Daniela Franceschi, Il processo Slansky nella Cecoslovacchia del 1952

"Free Ebrei", VI, 2, luglio 2017

Il processo Slansky nella Cecoslovacchia del 1952

L’antisemitismo in un Paese satellite dell’Unione Sovietica dopo la Seconda Guerra Mondiale

di Daniela Franceschi

Abstract

Daniela Franceschi explores Rudolf Slansky trial 1952, which represents on the most important Stalin's post-war processual "purge" against Jews.

Sì, tutto scorre, tutto muta, non si può mai salire sullo stesso convoglio. 

Vasilij Grossman, Tutto scorre…

 

Nel 1952, quasi un decennio dopo la Shoah, la Cecoslovacchia comunista mise in scena uno degli atti più eclatanti di antisemitismo propagandato dallo Stato. Le purghe politiche di Praga portarono sotto processo quattordici imputati. Undici dei quattordici imputati erano di origine ebraica. Tutti furono riconosciuti colpevoli, e undici furono condannati a morte. I restanti tre furono condannati all’ergastolo. Tutti gli accusati erano devoti comunisti, che avevano abbandonato ogni identità religiosa, etnica, o nazionale per la ricerca dell’utopia socialista. Eppure, la principale motivazione ideologica alla base del processo fu l’antisemitismo. Il processo Slansky del 1952 rappresentò un duro colpo per gli ebrei, che dovettero riconsiderare una gamma di affiliazioni politiche, religiose, e nazionali. Le purghe costrinsero molti ebrei a riesaminare le loro posizioni nei confronti del sionismo, del comunismo, della sinistra come scelta tradizionalmente popolare. Il processo spinse molti ebrei a riflettere su cosa significava essere ebrei in un mondo post-Olocausto. Nonostante l’uso palese di tropi antisemiti nel processo, gli storici devono ancora studiare come gli ebrei, all’interno e all’esterno della cortina di ferro, vissero il procedimento giudiziario. L’impatto della vicenda Slansky rimane una lampante omissione sia della storia degli ebrei del dopoguerra sia della storia dell’Europa Orientale dopo la fine della Seconda Guerra mondiale.

Il presente contributo intende analizzare come gli ebrei, in un’epoca post-Shoah, vissero e reagirono di fronte ad atti ufficialmente antisemiti.

Nel 1943, in occasione del venticinquesimo anniversario dell’indipendenza cecoslovacca, il dottor Stephen Wise, Presidente del Congresso Ebraico Americano, scriveva: “nessun popolo si è distinto per la risolutezza, più potentemente contro la tirannia e la brutalità naziste della Cecoslovacchia. La cosa gioiosa da ricordare in questo momento di celebrazione è che la fine dell’asservimento è a portata di mano. Il giorno della liberazione arriverà presto. Lo spirito di Masaryk vive ancora nelle anime dei figli e delle figlie della Cecoslovacchia”[1]. Il dottor Wise espresse queste parole quando la Cecoslovacchi aveva cessato di esistere come Stato indipendente. La prima repubblica Cecoslovacca era stata disintegrata dalla Germania nazista. Le terre ceche erano state occupate dalle forze naziste, mentre la Slovacchia era un regime fantoccio della dittatura nazista. Nonostante il suo tragico destino e il fatto che l’ebraismo cecoslovacco venisse sistematicamente annientato rientrando nella “soluzione finale” nazista, il dottor Wise manteneva una grande fede nello Stato e nella popolazione cecoslovacchi come alleati degli ebrei.

 A differenza della maggior parte degli Stati europei tra le due guerre, la Cecoslovacchia rimase uno Stato democratico fino al suo scioglimento da parte della Germania nazista nel 1938. Questo Stato multi-etnico, multi-confessionale e multi-lingue, derivato dal disciolto impero austro-ungarico, rimase un’isola di tolleranza e di parlamentarismo liberale in un’Europa dominata da regimi di destra, autoritari e fascisti. Il tema dei diritti delle minoranze ancora incombeva nella vita pubblica della Cecoslovacchia tra le due guerre, con l’esplosione di tensioni tra i vari gruppi nazionali di questo Stato così eterogeneo, e nonostante la sua relativa stabilità e il carattere democratico, tali caratteristiche dimostravano quanto queste tensioni tendessero a indebolirlo costantemente.

Per gli ebrei europei, l’immagine della Cecoslovacchia si univa a quella dell’antisemitismo, una realtà sempre più presente nella loro vita quotidiana. Nelle terre ceche, in cui gli ebrei tendevano ad assimilarsi, l’antisemitismo era presente, e in Slovacchia, dove gli ebrei tendevano ad essere più osservanti e dove la popolazione aderiva fortemente alla religione cattolica, l’antisemitismo era ancora più pronunciato. Tuttavia, solo gli ebrei cecoslovacchi furono riconosciuti come minoranza nazionale, ricevendo protezione legale. Mentre molti ebrei scelsero di identificarsi come cechi, tedeschi, slovacchi, e ungheresi, altri, avendone la facoltà, si dichiararono di nazionalità ebraica. Come ha osservato Hillel Kieval, “nel contesto tra le due guerre dell’Europa Orientale, le concessioni della Cecoslovacchia al nazionalismo ebraico, sono state, infatti, senza precedenti”[2].

Data la posizione favorevole della Cecoslovacchia verso i suoi cittadini ebrei, molti leader e comunità ebraiche al di fuori del Paese avevano una grande considerazione della Repubblica Cecoslovacca. Il loro apprezzamento era stato ulteriormente rafforzato dalla figura del primo Presidente della Repubblica, Tomas G. Masaryk e dalla sua ben nota difesa dei diritti e della nazionalità degli ebrei. A parere di Kieval, gli ebrei cechi dimostravano grande entusiasmo per Masaryk e il suo piccolo Partito vedendo in lui uno strenuo oppositore dell’antisemitismo, un difensore delle aspirazioni ebraiche per l’accettazione sociale e politica, e un promotore della laicità dello Stato democratico. Molti ebrei consideravano i cechi come anime affini, ritenendo che la lotta per l’indipendenza nazionale ceca avesse molto in comune con la propria. Come nota Kieval, allo stesso modo i cechi vedevano nel movimento nazionale ebraico una versione della propria rinascita nazionale, l’eco dei loro sforzi per assicurarsi un futuro attraverso l’autonomia culturale e politica.

Il dottor Leo Zelmanovitz, rappresentante cecoslovacco del Congresso Ebraico Mondiale, mentre era in esilio a Londra durante la Seconda Guerra mondiale, faceva eco a questo sentimento osservando che “gli ebrei, in tutto il mondo, hanno deplorato Monaco; hanno deplorato il trattamento riservato, e la disgrazia che aveva raggiunto lo Stato di Masaryk e Benes. Durante i vent’anni di esistenza dello Stato, è stato uno dei pochi Stati nell’Europa Centrale- se non il solo Paese- in cui il trattamento della comunità ebraica non abbia dato motivo di preoccupazione o denuncia da parte del mondo ebraico. Al contrario, era ben noto agli ebrei, ovunque essi risiedessero, che gli uomini di Stato della Cecoslovacchia erano sempre stati convinti sostenitori del principio che ci dovessero essere giustizia e uguaglianza per il popolo ebraico. Dal 1933, e dopo l’occupazione dell’Austria, la Repubblica Cecoslovacca è diventata un rifugio per molte migliaia di ebrei che erano in grado di sfuggire alle grinfie dell’hitlerismo. Gli ebrei hanno deplorato la distruzione di questa isola di democrazia e tolleranza. Essi lo considerano come un colpo contro loro stessi”[3]. Nonostante i precedenti episodi di antisemitismo nelle terre ceche, come il processo per omicidio rituale contro Leopold Hilsner nel 1899[4], la percezione della Cecoslovacchia come un rifugio sicuro per gli ebrei raggiunse una grande popolarità in molti ambienti ebraici, e ben lungi dall’essere diminuita dopo la tragedia di Monaco, si intensificò durante gli anni della guerra. Come affermò un ebreo ceco, “è da sperare che il boia tedesco non riuscirà nel suo intento di spezzare per sempre i legami che hanno unito generazioni di Israele e del popolo cecoslovacco”[5].

Non sorprende quanto gli ebrei in tutto il mondo rimanessero scioccati, dopo poco più di sette anni dalla fine della Guerra e dall’Olocausto, dal fatto che la Cecoslovacchia comunista mettesse in scena uno degli atti più eclatanti di antisemitismo propagandato dallo Stato. Le purghe politiche di Praga del 1952, note anche come Processo Slansky, misero sotto processo quattordici imputati, undici dei quali erano di “origine ebraica”, e il Partito Comunista, lo Stato, e i media non perdevano occasione per sottolineare questa caratteristica. Tra gli arrestati vi erano alti ufficiali comunisti, uomini che avevano abbandonato la loro identità ebraica per quella comunista, dedicando la loro vita alla causa rivoluzionaria. Rudolf Slansky, dal quale il processo prende il nome, era il Segretario Generale del Partito, uno dei più potenti leader della Cecoslovacchia del dopoguerra, nonché uno stalinista convinto.

