Ferrari, Religione e religiosità

Abstract

Franceso Ferrari's essay on Martin Buber analyzes the relationship between religion and religiosity in Buber's pre-dialogical work, that is, the intellectual production from the beginning of the XXth century till the end of the First World War.

 

«Io non possiedo alcuna religione. Ma se col termine religiosità è lecito intendere quella libertà che è una via, non una meta raggiunta; che significa apertura, duttilità, disposizione verso la vita, umiltà; e anche cercare e tentare, dubitare e sbandare; se insomma significa una via [...], può anche darsi che io arrivi a dire che un po’ di siffatta libertà e religiosità mi appartiene». Questa frase, tratta dalle Betrachtungen eines Unpolitischen di Thomas Mann, è posta in esergo a questo studio di Francesco Ferrari, che intende appunto indagare sul discrimine, sul saliente concettuale tra “religione” e “religiosità” nel giovane Buber, e che caratterizza in maniera esatta quella costellazione intellettuale post-nietzschiana di lingua tedesca all'inizio del Novecento, una temperie che va da Thomas Mann a Martin Buber, dal giovane Benjamin a Hermann Hesse (tanto per citare alcuni nomi noti), e che si potrebbe dire riassuma a perfezione la dimensione precipua di quella stagione. “Religiosità” diventa così la sfera concettuale attraverso cui si rifrangono le singole esperienze intellettuali di queste varie figure, la dimensione trascendente della loro esistenza: vera e propria forma formarum di uno psicogramma intellettuale per certi versi irripetibile. La religiosità è cioè qualcosa che prende le mosse da un impianto religioso tradizionale, ma ne sfonda il quadro normativo-esistenziale per accedere a un piano del tutto nuovo; qualcosa che dia conto, insomma, delle pulsioni verso il trascendente all'interno di quell'unità frastagliata che è la vita, e che apre in tal modo l'individuo indifferenziato verso una nuova forma di riconoscimento comunitario. In tal senso dunque la religiosità diventa vera e propria espressione del Tutto, aprendosi così a costellazioni concettuali ancora impensate o ad arrischiate ed affascinanti operazioni ecumenico-spirituali.

Non è un caso, dunque, che anche il giovanissimo Buber sia irresistibilmente attratto da questo movimento centripeto tra vita e forme che è alla base del dispositivo della religiosità, suggestionato – come tanti, appunto – dalla lettura di Nietzsche, ma anche di Georg Simmel (che molto giustamente in questa monografia viene ascritto come una delle prime fonti ispiratrici del pensiero dialogico) o di Dilthey. Francesco Ferrari ci fornisce in tal modo un prezioso affresco per la ricostruzione e la contestualizzazione dei materiali giovanili buberiani, situando il futuro ideatore del pensiero dialogico nel contesto tedesco della Jahrhundertwende dominato dalla religiosità nel senso appena detto.

Molti sono i passaggi di questo volume utili a ricostruire le diverse scansioni biografiche e intellettuali che portano un giovane ebreo viennese costretto dalle circostanze familiari a crescere dal nonno paterno in Galizia (studioso della tradizione talmudica) a riscoprire le sue radici religiose culturali e quindi a costruire una nuova identità: dalla “vocazione teatrale” del giovanissimo Buber, che lo inserisce in quella corrente tipicamente tedesca, nel suo senso più prettamente goethiano, che vedeva nel teatro l'inveramento dell'esistenza intellettuale – una convinzione che lo assimila qui al percorso simile compiuto da Theodor Herzl, che indubbiamente permette di gettare una luce nuova sulla genesi delle idee sioniste; alla diadi Kultur/Zivilisation, altrettanto tipica del tempo – ed il cui alfiere più noto è appunto il Mann delle Betrachtungen; alle esperienze neocomunitarie, anch'esse tipiche del primo Novecento tedesco, volte alla radicale riforma della vita e dell'esistenza a tutti i livelli; alla conoscenza con Gustav Landauer, altro ebreo sui generis, legato a Buber da un'intensa e travagliata amicizia, interrotta drammaticamente dall'assassinio dell'anarchico ebreo tedesco nelle feroci persecuzioni scatenate per reprimere la socialista repubblica dei consigli bavarese e tanto importante per la genesi delle idee dialogiche buberiane (la cui connotazione anarchico-libertaria, peraltro ampiamente riconosciuta dalla ricerca, viene sottolineata in questo studio); alle note prese di posizioni buberiane all'interno del dibattito sionista, circa la necessità di una “geistige Hebung” in merito alle questioni identitarie ebraiche, che lo portano a teorizzare un cultursionismo inteso come una promozione della vita tout court; all'affermazione di un Buber ormai più maturo, oratore appassionato nella Praga degli ani '10, sulla necessità della riscoperta delle proprie radici ebraiche – ovvero all'autore di  innumerevoli saggi dedicati alla “Jüdische Renaissance” ed alla “Jüdische Bewegung”, che indica al pubblico ebraico di lingua tedesca una nuova corrente interpretativa per le proprie pulsioni identitarie, non più scandita dai nuclei tradizionali dell'ortodossia rabbinica, bensì al contrario incardinata intorno a nomi del tutto eccentrici, considerati al tempo eretici, se non impronunciabili (da Giuseppe Flavio a Spinoza, da Sabbatai Zevi alla mistica chassidica, sino al marxismo); alla riscoperta appunto del chassidismo, considerato come una “cabbalà divenuta ethos”; o della mistica interpretata da Buber come luogo universale e transconfessionale di riscoperta della libertà religiosa (un'altra tendenza tipica dell'epoca); alle tormentate scelte belliciste del 1914, che lo trasformano in un “Kriegsbuber” – come venne definito sarcasticamente – e che lo portarono a una crisi col pacifista “senza se e senza ma” Landauer, e dunque a ripensare radicalmente il proprio iniziale entusiasmo bellicista.

Sono tutte issues presenti nella formazione intellettuale buberiana, che Ferrari ricostruisce con acume e con precisione, collocandole all'interno della polarità religione/religiosità, e che permettono così al lettore di ripercorrere quelle fasi biografiche collocandole nello spirito del tempo, ed contemporaneamente di coglierne gli elementi innovatori – sia in un senso più generale, che per quanto riguarda specificamente Buber, rispetto alla sua fase più tarda, e più nota, incentrata sul pensiero dialogico – di cui Ferrari offre una convincente ricostruzione archeologica, circa le premesse che infine portarono Buber ad articolare la filosofia dell'Io/Tu. L'ebreo viennese viene infine, nelle conclusioni, definito da Ferrari “posthumer Mensch”, “Mann ohne Eigenschaften”, “Homo universalis” nel suo senso più pienamente rinascimentale; e se le prime due definizioni possono lasciare perplessi, se si dimentica in esse l'eco nietzschiana e quella musiliana, la seconda pare profondamente attagliarsi a una personalità come quella di Martin Buber – che al “rinascimento” inteso come categoria dello spirito ha dedicato la sua vita e la sua produzione intellettuale.

Casella di testo

Citazione:

Francesco Ferrari, Religione e religiosità (recensione di Gabriele Guerra), "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", IV, 1, marzo 2015

url: http://www.freeebrei.com/anno-iv-numero-1-gennaio-giugno-2015/ferrari-religione-e-religiosit