della vita interna dello Stato ebraico, mentre i telegiornali pullulano di richiami alla sicurezza e agli attacchi terroristici e/o dinamitardi, con le solite domande circa la "liceità" delle rappresaglie o degli attacchi "chirurgici" e preventivi. Per limitarci al panorama storiografico, vanno segnalati negli ultimi anni i lavori "autoctoni" di Claudio Vercelli, editi dalla Giuntina e da Carocci, accanto ai ponderosi saggi di Georges Bensoussan sul sionismo e sulla formazione dello stato ebraico, pubblicati da Einaudi e da UTET libreria. Proprio l'intricato rapporto fra sionismo e Stato di Israele è una delle chiavi di lettura più ricorrenti di questi lavori: l'ideologia nazionalista, che ha giocato un peso rilevante nella formazione politica dello Stato, è diventata un ostacolo alla “normalizzazione” della società israeliana oppure no? Il passaggio dal “sogno” alla “realtà” ha comportato la fine di un'epoca? Si può parlare di trasformazione in corso? Questa “normalizzazione” è possibile e necessaria, anche alla luce della “primavera araba”?

Il lungo saggio è suddiviso in una ventina di capitoli che ripercorrono i sei decenni di vita dello Stato ebraico. L'A. mescola abilmente la descrizione accurata degli eventi con le azioni dei grandi personaggi. In particolare, la narrazione cerca di comprendere le scelte degli uomini alla luce degli eventi e della loro storia personale. I profili di Ben Gurion, Menachem Begin, Yitzhak Shamir, Yitzhak Rabin e Ariel Sharon, in particolare, vengono descritti nitidamente attraverso le loro decisioni controversie e il loro miscuglio di idealismo e realismo, di pragmatismo e conservatorismo, di laicismo e religione. Un miscuglio difficilmente comprensibile per un occidentale, ma che rappresenta a suo modo un lascito della storia ebraica diasporica. Lo spazio assegnato ai “padri fondatori” va di pari passo con un'analisi meno partecipata e più asettica dedicata alla generazione dei “sabra” (gli ebrei nati nello Stato di Israele), come Ehud Barak e - soprattutto  - Benjamin Netanyahu, che segnano il tentativo israeliano di acquisire una “normalizzazione” post-ideologica.

Non è un caso che l'A. dedichi quasi metà del suo ponderoso volume alle vicende successive al 1977, ovvero all'ascesa del Likud e alla fine del sogno socialista di creare una società più giusta e "nuova". Questo si spiega in parte con i suoi interessi pregressi (Shindler è un fine conoscitore del sionismo di Jabotinsky e delle destre ebraiche), ma anche con una particolare attenzione al cambiamento in corso nella politica israeliana. L'ascesa della destra ha rappresentato infatti uno sviluppo nel processo di melting pot israeliano, che è diventato sempre più complesso e problematico con la fine dell'URSS e con l'aumento dei partiti religiosi. Il “nemico” d'Israele non è più rappresentato dai paesi arabi, dal panarabismo oppure dal nazionalismo palestinese, ma dagli Hezbollah libanesi e da Hamas nella striscia di Gaza, ovvero da due partiti religiosi. L'aumento dei partiti religiosi ebraici ha segnato un cambiamento nella struttura sociale e politica israeliana. Nel bene e nel male si è trattato di un processo di "democratizzazione": le vecchie élites lasciano il posto alle masse levantine e orientali.

La crisi economica che attanaglia lo Stato ebraico negli ultimi anni ha determinato un cambiamento strategico nella politica estera? Le spese militari sono diminuite a favore di altre voci del bilancio statale? È possibile immaginare una società meno soggetta all'agenda estera? Gli eventi di questi giorni sembrano dare una risposta negativa a questi dilemmi: la politica estera continua a reclamare il suo "primato". Anzi, la “primavera araba” sembra aver acuito il senso d'insicurezza della popolazione israeliana che, pur critica verso le decisioni di politica interna attuate dal governo di Netanyahu, non sembra pronta ad affidare il timone del comando a un leader più conciliante e più pragmatico. Fra l'incudine e il martello è possibile intravvedere qualcosa di nuovo? Le spinte democratiche del mondo arabo, che hanno inevitabilmente dato voce ai partiti religiosi, avranno effetti duraturi sulla struttura politica dello Stato ebraico? La risposta di Shindler è fondamentalmente negativa.

Casella di testo

Citazione:

Colin Shindler, Israele (recensione di Vincenzo Pinto), "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", III, 1, marzo 2014

url: http://www.freeebrei.com/anno-iii-numero-1-gennaio-giugno-2014/colin-shindler-israele-dal-1948-a-oggi