Come Karel Kaplan ha scritto nella sua indagine approfondita sul processo, la principale spinta ideologica del procedimento giudiziario fu “l’antisemitismo puro e semplice”[6]. I crimini di cui erano accusati erano sionismo, nazionalismo borghese, titismo e trotskismo. In risposta al processo la B’nai Brith emise la seguente dichiarazione, “l’antisemitismo è il tratto distintivo che differenzia l’Affaire Praga da tutte le precedenti purghe sovietiche. L’atto d’accusa del pubblico ministero e le testimonianze robotizzate degli imputati condannati hanno chiarito che né i nazionalisti borghesi né i sionisti- ma gli ebrei- sono il bersaglio del più feroce attacco antisemita da parte di una grande potenza dalla Germania nazista”[7].  Tali espressioni sarebbero state impensabili solo cinque anni prima, quando la Cecoslovacchia si era dimostrata una dei più ardenti sostenitori del sionismo. Mentre le reazioni ebraiche al processo Slansky erano varie e complesse, il sentimento generale espresso da leader e organizzazioni ebraiche era un misto di delusione e disillusione verso il popolo cecoslovacco e, forse, ancora più significativamente, verso il comunismo come soluzione praticabile per la “questione ebraica”.

Come Bradley Abrams ha scritto nella sua indagine sulla vita intellettuale della Cecoslovacchia del secondo dopoguerra, “l’equazione è semplice: senza Seconda Guerra mondiale, nessuna Europa Orientale comunista di stile sovietico”[8]. L’occupazione nazista e la vasta distruzione portata dal conflitto avevano trasformato la società cecoslovacca. “Le esperienze dal 1938 al 1945”, scrive Abrams, “avevano strappato il tessuto sociale della società esistente tra le due guerre, con gerarchie sociali riconfigurate, economie riorganizzate, alleanze politiche rimescolate, provocando un riesame delle priorità in politica interna ed estera, innescando un ripensamento sul significato delle nazioni coinvolte, e catalizzando le forze verso la ricostruzione fondamentale degli Stati della regione”[9]. Allargando l’ipotesi di Abrams, si potrebbe affermare lo stesso per il processo Slansky- nessun Stalin, nessuna purga in stile sovietico negli stati satelliti dell’Europa Centro/Orientale. Tuttavia, nella sua indagine del 1968, il regime di Debcek ammise che “mentre le cause dei processi cecoslovacchi possono essere trovate senza dubbio in agenzie esterne, queste in sé non spiegano la grandezza e la ferocia dell’operazione –qualcosa di assolutamente estraneo alla tradizione del Paese”[10]. Stalin da solo, quindi, non può spiegare la tragedia del 1952. Lo Stato cecoslovacco, il Partito Comunista, e la popolazione parteciparono volontariamente in questa caccia alle streghe dei nemici della causa socialista e in particolare di quelli di origine ebraica.

In tutti i Paesi dell’Europa Centrorientale, dopo la Prima Guerra mondiale, il Partito Comunista era bandito dalla partecipazione alla vita politica pubblica. Tra le due guerre, nonostante il suo desiderio di rovesciare il “regime” nel cui Parlamento sedeva, il Partito Comunista cecoslovacco partecipava attivamente al processo democratico. Nel 1925, aveva ottenuto il 13.2% dei voti, nel 1929 era sceso al 10.5%. Queste cifre spiegano che la maggioranza della società cecoslovacca aveva optato per Partiti politici non comunisti, ma non condivideva la stessa repulsione per il comunismo dei vicini ungheresi e polacchi.

L’esperienza della Seconda Guerra mondiale insieme al suo status di Partito politico legale nel periodo pre-bellico contribuirono alle vittorie del Partito Comunista nell’immediato dopoguerra. La sua ascesa elettorale lo distingue dagli altri Paesi, in cui i Partiti Comunisti presero le redini del potere con l’aiuto indispensabile dell’Unione Sovietica. Negli anni inziali del suo predominio politico, sembrava che il Partito Comunista cecoslovacco potesse intraprendere da solo “la via al socialismo”. La sua ascesa al potere fu accompagnata da una revisione del volto pubblico del Partito. Come osserva Abrams, “la sinistra radicale ceca eseguì contemporaneamente una doppia trasformazione: il Partito Comunista divenne super-patriottico, e la storia ceca fu reinterpretata per far sì che il movimento comunista fosse il logico erede dei migliori valori della Nazione, ritraendo il Partito Comunista come se stesse ripercorrendo i medesimi passi delle più grandi figure della storia ceca”[11]. Costruendo su di loro la sua autorità politica e sociale, il Partito Comunista cecoslovacco ottenne una sorta di legittimazione nazionale. I conflitti nazionali tra cechi e tedeschi, che avevano funestato la vita politica prima della Seconda Guerra mondiale, assunsero un carattere violento nel periodo post-bellico, quando circa tre milioni di tedeschi furono espulsi forzatamente dagli Stati dell’Europa Orientale. Nel caso ceco, era fondamentale che i comunisti ammantassero la dottrina marxista del nazionalismo risorto subito dopo il conflitto.

La strada cecoslovacca verso il socialismo avrebbe potuto sviluppare una cultura che i comunisti giudicavano particolarmente adatta per il successivo passaggio ad una società leninista. Allo stesso tempo, tuttavia, la transizione al socialismo poteva avvenire soltanto quando i cecoslovacchi avessero eliminato tutte quelle caratteristiche che avevano portato alla loro rovina e all’occupazione da parte della Germania nazista.

Forse con più accortezza di quanto lui stesso avesse realizzato, l’ideologo del Partito Nedely aveva scritto, “non dobbiamo pensare di essere immuni dal fascismo, come abbiamo detto a noi stessi. Abbiamo più fascismo in noi stessi di quanto possiamo pensare…noi dobbiamo distruggerlo anche in noi stessi”[12].  Le purghe politiche avevano giocato un importante ruolo in Unione Sovietica fin dal presa del potere da parte dei bolscevichi nel 1917. Stalin, con i processi farsa e il grande terrore della fine degli anni Trenta, rese la purga politica parte integrante della vita del Partito. Ben prima del processo Slansky, il processo Rajk in Ungheria e il processo Rostov in Bulgaria avevano avuto una copertura significativa in tutta la sfera di influenza sovietica. Lo stesso tipo di vigilanza paranoica che caratterizzava il Partito Comunista dell’Unione Sovietica assediava gli Stati satelliti dell’Europa Orientale. La Cecoslovacchia, con il suo ampio sostegno popolare al socialismo, aveva il Partito Comunista più grande nel blocco sovietico, tuttavia, i leader comunisti non interpretavano questo come un segno di vittoria, bensì come una spinta per liberare il Partito dagli elementi non comunisti.

Tra i Paesi inglobati nella sfera sovietica dopo la Seconda Guerra mondiale, la Cecoslovacchia era storicamente la più liberale, libera, e occidentale. Nel 1949, il reporter del “The New York Times” Sulzberger scriveva: “Al termine di una visita in Cecoslovacchia, si è costretti a concludere che questa recente democrazia del popolo rappresenti piuttosto un’anomalia. Un occidentale incontra sicuramente un’accoglienza più amabile là di quella tipica oggigiorno in Europa Orientale. Non c’è un’indicazione visibile che il Presidente Klement Gottwald diriga uno Stato di polizia…superficialmente, la vita è facile e borghese. La Praga barocca è piena di persone vestite comodamente…Passeggiando sotto i palazzi seicenteschi, si possono osservare nuotatori e vogatori che si godono il bel fiume Vltava (Moldava). Giovani schietti ingoiano enormi panini- acquistati con le tessere per le razioni- nelle caffetterie. I lavoratori ottengono enormi piatti di gnocchi e carne, nelle mense delle fabbriche…non c’è un’atmosfera palese di paura o terrore, sia a Praga sia nei paesi di campagna”[13]. Come indicano le osservazioni di Sulzberger, la Cecoslovacchia aveva conservato molte delle caratteristiche che possedeva prima del conflitto. Di conseguenza, Mosca temeva che il Paese potesse allontanarsi troppo dalla sfera Sovietica, stabilendo un precedente per gli altri Stati satelliti. Come il rapporto Dubcek mise in evidenza, la Cecoslovacchia era l’anello più debole della Comunità delle democrazie popolari. Allo stesso tempo sottolineava la sua posizione speciale come Paese avanzato industrialmente e strategicamente importante. Conseguentemente, data la sua natura bivalente di membro chiave e di anello più debole, e credendo imminente una guerra, la dirigenza sovietica era ossessionata dall’obiettivo di elevare la Cecoslovacchia ad un livello tale da salvaguardarne il ruolo chiave. Rakosi, leader dei comunisti ungheresi, confermò questo sentimento affermando nel 1949 che “considerando l’ampiezza di un attacco lanciato contro la relativamente piccola e insignificante Ungheria, si deve presumere che gli imperialisti siano ancora più interessati alla più grande e importante Cecoslovacchia”[14].

È importante analizzare il processo Slansky alla luce della doppia esistenza della Cecoslovacchia come uno dei più importanti asset all’interno del blocco sovietico e il solo Paese la cui popolazione aveva avuto una reale esperienza democratica. La caccia ai nemici politici in Cecoslovacchia ebbe inizio nel 1949, quando Rudolph Slansky, con una imprevedibile tragica ironia, annunciò in una riunione dei segretari regionali del Partito che non potevano essere soddisfatti non avendo trovato il loro Rajk o Rostov, dovevano rendersi conto di essere ben lontani dallo scoprire e svelare la rete completa di agenti in mezzo a loro. Inoltre, Slansky ricordava la risoluzione del Cominform secondo la quale tutto il Partito doveva aumentare la sua vigilanza rivoluzionaria e scoprire gli agenti controrivoluzionari. Come osserva Karel Kaplan, le purghe politiche in Cecoslovacchia hanno subito molte revisioni prima che le autorità decidessero di indicare in Slansky il capo di una cospirazione sionista contro lo Stato.

Il carattere antisemita del procedimento giudiziario emerse più tardi, quando Stalin diede inizio alla sua campagna anti-ebraica all’interno dell’Unione Sovietica. Stalin iniziò questa campagna antisemita alla fine degli anni Quaranta nel momento in cui l’Unione Sovietica divenne sempre più ostile verso lo Stato d’Israele. Alla fine degli anni Quaranta e all’inizio dei Cinquanta, attaccò ogni sorta di vita ebraica in URSS. All’inizio, i suoi attacchi mirarono a smantellare e gettare discredito sul Comitato Antifascista Ebraico, che aveva svolto un importante ruolo durante la Seconda Guerra mondiale. I componenti del Comitato erano stati incoraggiati, durante il conflitto, ad entrare in contatto con le Organizzazioni di ebrei occidentali nella speranza di ottenere un finanziamento per lo sforzo bellico sovietico. Dopo la guerra, come molti altri cittadini sovietici che erano tornati dall’Europa dell’ovest, erano stati perseguitati per la loro esposizione ai valori e alla cultura occidentale. I quindici ebrei appartenenti al Comitato, e fra essi cinque celebri poeti e scrittori, furono falsamente accusati, segretamente processati e condannati per tradimento e spionaggio. Tredici furono giustiziati, uno morì nella prigione del carcere e un altro venne esiliato.      

Dopo i processi contro il Comitato Antifascista ebraico, Stalin cercò di liberare l’Unione Sovietica da tutte le forme di cultura ebraica, inoltre, colpì i leader della vita intellettuale ebraica del Paese. L’attività antiebraica di Stalin culminò nel gennaio del 1953 con l’annuncio del cosiddetto “complotto dei medici”, quando dei medici ebrei furono accusati di usare il loro accesso alla medicina per danneggiare e uccidere alcune delle personalità di spicco dell’Unione Sovietica. Come le accuse nel processo Slansky, le prove erano state tutte fabbricate da Stalin e da alti dirigenti all’interno del Partito. Che il processo Slansky e le attività antiebraiche dell’Unione Sovietica derivassero, in larga parte, dalla personalità dello stesso Stalin è indubbio. Come Brent e Naumov osservano, “il complotto dei medici è stato il logico culmine del totalmente illogico sistema di Stalin”[15]. Non desta, quindi, sorpresa che il “complotto dei medici” fosse denunciato e reso noto all’opinione pubblica a poche settimane dalla morte di Stalin nel marzo del 1953. Le vittime del processo Slansky, tuttavia, non furono così fortunate. Essi erano stati condannati nel novembre del 1952. Undici imputati furono impiccati, mentre altri ebbero l’ergastolo. Come Kostyrchenko osserva, “nessuna risposta chiara, tuttavia, è stata finora fornita dai ricercatori alla domanda chiave: qual è stato il fattore predominante dell’antisemitismo di Stalin…”[16]. Lo stesso si può affermare per l’ondata di antisemitismo che spazzò la Cecoslovacchia durante e dopo il processo Slansky. Stalin potrebbe aver istigato la campagna antisemita, ma trovò sostegno sia all’interno sia all’esterno dei confini dell’Unione Sovietica.  

Nel novembre del 1952, l‘American Jewish Committee dichiarò, in un opuscolo dal titolo “La natura antisemita del processo cecoslovacco”, che il processo contro Rudolph Slansky, che aveva avuto luogo a Praga dal 20 al 27 novembre e si era concluso con l’impiccagione di undici imputati il 3 dicembre, aveva delle gravi implicazioni per la sicurezza degli ebrei in tutto il mondo. In una dichiarazione preparata dal Consiglio della Comunità ebraica di Washington DC, pubblicato dal “Washington Post” il 21 dicembre del 1952, il sentimento precedente assumeva un carattere ancora più grave, “mentre riflettiamo sul significato e sullo sfondo delle purghe comuniste a Praga, proviamo un senso di allarme per l’uso sfacciato dell’antisemitismo in connessione con i processi. C’è profonda ansia per ciò che questo uso deliberato della propaganda possa presagire! per il destino dei 2,5 milioni di ebrei in Europa Orientale, che sono riusciti a sopravvivere all’Olocausto di Hitler e sono ora sigillati dietro la cortina di ferro”.

Le purghe politiche di Praga, fin dal loro inizio, ispirarono paura e indignazione all’interno delle comunità ebraiche di tutto il mondo. Meno di dieci anni dopo la Shoah e con la nascita di uno Stato ebraico, gli atti di antisemitismo di Stato assunsero un nuovo significato per l’ebraismo post bellico che stava affrontando ancora le ramificazioni del genocidio nazista. Le paure per i pogrom prima della guerra erano state soppiantate da ansie molto reali e palpabili, oltre la prospettiva di un tentativo di sterminio di massa. L’American Jewish Committee affermava che “il processo di Praga aveva dichiarato gli ebrei un gruppo criminale, c’è il pericolo che seguano deportazioni di massa e uno sterminio. Il processo di Praga può essere il preludio ad un pogrom di proporzioni da genocidio”[17]. In un rapporto da Israele sull’antisemitismo in aumento nell’Unione Sovietica e negli Stati satelliti, l’autore scriveva che “l’esplosione delle purghe russe tra gli ebrei è visto da Israele come il soffio proveniente dalle tombe…il comunismo russo è passato alla persecuzione razziale, liberandosi in tal modo del mantello dei più alti valori di uguaglianza… gli israeliani sono consapevoli della recente perdita di 6 milioni di ebrei. Essi quindi non vogliono perderne più…gli ebrei sono perseguitati in quanto ebrei, l’ebraismo, in quanto ebraismo, è eliminato”[18].

In un discorso davanti alla Knesset, nel febbraio del 1953, il premier israeliano David Ben Gurion affermò “il grido di milioni macellati e bruciati dai boia nazisti ancora risuona nelle nostre orecchie; ed ancora in quei Paesi l’antico odio contro il popolo disseminato e disperso brucia ancora. Non ho una conoscenza precisa e completa delle motivazioni e delle finalità della campagna antiebraica che ha avuto inizio a Praga e che continua, con tutte le potenti risorse di un regime totalitario, in molti altri Paesi, ma come ebreo con una lunga e amara esperienza, non posso immaginare le terribili conseguenze di una campagna antiebraica per milioni della nostra gente- i resti dell’ebraismo europeo, e forse non solo per loro”[19].   

Il raggiungimento di uno Stato-Nazione ebraico insieme con il tentativo di Hitler di sterminare tutti gli ebrei facevano assumere ad ogni periodo di persecuzione un carattere globale. Le precedenti affermazioni suggeriscono che molti ebrei considerassero i confini nazionali come barriere inutili contro i disegni antisemiti. È difficile affermare che queste dichiarazioni riflettessero un cambiamento della mentalità ebraica di auto- identificazione. Tuttavia, appare chiaramente che le esperienze della Shoah e della Seconda Guerra mondiale avevano portato molti ebrei a considerare gli atti di persecuzione come potenziali preludi di un annientamento totale.

Come Kostyrchenko ha scritto, “l’atteggiamento del regime stalinista verso i cosiddetti nazionalisti ebrei borghesi e i cosmopoliti senza stato rifletteva la sua fenomenale ipocrisia e perfidia”[20]. Il processo Slansky aveva bollato i suoi imputati ebrei come individui incapaci di assorbire veramente i valori socialisti e di partecipare alla costruzione di una società socialista a causa della loro educazione ebraico-borghese. Allo stesso tempo, questi imputati erano stati accusati di accogliere grandi disegni internazionali e di essere maestri e schiavi dell’Occidente. Come l’AJC ha affermato, “il cosmopolitismo e il nazionalismo borghese ebraico sono in realtà solo due facce della stessa medaglia, un’unica cattiva medaglia”[21]. La campagna antisemita di Stalin ha trovato conseguentemente i suoi cittadini di origine ebraica colpevoli di essere, da un lato troppo ebrei e, dall’altro, individui non legati ad un particolare popolo o Nazione, in altre parole, cosmopoliti. Il processo presentò gli undici imputati ebrei come del tutto estranei al popolo cecoslovacco. Le loro origini ebraiche gli avevano impedito di integrarsi veramente nella società ceca, e per di più, gli avevano resi incapaci di comprendere la situazione dei lavoratori. Tali accuse erano ulteriormente completate dagli storici conflitti tra cechi e tedeschi, e dalla stretta associazione degli ebrei con quest’ultimi. La testimonianza di Bedrich Geminder, ex direttore degli Affari Internazionali nell’apparato statale, ci offre l’esempio più lampante dei tentativi sovietici di presentare gli ebrei come un gruppo non-nazionale e corrotto.

Il giudice: Qual è la sua nazionalità?

Geminder: Ceca.

Il giudice: Parla bene il ceco?

Geminder: Sì.

Il giudice: Vuole un interprete?

Geminder: No.

Il giudice: Può comprendere le domande e rispondere in ceco?

Geminder: Sì.

Il giudice: È pienamente consapevole del crimine di cui è accusato nell’atto d’accusa del pubblico ministero?

Geminder: Sì, sono colpevole di ogni accusa.

Il procuratore: Qual è stato il suo atteggiamento nei confronti dei lavoratori della Cecoslovacchia?

Geminder: Ero indifferente agli interessi del popolo ceco, non ho mai sentito alcuna affinità con loro. I loro interessi nazionali sono sempre rimasti alieni per me.

Il procuratore: Che scuola ha frequentato?

Geminder: Sono andato alla scuola tedesca di Ostrava. Ho lasciato la Cecoslovacchia nel 1919 e ho concluso i miei studi secondari a Berlino, dove ho preso il diploma. Alla fine dei miei studi ho frequentato piccoli borghesi, circoli cosmopoliti e sionisti, dove ho incontrato delle persone di nazionalità tedesca. Tutto questo ha contribuito al fatto che io non conosca bene la lingua ceca.

Il procuratore: In tutto questo tempo non ha veramente imparato bene il ceco, nemmeno nel 1946 quando è rientrato in Cecoslovacchia ed ha occupato dei posti importanti nel Partito Comunista?

Geminder: No, non ho imparato a parlare correttamente ceco.

Il procuratore: Quale lingua parla perfettamente?

Geminder: Il tedesco.

Il procuratore: Può realmente parlare correttamente il tedesco?

Geminder: Non lo parlo da molto tempo, ma lo conosco molto bene.

Il procuratore: Può parlare il tedesco come il ceco?

Geminder: Sì.

Il procuratore: Così lei non può parlare correttamente nessuna lingua. Lei è un tipico cosmopolita. Come tale si è nascosto nel Partito Comunista.

Geminder: Ho aderito al Partito Comunista nel 1921 e ne sono rimasto un membro fino a quando sono stato smascherato nel 1951[22].

 

La figura di Geminder, in quanto né tedesco, né ceco, né comunista, rappresentava per i sovietici la possibilità di capitalizzare l’intenso nazionalismo dei suoi Paesi satelliti nel periodo post bellico, unito alla sua violenta caratteristica anti-tedesca, proponendo, allo stesso tempo, un’ideologia comunista accettabile a livello nazionale.

Tuttavia, ciò che disturbava e scioccava gli ebrei, più che le accuse di “nazionalismo borghese” e “cosmopolitismo”, era l’insistenza implacabile sul fatto che gli imputati avessero organizzato e partecipato ad una cospirazione ebraica mondiale per rovesciare i regimi sovietici. Come un pamphlet sull’antisemitismo del processo notava, “la caratteristica del processo di Praga che ha disturbato profondamente gli ebrei in Gran Bretagna e in altri Paesi non era che la grande maggioranza degli accusati era ebrea. Nelle purghe precedenti gli ebrei figuravano copiosamente senza produrre, infatti, alcuna ripercussione nei circoli ebraici. Nel presente caso, tuttavia, la differenza era che l’ebreo era ritratto come sinistro…un ebreo era accusato di appoggiare altri ebrei in ruoli chiave…così l’impressione è stata che un uomo di educazione o di origine ebraica era, infatti, estraneo al vero spirito della Cecoslovacchia, e che c’era un complotto mondiale ebraico, in cui comunisti come Slansky, e altri comunisti ebrei, hanno lavorato insieme con dei capitalisti ebrei per lo stesso scopo”[23].

Un altro rapporto concernente l’opinione pubblica sul processo affermava che “il processo di Praga è unico, non perché la maggior parte degli imputati sia ebrea; non a causa delle cose assurde e abominevoli fatte confessare; non perché il sionismo e Israele siano stati gli obiettivi principali della polizia, ma perché, per la prima volta nella storia contemporanea del socialismo- e dei suoi eredi- la tradizionale formula di una congiura ebraica a livello mondiale, organizzata da ebrei in quanto tali, a prescindere dalle loro apparenti diversità, è stata apertamente resuscitata e consapevolmente da un responsabile comunista”[24].

Molti leader e organizzazioni ebraiche videro nel processo Slansky la rinascita dei famigerati Protocolli dei Savi Anziani di Sion, un tema ampiamente diffuso nei primi decenni del XX secolo e utilizzato estesamente dal regime nazista. L’Anti-Defamation League pubblicò un pamphlet interamente dedicato all’uso palese dei Protocolli. In esso, l’ADL affermava che mezzo secolo prima, i russi avevano inventato una delle più grandi e crudeli menzogne nella storia dell’umanità. Una menzogna politica, diabolicamente ideata e ferocemente diffusa al punto che era diventata una menzogna in tutto il mondo. Quella bugia era rappresentata dai Protocolli dei Savi Anziani di Sion, una contraffazione fantastica che da allora era divenuta il libro sacro dell’antisemitismo, tanto che anche Hitler l’aveva presa in prestito come arma di propaganda per il fascismo. Adesso, in una nuova generazione, i suoi creatori russi facevano rivivere la menzogna, questa volta come propaganda per il comunismo.

Un commentatore del “The New York Times” scrisse in un articolo del 24 novembre del 1952[25] di assistere “a Praga alla versione rossa dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion, in una forma che ricorda Goebbels e Himmler”. Nella sua risposta ufficiale alla richiesta di richiamare l’ambasciatore israeliano dalla Cecoslovacchia e dalla Polonia, il Governo israeliano affermava, “l’accusa, le cosiddette ammissioni e prove, nonché la sintesi del procuratore possono essere letti come una nuova edizione dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion, fabbricati al loro tempo dalla polizia segreta della Russia zarista”[26].

Che undici dei quattordici imputati del processo di Praga fossero ebrei non fu ciò che allarmò maggiormente i correligionari al di là della cortina di ferro. L’Unione Sovietica aveva dimostrato delle tendenze antisemite ben prima delle purghe cecoslovacche con l’attacco al Comitato Antifascista ebraico e alla vita intellettuale e culturale ebraica. Tuttavia, gli imputati del processo Slansky avevano abbandonato da lungo tempo la loro identità ebraica; erano comunisti prima di tutto, totalmente e completamente dediti alla costruzione del socialismo all’interno della Cecoslovacchia e poi in tutto il mondo. L’Anti-Defamation League affermava, inoltre, che “a differenza di Hitler, il Cremlino ha gettato la menzogna non su ebrei praticanti, ma su marxisti di origini ebraiche che avevano rinnegato il loro patrimonio per servire come apostoli il comunismo”[27]. L’assurdità delle accuse contro Slansky e gli altri imputati- che loro, i più devoti tra i comunisti, avessero organizzato e realizzato un complotto sionista per rovesciare il Governo cecoslovacco- evidenziava agli occhi di molti ebrei che il loro vero crimine non era stato il cosmopolitismo o il nazionalismo borghese, ma soltanto l’origine ebraica.

Coloro che si sentivano oltraggiati dalle purghe provavano poca compassione per Slansky e i suoi coimputati. La loro preoccupazione non derivava dal tragico destino delle quattordici vittime del processo, ma dal messaggio inquietante fornito dal carattere antisemita del procedimento giudiziario per quegli ebrei intrappolati dietro la cortina di ferro. La Comunità ebraica di Washington DC affermava che “per quanto riguarda coloro che sono stati condannati e giustiziati nei recenti processi comunisti, gli ebrei del mondo libero non sentono alcun desiderio di piangere per loro. Loro non erano ebrei, dopotutto. In effetti, erano traditori del giudaismo. Solo attraverso un ripudio di ogni principio del giudaismo sono stati al servizio del totalitarismo comunista e, con un percorso fin troppo familiare, attraverso posizioni di potere fino all’impalcatura del boia”[28].

Un altro commentatore ebreo del processo scriveva che “gli imputati ebrei erano ben conosciuti e da lungo tempo servitori del movimento comunista e avevano, come dirigenti dell’apparato comunista, aiutato nella soppressione del movimento sionista in Cecoslovacchia. Erano notoriamente conosciuti per essere responsabili dell’interruzione dell’emigrazione ebraica dalla Cecoslovacchia, tra le altre cose, e non avevano mai fatto nulla per distinguersi minimamente dai cani asserviti al comando del Cremlino”[29].

Sorse una profonda animosità tra quelli ebrei che erano rimasti fedeli alla causa comunista e chi vedeva nell’Unione Sovietica e nei suoi Stati satelliti dell’Europa Orientale i successori di Hitler.

Il processo Slansky e in seguito il “complotto dei medici ebrei” in Unione Sovietica causarono significative, se non irreparabili, fratture nelle relazioni tra ebrei, Israele e tutto il mondo comunista. La Cecoslovacchia, nel periodo immediatamente successivo alla guerra, era stato un acceso e determinante sostenitore della creazione dello Stato d’Israele. Si era schierata per la fine del mandato inglese sulla Palestina ed era stato uno dei primi Paesi a riconoscere lo Stato ebraico. Il supporto cecoslovacco per la creazione di una patria ebraica in Palestina era stato molto di più che un atto politico, infatti, aveva fornito alle forze dell’Haganah gran parte del loro arsenale nell’immediato dopoguerra, quando il resto d’Europa aveva negato decisamente aiuti militari alla causa sionista. Il Governo cecoslovacco intraprese significative misure per il trasporto delle armi in Palestina dopo che la Polonia aveva negato il passaggio alle sue frontiere. Alla luce di queste azioni e dello storico atteggiamento amichevole verso gli ebrei, il processo Slansky rappresentò un duro colpo per gli ebrei che si sentivano sinceramente grati al popolo cecoslovacco. Moshe Sharett, Ministro degli Esteri israeliano e futuro Primo Ministro, nel rispondere riguardo al processo, affermò che Israele aveva sempre avuto una sincera simpatia per il popolo cecoslovacco. Inoltre, Israele aveva cercato di stabilire e favorire relazioni amichevoli con l’attuale Stato cecoslovacco. Lo Stato ebraico aveva ottenuto un valido aiuto durante la sua guerra di liberazione, per il quale aiuto aveva pagato interamente.

In una delle risposte ufficiali sul processo di Praga, si poteva leggere che “era in stridente contrasto con le relazioni cordiali che, fino ad anni recenti, sono prevalse tra Cecoslovacchia e Israele. La gente di Israele, in comune con gli ebrei di tutto il mondo, è sempre stata animata da sentimenti di amicizia per la Nazione cecoslovacca, di profonda simpatia per le sue lotte di libertà e di gioia per la sua liberazione. Allo stesso tempo, i leader della moderna Cecoslovacchia- dal Presidente liberatore Tomas Masayk in poi- hanno sostenuto il sionismo come uno dei movimenti più progressisti e creativi della nostra era e hanno dato pieno sostegno al suo obiettivo di ottenere per il martire popolo ebraico libertà e sicurezza nel proprio Paese. Coloro che sono al timone della Cecoslovacchia al presente hanno espresso profonda comprensione per la tragedia inflitta agli ebrei d’Europa dalla barbarie nazista e hanno salutato la nascita dello Stato d’Israele come un grande atto di restituzione e liberazione. Durante la sua guerra di indipendenza Israele ha ricevuto un prezioso aiuto dalla Cecoslovacchia…tale essendo stato solo recentemente l’atteggiamento della Cecoslovacchia verso Israele, è profondamente deplorevole che negli ultimi due anni, le note delle …autorità cecoslovacche siano completamente differenti e esprimano giudizi sempre meno amichevoli. Il popolo d’Israele è profondamente scioccato dal brutale affronto rivolto al suo sentimento nazionale e dall’ostilità violenta con cui i suoi sentimenti di amicizia verso il popolo cecoslovacco sono stati contraccambiati”[30]. Il processo Slansky, insomma, mandò in frantumi il mito del particolarismo cecoslovacco agli occhi di molti ebrei. Invece di essere il simbolo della democrazia e della tolleranza, il popolo cecoslovacco appariva di fronte al mondo come uno dei peggiori criminali antisemiti. Sharett, inoltre, argomentava che “la nostra gente è dotata di una memoria lunga. Non dimenticherà mai nessun atto di aiuto o gentilezza offerto ad esso nel momento del bisogno. Non potrà mai richiamare alla mente tutti gli aiuti ricevuti per la sua salvezza e la difesa della sua libertà. Eppure il processo di Praga ha gettato un’ombra, una brutta macchia sul ricordo della gloriosa amicizia tra i popoli d’Israele e della Cecoslovacchia. Esso ha imposto un pesante, greve peso sulla memoria del popolo ebraico”.

Come Ezra Mendelson ha scritto, “la sinistra, comunque si definisca, ha avuto un profondo impatto sulla moderna comunità ebraica”. Dal tempo della rivoluzione bolscevica, il comunismo è stato strettamente associato con l’ebraismo, e per molti, sono divenuti idee inseparabili. Jonathan Frankel afferma che il comunismo aveva promesso una via di fuga dalla realtà della vita all’interno di una minoranza, etnica e religiosa, e dai confini socio-economici verso un nuovo mondo in cui queste frontiere sarebbero state tutte eliminate. La sinistra incorporava una vasta gamma di opinioni e ideologie, forse ancora di più di quelle che abbracciavano gli ebrei. I membri del Bund rigettavano il marxismo stile sovietico, così come il sionismo, cercando di creare un territorio socialista ebraico all’interno dell’Europa. Con il termine tedesco Bund, che significa associazione, si è soliti indicare in forma abbreviata il movimento socialista ebraico Algemeiner Jidisher Arbeterbund in Lite, Poilen un Russland (espressione jiddisch che significa Federazione generale dei lavoratori ebrei in Lituania, Polonia e Russia). Il Bund fu fondato a Vilna nel 1897 soprattutto come sindacato operaio, ma in seguito svolse una funzione di vero e proprio movimento politico. Tenace avversario del sionismo, si batteva per la salvaguardia della lingua jiddisch e per i diritti degli operai ebrei nell’Europa orientale. Mentre in Russia, nel 1921, confluì nel partito bolscevico, in Polonia continuò a esercitare un importante e autonomo ruolo fino all’invasione nazista.

Gruppi come Poale Zion avevano aderito alla linea sovietica, mantenendo delle aspirazioni sioniste molto forti, e tuttavia ancora più ebrei speravano di riunire tutte le loro identità e assimilarsi pienamente nella popolazione lavoratrice dell’Unione Sovietica. Gli ebrei di sinistra non potevano ignorare l’unico Stato socialista della storia umana. Anche per quegli ebrei che avevano respinto il regime stalinista, pochi potevano negare che Stalin e il suo vasto esercito avevano liberato ciò che rimaneva degli ebrei d’Europa. Nonostante il suo carattere autoritario, tuttavia, pochi avrebbe potuto immaginare che anche l’Unione Sovietica avrebbe sferrato dei colpi crudeli contro i suoi cittadini ebrei.

Le purghe di Praga avevano provocato un effetto domino in tutta la sinistra ebraica. Gli ebrei e le organizzazioni non affiliate alla sinistra, allarmate dal processo Slansky, non avevano esitato a condannare il palese antisemitismo del mondo sovietico. Gli ebrei che avevano legato il loro destino alla causa socialista e, in particolare all’Unione Sovietica, subirono un grave colpo dal procedimento giudiziario. Come James Waterman Wise, figlio del ben noto leader ebreo Stephen S. Wise, che affermò che “queste righe sono difficili da scrivere. Esse costituiscono non solo un’ammissione personale, una convinzione seriamente posseduta, ma che anche la base di quella convinzione, era assolutamente falsa. Mi riferisco, ovviamente, alla condizione degli ebrei in Unione Sovietica, e all’adozione da parte della Russia dell’antisemitismo come strumento politico…Un po’ tardi per dire tutto questo? Non avrei dovuto vedere e capire molto, molto tempo fa, che una Nazione che tratta gli esseri umani come mezzi per fini sociali, non avrebbe poi trovato utile e dialetticamente necessario sacrificare la classica vittima degli oppressori- l’ebreo? La risposta è un umile e penitente Sì. Ma non deve essere un silenzioso Sì. Perché l’errore della mente e del cuore che si confessa non era un errore del silenzio”[31]. Come un osservatore israeliano ha sottolineato, “c’è un ulteriore aspetto, un nuovo aspetto dell’antisemitismo in Russia; si frantuma la convinzione di molti rossi, rossi viola, rosa e vicino al rosa e rosa bianco in Israele, che, fino a poco tempo fa, ancora concedevano al comunismo russo un posto tra i più alti ideali della storia. Per una volta, il materialismo dialettico non è riuscito a dare una risposta”[32]. Più che recidere la tradizione di una percepita relazione amichevole tra il popolo cecoslovacco e gli ebrei, il processo Slansky costrinse molti ebrei a ripensare, e, infine, abbandonare la loro fede nell’Unione Sovietica e nella causa socialista.        

Oltre alla crisi di coscienza innescata dal processo di Praga, si susseguirono sconvolgimenti e riallineamenti. Il comunismo fu ampiamente condannato in tutti i circoli ebraici e, in particolare, all’interno di Israele. Il processo Slansky si configurò come un doppio assalto verso quegli israeliani che in precedenza avevano sostenuto la linea sovietica. Il processo a carico di Slansky non accusava gli imputati solamente di essere agenti del nazionalismo borghese, ma cospiratori sionisti che cercavano di rovesciare il comunismo. Le purghe a Praga suggerirono a molti che il sionismo e il comunismo fossero intrinsecamente incompatibili.

Gli effetti del processo Slansky si dimostrarono particolarmente negativi per il Partito Mapam in Israele, la cui identità ruotava attorno ad una sintesi di comunismo e sionismo. Il Mapam, forse più di qualsiasi altro Partito, fu gettato in uno stato di agitazione, con la sua visione ideologica mandata in frantumi da un regime che aveva avuto una funzione di orientamento. Come osserva Pinahs Ginossar nel suo studio su Moshe Sneh, uno dei leader del Mapam, per un certo periodo molti avevano creduto, ebrei e non ebrei allo stesso modo, che l’Unione Sovietica avrebbe consentito un certo grado di autonomia nazionale nei Paesi satelliti. Questo instillò in molti ebrei con entrambe le aspirazioni, quella comunista e quella sionista, la speranza che queste ideologie avrebbero potuto trovare espressione nel nuovo Stato di Israele. Come lo stesso Sneh scrisse nel 1951, si trattava “di una affermazione completamente falsa che il mondo comunista rifiuti assolutamente il processo di concentrazione territoriale del disperso popolo ebraico e la sua trasformazione in una nazione normale nello stato d’Israele. È vero, non vi è alcuna accettazione assoluta, sia nel pensiero sia nella pratica, che la soluzione sionista sia la risposta al problema nazionale ebraico, ma non c’è neanche il rifiuto assoluto di questa soluzione, sia in qualche dichiarazione ideologica sia in ambito pratico”[33]. Come Ginossar ha osservato, il Mapam si divise in due fazioni in seguito al processo Slansky. Sneh scelse di unirsi alla fazione di coloro che non erano disposti ad abbandonare la loro fedeltà a Mosca. Sempre più emarginati dalla vita politica, Sneh e altri leader del Mapam, che continuarono a negare l’esistenza dell’antisemitismo sovietico, in seguito aderirono al Partito Comunista d’Israele, il Maki. È stato, come scrive Anita Shapira, “quasi come se gli atteggiamenti sull’Unione Sovietica agissero su due livelli distinti contemporaneamente, quello della conoscenza empirica e quello della coscienza politica”.

Mentre l’Unione Sovietica, dalla fine degli anni Quaranta, si era progressivamente dimostrata sempre più ostile verso lo stato d’Israele, il processo Slansky e la breve durata del “complotto dei medici” aveva inferto un colpo fatale all’ideale della sinistra come rifugio di tutti gli ebrei del mondo. Istvan Deak ha sostenuto che la fallita rivoluzione ungherese del 1956 chiuse per sempre la simbiosi tra ebrei e Partito Comunista, non solo in Ungheria, ma ovunque. Tuttavia, il processo Slansky, quattro anni prima, aveva inferto un colpo ancora più fatale alla fede che molti ebrei riponevano nell’Unione Sovietica, e mentre alcuni ebrei erano rimasti fedeli al regime comunista, la loro posizione era divenuta sempre più marginale e insostenibile. In un rapporto da Israele, diffuso dall’AJC, il redattore asseriva che “l’Unione Sovietica spinge gli ebrei verso l’Occidente, rendendosi nemica. Questa affermazione non ha alcuna implicazione ideologica. Non significa che gli ebrei saranno sempre filo-russi, piuttosto che filo- occidentali. Ma, fino a poco tempo fa, Israele aveva scelta, almeno in teoria, tra Oriente e Occidente. Israele è stata gettata dalla Russia nel campo occidentale”.

Mentre alcuni ebrei, come Sneh, avevano tentato ancora una conciliazione tra le loro ambizioni comuniste e sioniste, il processo di Praga aveva costretto la maggior parte degli ebrei a scegliere tra le due, come notava Louis Harap “la maggior parte dei compagni di viaggio israeliani sono prima ebrei e poi socialisti”.

Il processo Slansky, pur avendo costretto molti ebrei a rivedere la loro posizione verso la sinistra e l’Unione Sovietica, non aveva scosso la fede di quegli ebrei che ancora seguivano l’ideologia sovietica. Per quegli ebrei che avevano in precedenza rifiutato il sionismo come soluzione accettabile della “questione ebraica”, il processo di Praga rafforzò ulteriormente il loro impegno verso il comunismo e specialmente verso la sua versione sovietica. Le pubblicazioni comuniste, incluse quelle che si occupavano di tematiche rilevanti per il popolo ebraico, accolsero il processo Slansky come un esempio di giustizia sovietica e condannarono le critiche occidentali. Nel mensile ebraico-socialista “Jewish Life”, più tardi rinominato “Jewish Currence”, il direttore Louis Harap scrisse un lungo articolo che presentava, come lui asseriva, “la verità sul processo di Praga”[34]. Harap dichiarò senza riserve che “il fatto ampiamente pubblicizzato che gli ebrei vengano utilizzati come capro espiatorio è falso, per una ragione, perché la presunta necessità di fare ciò non esiste”. Harap continuava affermando che “ciò che vogliamo sottolineare è che l’obiettivo non erano gli ebrei ma gli aderenti ad una ideologia, che è sostenuta da un certo numero di ebrei”. Il direttore continuava scrivendo che “in Unione Sovietica e nelle democrazie popolari, l’antisemitismo è un crimine contro lo Stato, esplicitamente scritto nella Costituzione, insieme con il divieto di tutte le forme di razzismo e di discriminazione. Per di più, questo divieto dell’antisemitismo e del razzismo viene applicato”. Come prova, Harap esortava i suoi lettori a considerare il fatto che “gli ebrei occupano nei Paesi socialisti alcune delle posizioni più alte e importanti”, domandandosi retoricamente “quale Governo antisemita avrebbe mai messo degli ebrei nelle più alte cariche? Che senso ci può essere nell’accusa a questi Paesi di essere ufficialmente antisemiti? Che stanno seguendo le orme di Hitler nei riguardi del popolo ebraico?”.

Harap, e altri come lui, credevano veramente in un’Unione Sovietica incapace di essere folle. Il comunismo per individui come Harap era una verità giusta, e se lo Stato cecoslovacco aveva trovato colpevoli quattordici suoi cittadini, la maggioranza dei quali era ebrea, allora così doveva essere. Harap prese per oro colato le testimonianze degli imputati del processo, asserendo che “era difficile credere che quattordici uomini, che possedevano una notevole capacità ed erano noti personaggi pubblici, avrebbero potuto confessare qualcosa per cui sapevano che la pena sarebbe stata la morte…l’unica conclusione sensata a cui si può arrivare è che questi uomini hanno confessato perché si sono confrontati con la prova inconfutabile della loro colpevolezza”. Harap concludeva affermando “che la verità è che la stampa in generale e i leader della classe media ebraica, nel loro zelo isterico per un’ulteriore propaganda contro i Paesi socialisti, hanno promosso una certa confusione che non è certamente innocente. L’odio del socialismo, dell’Unione Sovietica, di tutti coloro che stanno combattendo per i negoziati e le reciproche concessioni tra Stati Uniti e Unione Sovietica per raggiungere la pace hanno portato queste forze a dare l’impressione che l’antisionismo equivalesse a antisemitismo”.

Harap rappresentava quella generazione di intellettuali ebrei per la quale l’Unione Sovietica e le democrazie popolari promettevano un futuro privo di ingiustizie e iniquità. Inoltre, tali individui credevano che le loro convinzioni fossero certe e inconfutabili. La rivoluzione bolscevica, come ha scritto Anita Shapira, “era per loro reale, parte della propria storia personale, e anche se avessero assistito ad atti di crudeltà, ad una distruzione gratuita e insensibile, la loro immagine della rivoluzione sarebbe rimasta, in misura sorprendente, immacolata”. Heda Margolius-Kovaly descrive questa mentalità nelle sue memorie quando scrive che “il comunismo era l’ideale eterno dell’umanità, non potevamo dubitare dell’ideale, solo di noi stessi”. 

È forse in figure come Harap che possiamo discernere più vivamente la tragicità del processo Slansky e dell’esperienza sovietica nel suo complesso. Peggiore della disillusione, tali individui sono rimasti fedelmente attaccati ad un regime in cui gli ebrei affrontavano la discriminazione e l’incombente minaccia di violenza fisica, ed era questa fede che gli accecava di fronte alla realtà. Come i loro mentori sovietici, Harap e altri come lui rivelavano alcune contraddizioni nel loro modo di pensare. La religione e la nazionalità non avrebbero trovato posto nel loro paradiso comunista. Tuttavia, il loro comunismo e il loro ebraismo erano indissolubilmente legati. Dopo tutto, Harap dirigeva un mensile dal titolo “Jewish Life”, rivolto ad un pubblico interessato a tematiche ebraiche e comuniste. Forse, ebrei come Harap vedevano nell’Unione Sovietica un luogo dove l’ebraismo non sarebbe stato eliminato, ma in cui essere ebrei semplicemente non avrebbe più avuto importanza. Come Harap aveva accennato nel suo feroce attacco ai capitalisti occidentali, così il processo Slansky fu immediatamente coinvolto nella politica della guerra fredda.

I politici e le organizzazioni ebraiche videro nelle purghe di Praga un’opportunità per organizzare i loro elettori. Il 25 novembre del 1952, il Comitato sul comunismo dell’AJC convocò una riunione per trattare direttamente del processo Slansky. Il verbale di questa riunione sottolineava la sincera convinzione che il processo Slansky rappresentasse una grave minaccia per gli ebrei dell’Europa Orientale. I partecipanti proposero tre fronti su cui agire: 1) La possibilità, anche minima, che una campagna pubblica intensiva potesse diminuire il probabile pericolo di deportazione degli ebrei cechi; 2) Un’intensa campagna educativa tra gli ebrei sui fatti del processo, insieme con gli episodi passati di antisemitismo sovietico, come mezzo più efficace per rendere consapevoli gli ebrei della realtà del comunismo totalitarista; 3) Un enorme clamore pubblico sul tema sarebbe dovuto servire a dissociare gli ebrei dal comunismo nella mente dell’opinione pubblica.

I membri del Comitato, pur sottolineando la necessità di un’azione, avevano compreso di dover procedere con cautela, per non mettere in pericolo con le loro proteste la già vulnerabile popolazione ebraica dietro la cortina di ferro. Il gruppo era particolarmente interessato a ripudiare il processo senza dare sostegno all’idea di un complotto internazionale ebraico. Era chiaro, tuttavia, che il programma suggerito dalla Commissione non aveva solo lo scopo di attuare un cambiamento per quegli ebrei sotto il regime sovietico; infatti, l’ordine del giorno proposto era rivolto sia ad un pubblico ebraico sia all’opinione pubblica in generale. L’AJC vide nel processo Slansky l’opportunità di rendere noto non solo il trattamento degli ebrei in Unione Sovietica, ma di dissociare gli ebrei dal comunismo, un tema prevalente durante la guerra fredda. Le purghe di Praga consentirono all’AJC di dimostrare che gli ebrei erano vittime del comunismo, non i suoi padroni, non rappresentando, quindi, alcuna minaccia per lo stile di vita americano.

È interessante soffermarsi anche sulle dichiarazione ufficiali israeliane e americane. Golda Meir, in qualità di delegato di Israele alle Nazioni Unite, sostenne la necessità di una condanna formale del processo di Praga e dell’antisemitismo nell’Unione Sovietica. Come primo ambasciatore d’Israele a Mosca, la Meir possedeva una conoscenza diretta delle condizioni degli ebrei in Russia.

Anche voci non ebraiche espressero il loro sdegno per il processo Slansky. Il Presidente Dwight D. Eisenhower rilasciò una dichiarazione che fu letta durante una manifestazione tenutasi a New York per protestare contro l’antisemitismo visto nelle purghe di Praga. Il Presidente scriveva che “il processo a Praga contro Rudolph Slansky e i suoi coimputati è una presa in giro dei valori civili e umanitari…il loro processo e la loro esecuzione, come ogni azione di una dittatura, doveva essere un atto politico. Questo particolare atto politico è stato progettato per scatenare una campagna di rabbioso antisemitismo attraverso la Russia sovietica e le Nazioni satelliti dell’Europa Orientale…Sono onorato di prendere il mio posto accanto all’ebraismo americano, ai sindacati e a tutti gli uomini e le donne di buona volontà”[35].

Allo stesso modo, anche Harry S. Truman condannò il processo Slansky in una dichiarazione che riprendeva i toni di quella del suo successore. “Il processo di Praga segue da vicino il modello stabilito nelle purghe di Mosca degli anni Trenta. Il modello delle purghe è stato replicato in quasi ogni spazio europeo sotto il controllo del Cremlino. Le purghe sono tutte caratterizzate da false accuse, testimonianze forzate e confessioni indotte. A queste, i comunisti di Praga ora aggiungono l’antisemitismo. Il tragico destino di sei milioni di ebrei per mano di altri regimi totalitari non ci consente di assistere all’uso dell’antisemitismo senza protestare. Il popolo ebraico non è solo nella sua preoccupazione per le comunità ebraiche in Cecoslovacchia e in altre aree satelliti sovietiche dell’Europa Orientale. Gli uomini giusti sono ovunque disturbati dalle rivelazioni del processo di Praga. Noi americani condanneremo sempre con forza tali procedure”.

Nel suo primo discorso in qualità di Presidente della American Federation of Labour, George Meany lanciò un duro attacco allo Stato cecoslovacco e all’Unione Sovietica per il suo uso dell’antisemitismo nel processo di Praga. Meany accusò l’Unione Sovietica di perpetrare davanti al mondo, in un modo senza precedenti nella storia umana, il reato di genocidio. Meany aggiungeva che ai crimini di Trotzkismo, titismo e deviazionismo, era stato aggiunto il sionismo. La denuncia di Meany permetteva di condannare l’Unione Sovietica e dissociare ulteriormente il movimento operaio dal comunismo agli occhi dell’opinione pubblica.

Nonostante le proteste dei principali uomini politici, dei leader e delle organizzazioni ebraiche, il processo di Praga rilevò alla maggior parte degli ebrei l’inutilità dei loro dissensi.

Il processo contro Slansky procedette come previsto, incurante delle proteste internazionali. Gli imputati condannati a morte furono impiccati nei primi giorni del dicembre del 1952, mentre i tre condannati all’ergastolo rimasero in carcere fino alla fine degli anni Cinquanta. Gli imputati del processo non ebbero alcuna piena riabilitazione fino al 1963, molto tempo dopo che i crimini di Stalin erano venuti alla luce. “Il complotto dei medici”, elaborato nel gennaio del 1953, si concluse solo perché Stalin non visse abbastanza per portarlo a compimento. Anche se non sono state trovate delle prove documentali che ne attestino l’esistenza, molti ritengono che Stalin stesse progettando una deportazione di massa degli ebrei nei campi di lavoro in costruzione nelle province più orientali dell’URSS. In un mondo consumato dai timori della guerra fredda, le condanne del processo di Praga apparivano, ed erano, soltanto parole.

Nella parte conclusiva di questo contributo è interessante soffermarsi anche sull’atteggiamento di quegli ebrei che furono colpiti direttamente dal processo e dall’antisemitismo all’interno del blocco sovietico. Dato che la censura e la paura delle persecuzioni impedì a molti di ebrei di esprimere liberamente le proprie opinioni, saranno prese in esame le memorie pubblicate dalle mogli degli imputati e da Artur London, uno degli accusati non condannato a morte. Queste persone furono le vittime immediate del processo. Anche se queste testimonianze non illuminano completamente gli atteggiamenti della popolazione ebraica in Cecoslovacchia, ci forniscono importanti informazioni sull’antisemitismo durante il processo.

Trovandosi in ospedale, mentre si riprendeva da una grave malattia contratta in seguito alle cattive condizioni di vita dopo l’arresto del marito, Heda Margolis, moglie di Rudolf Margolius, uno dei condannati a morte nel processo, ha ricordato ciò che accadde dopo aver letto i titoli dei giornali sul processo, “poi ho scorso in basso alla lista degli accusati. C’erano quattordici nomi. Undici di loro sono stati seguiti dalla nota di origine ebraica. Poi sono arrivate le parole sabotaggio, spionaggio, tradimento, come salve all’alba. Con insolita chiarezza ho sentito la donna nel letto accanto al mio sussurrare alla vicina di casa “si deve leggere questo: è Der Stürmer tutto da capo!” e poi la voce del venditore zoppo dei giornali nel corridoio, “bisogna leggere questo per vedere come quei porci ci abbiano venduto agli imperialisti, i bastardi! tutti dovrebbero essere impiccati in pubblico!”   

Nel valutare il processo, Heda ha scritto: “uno dei più tristi fenomeni di quel tempo era il riemergere dell’antisemitismo, che di solito rimane sepolto in profondità, sotto la superficie in Boemia e scoppia solo in risposta ad un segnale dall’alto”. Il contesto intorno a Heda e al marito era reso ancora più tragico dal fatto che entrambi erano sopravvissuti ai campi di sterminio ed erano ritornati in Cecoslovacchia per prendere parte alla costruzione del socialismo.

Artur London, uno dei tre imputati condannati al carcere a vita, ci dà un esempio della mentalità di quei funzionari che avevano il compito di sollecitare l’ammissione di un complotto sionista. Descrivendo uno dei primi interrogatori, London scrive che “quattro uomini erano in piedi di fronte a me, uno dei quali, il maggiore Smola, in abiti civili. Mi ha preso per la gola e ha gridato pieno di odio: Ci libereremo di voi e della vostra sporca razza! Siete tutti uguali! Hitler non aveva ragione su tutto, ma ha distrutto gli ebrei e su questo aveva ragione. Dato che molti di voi sono sfuggiti alla camera a gas, noi finiremo quello che ha iniziato! E battendo il piede a terra ha aggiunto: noi seppelliremo la vostra sporca razza a dieci yard di profondità”.

London, un convinto comunista e reduce dalla guerra civile spagnola, esprimeva una totale incredulità di fronte al palese antisemitismo che accompagnava i suoi interrogatori. Inoltre, scriveva che era la prima volta “nella sua vita da adulto che ero insultato in quanto ebreo e considerato un criminale a causa della mia razza, e da un uomo dell’apparato di sicurezza dello Stato di un Paese socialista, un membro del Partito Comunista. Era possibile che la mentalità delle SS fosse sorta nelle nostre fila? Questa era la mentalità degli uomini che avevano sparato a mio fratello Jean nel 1941, che avevano deportato mia madre, mia sorella Juliette e suo marito, e decine di membri della mia famiglia ad Auschwitz e li avevano inviati nelle camere a gas. Avevo nascosto la mia razza a causa dei nazisti, adesso avrei dovuto fare la stessa cosa nel mio Paese socialista?”

London, come altri imputati, avrebbe rapidamente scoperto che i suoi interrogatori non erano fatti al fine di cercare la verità. Egli era stato informato che “il solo fatto che tu, un ebreo, sia tornato vivo, è una prova sufficiente della tua colpevolezza, e quindi ci dà ragione”. Uomini come London erano atei, la loro identità ruotava intorno al comunismo. La loro soluzione della “questione ebraica” era sempre stata il socialismo, rifiutando, di conseguenza, il sionismo come ideologia capitalista.

Marian Slingova, moglie di Otto Sling condannato a morte, ha confermato questo aspetto scrivendo che “Otto ed io, avevamo parlato spesso del programma sionista, sapevo che aveva sempre considerato il socialismo, e non il sionismo, come la soluzione definitiva ai problemi del popolo ebraico”. Sembra che, come gli ebrei al di fuori del blocco sovietico, gli imputati e le loro famiglie non sapessero dare un senso al carattere antisemita del processo. Speravano, soprattutto, che potesse essere fatto risalire a pochi individui e che il regime, se lo avesse conosciuto, avrebbe punito di conseguenze queste persone. Anche London scriveva che “poco dopo il mio arresto quando mi trovai di fronte ad un antisemitismo virulento di tipo nazista, ho pensato che era limitato a pochi individui. I servizi di sicurezza non potevano arruolare santi per un lavoro così sporco. Ma ora ho capito che, anche se questa mentalità è apparsa solo sporadicamente durante gli interrogatori, è stata, tuttavia, una linea sistematica”. Kaplan descrive, inoltre, come le autorità addestrassero nell’uso dell’antisemitismo durante gli interrogatori, e come le esplosioni di antisemitismo divenissero sempre più diffuse durante le riunioni di Partito.

Le precedenti testimonianze ci forniscono delle indicazioni sul fatto che l’antisemitismo era divenuto un atteggiamento sempre più tollerato, se non incoraggiato, nella società cecoslovacca. Sia che queste tendenze fossero sorte come reazioni popolari dal basso sia che abbiano avuto un incoraggiamento dall’alto, come ha scritto Heda Margolius, è probabile che la popolazione ebraica della Cecoslovacchia abbia sperimentato in modo molto maggiore rispetto al periodo pre-bellico questi sentimenti.

È possibile che il processo Slansky, essendo una delle più gravi crisi che abbia colpito gli ebrei nel periodo post Olocausto, abbia comportato dei cambiamenti nella concezione della propria identità o, per lo meno, abbia rivelato alcuni degli effetti psicologici prodotti dal genocidio nazista. L’identità ebraica nel secondo dopoguerra, naturalmente, ha continuato ad abbracciare un ampio spettro di caratteristiche, religiose, etniche, razziali e culturali. Nonostante la creazione dello Stato d’Israele, infuriava ancora la persecuzione, ciò suggeriva che il compiacimento non era un‘opzione praticabile.

Che alcuni ebrei siano rimasti fedeli al comunismo anche dopo le rivelazioni sul processo Slansky e sul “complotto dei medici” rappresenta un vero e proprio testamento della presa di questa ideologia su molti dei suoi aderenti  

Il processo Slansky ha segnato il trionfo dello stalinismo in Cecoslovacchia, che in precedenza aveva posto le maggiori sfide per la dominazione sovietica, e la sua ultima sottomissione al Cremlino fu, di conseguenza, molto più che completa. La Cecoslovacchia impiegò molto più tempo, rispetto agli altri Paesi satelliti, per condannare i crimini dello stalinismo.

Dall’inizio alla fine, le purghe politiche a Praga durarono soltanto una settimana, ma le loro conseguenze si sarebbero fatte sentire per decenni, soprattutto sulla comunità ebraica cecoslovacca.

 

 

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Note

[1] Czechoslovak Jewish Representative Committee, Czechoslovak Jewry: Past and Future (New York: Spett Printing Company, 1943), p. 9.

[2] Hillel Kieval, Languages of Community: The Jewish Experience in the Czech Lands (Berkeley: University of California Press, 2000), p. 213.

[3] Kieval, Languages of Community, p. 214.

[4] Daniela Franceschi, Un filone di notizie dall’Europa orientale sulle accuse di omicidio rituale seguito sul “Corriere della Sera” con civile attitudine critica verso il pregiudizio antisemita, “Il tempo e l’idea”, agosto 2004, pp. 112-113.

[5] Czechoslovak Jewish Representative Committee, Czechoslovak Jewry: Past and Future, p. 5.

[6] Karel Kaplan, Report on the Murder of the General Secretary, Trans. Karel Kavanda (Columbus, OH: Ohio State University Press, 1990), pp. 133-4.

[7] Anti-Defamation League of B’nai Brith, The Protocols and the Purge Trial (New York, 1952-1953).

[8] Bradley Abrams, The Struggle for the Soul of the Nation: Czech Culture and the Rise of Communism (Lanham, MD: Rowman & Littlefield, 2004), p. 10.

[9] Abrams, The Struggle for the Soul of the Nation, p. 10

[10] Komunistická Strana Československa, Ustřední Vybor Komise pro Vyřizovani Stranických Rehabilitaci, The Czechoslovak Political Trials, 1950-1954: the Suppressed Report of the Dubček Government’s Commission of Inquiry (Stanford, CA: Stanford University Press, 1971), pp. 22-3.

[11] Abrams, The Struggle for the Soul of the Nation, p. 89.

[12] Abrams, The Struggle for the Soul of the Nation, p. 115.

[13] C.L. Sulzberger, Czechoslovakia as Viewed as Anomaly in Soviet Bloc, “The New York Times”, 3 agosto 1949.

[14] Kaplan, Report on the Murder of the General Secretary, p. 48.

[15] Jonathan Brent, Vladimir Pavlovich Naumov, Stalin’s Last Crime: the Plot Against the Jewish Doctors, 1948-1953 (New York: HarperCollins, 2003), p. 54.

[16] G. Kostyrchenko, Out of the Red Shadows: Anti-Semitism in Stalin’s Russia. (Amherst, NY: Prometheus Books, 1995), p. 11.

[17] American Jewish Committee, The Anti-Semitic Nature of the Czechoslovak Trial (New York, 1952), p. 2

[18] American Jewish Committee, Report from Israel (New York), January, 1953, 1.

[19] American Zionist Council, Public Opinion on the Prague Trial.

[20] Kostyrchenko, Out of the Red Shadows, p. 168.

[21] AJC, The Anti-Semitic Nature of the Prague Trial, 20-1.

[22] Artur London, The Confession (New York: Murrow, 1970), pp. 248-9.

[23] The Prague Trial: Its Anti-Jewish Implications (London: Woburn, 1953).

[24] American Zionist Council, Public Opinion on the Prague Trial (New York, 1953).

[25] Max Lerner, The Slansky Trial, “The New York Post, 24 novembre 1952.

[26] American Zionist Council, Public Opinion on the Prague Trial.

[27] B’nai Brith, The Protocols and the Elders of Zion, pp. 3-4.

[28] JCC of Washington D.C., “Memorandum on Anti-Semitism in Czech Purge Trial”.

[29] American Zionist Council, Public Opinion on the Prague Trial.

[30] American Zionist Council, Public Opinion on the Prague Trial.

[31] AJC, Reaction of American Communists to Soviet Anti-Semitism, (Library of Jewish Information, 1952), p. 6.

[32] AJC, Report from Israel, p. 2.

[33] Pinahs Ginossar, “From Zionism to Communism and Back: The Case of Moshe Sneh (1948-1967)” in Dark Times Dire Decisions, pp. 237-238.

[34] Louis Harap, Truth About the Prague Trial, “Jewish Life” (New York), 1953, pp. 3-4.

[35] American Zionist Council, Public Opinion on the Prague Trial, pp. 12-14.

Casella di testo

Citazione:

Daniela Franceschi, Il processo Slansky nella Cecoslovacchia del 1952, "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", VI, 2, luglio 2017

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