Martin Buber, Israele e i popoli, a cura di Franchini

Abstract

Stefano Franchini analyzes the relatively unknown discussion between Martin Buber and Jakob Wilhelm Hauer at the eve of Nazism and shows how Buber tried to defend his philosophical and existential vision of Judaism.

 

In occasione dei cinquant’anni dalla scomparsa di Martin Buber (1878-1965), nuovi e significativi contributi dedicati alla sua figura sono apparsi in lingua italiana. Oltre alle monografie “Religione e religiosità” di Francesco Ferrari e a “L’attore di fuoco” di Marcella Scopelliti, volte rispettivamente alla fase predialogica del pensatore ebraico e all’apporto del teatro nel prendere forma del suo filosofare, una serie di testi buberiani, per la prima volta accessibili in edizione italiana, sono stati pubblicati in questi ultimi mesi. Si segnala il volume che, curato da Ferrari medesimo, muovendo dall’omonimo saggio del pensatore viennese, reca il titolo “Umanesimo ebraico” (Il Melangolo, Genova 2015), e contiene testi fondamentali quali “L’uomo di oggi e la Bibbia ebraica” e “Il dialogo autentico e le possibilità della pace”. Sempre Ferrari ha tradotto l’autorevole testo di Gershom Scholem “Martin Buber interprete dell’ebraismo” (Giuntina, Firenze 2015). Daniele Vinci ha quindi curato la pregevole edizione bilingue di “La parola che viene detta”, tradotto in italiano da Nunzio Bombaci (PFTS, Cagliari 2015). Quindi, sono recentemente apparse due preziose testimonianze di dialoghi, talora pubblici (conferenze), talora privati (per lettera) che, nei concitati mesi intorno alla presa del potere da parte di Hitler, l’autore di “Ich und Du” intrattenne con accademici tedeschi quali Gerhard Kittel (teologo protestante, attivo antisemita), Jakob Wilhelm Hauer (fondatore del Bund der Köngener e del Deutsche Glaubensbewegung) e Karl Ludwig Schmidt (teologo socialdemocratico, migrò in Svizzera nel settembre 1933). Gianfranco Bonola, con la sua curatela di “La questione ebraica. I testi integrali di una polemica pubblica” ha reso accessibile al lettore di lingua italiana lo Streit tra Buber e Kittel (Dehoniane, Bologna 2014).

È merito invece di Stefano Franchini quello di aver svolto una finissima curatela del dibattito tra Buber e Hauer, così come di quello tra il pensatore ebraico e K. L. Schmidt, sotto il titolo “Israele e i popoli. I fondamenti di una teologia politica ebraica”. Il volume, edito da Morcelliana, ha una struttura composita. Si apre con un’agile prefazione di Giovanni Filoramo, e guadagna ben presto incisiva profondità grazie a una corposa introduzione del curatore (“Imbarazzi teologico-politici alle soglie della dittatura”). Offre quindi al suo cuore due testi buberiani (“Israele e i popoli” e “Chiesa, stato, popolo, ebraismo”), corredati da precisi apparati filologici e generose appendici. Una terza e ultima sezione, particolarmente gustosa, contiene infine documenti d’archivio sul rapporto tra Hauer e Buber.

“Israel und die Völker” è il titolo della conferenza che Buber tenne il 6 gennaio 1933 a Kassel, in occasione di un convegno organizzato dal collega Hauer sotto il titolo “I fondamenti spirituali e religiosi di un movimento völkisch”. Anzitutto, Franchini ci consegna in edizione italiana il testo della relazione buberiana, riportando la prima stesura del 1933 (finora inedita, anche nell’originale tedesco), quindi i rimaneggiamenti del 1941 (allorché il testo fu pubblicato sulla rivista elvetica Neue Wege diretta da Leonhard Ragaz) e infine le modifiche della versione pubblicata da Buber sotto il titolo Die Götter der Völker und Gott [gli dèi dei popoli e Dio] nel 1963. Il curatore riporta quindi in appendice preziosi materiali, provenienti dall’Archivio Buber di Gerusalemme, quali la trascrizione del turbolento dibattito che seguì la relazione del filosofo ebreo a Kassel nel gennaio 1933, due cronache dell’evento, alcuni estratti dalle memorie di Marianne Weber (vedova di Max Weber) sull’argomento, nonché una selezione di numerosi carteggi (molti dei quali inediti) tra Buber e le altre parti in causa nella vicenda. Con pari solerzia, Franchini volge in italiano Kirche, Staat, Volk, Judentum (Nunzio Bombaci aveva in verità già tradotto in italiano tale scritto in appendice alla sua monografia Ebraismo e cristianesimo a confronto nel pensiero di Martin Buber, Dante & Descartes, Napoli 2001), testo che Buber lesse presso il Lehrhaus ebraico di Stoccarda il 14 gennaio 1933 (otto giorni dopo Israel und die Völker), in presenza del gesuita Erich Przywara e del teologo evangelico socialista Günther Dehn. Anche qui, una ricca appendice epistolare correda il testo del pensatore ebraico. La terza sezione del volume fa quindi emergere come Buber fosse stato oggetto di attività di spionaggio da parte di Hauer, divenuto nel frattempo membro delle SS. Questi, che spiò Buber in occasione del convegno di Eranos del 1934 e stese un resoconto a riguardo (qui riportato), avrebbe poi domandato all’ormai ex-collega una testimonianza scritta per la sua denazificazione nel 1949, che Buber redasse volentieri. La sentenza, che fu favorevole, è anch’essa riportata in appendice al presente volume.

Il ripercorrimento storiografico-filosofico dispiegato da Stefano Franchini è degno d’encomio. Esso getta finalmente luce su un capitolo relativamente oscuro della Buber-Forschung: quello dei rapporti tra il pensatore ebreo (allora professore di filosofia della religione ebraica all’Università di Francoforte) e i suoi colleghi accademici tedeschi, molti dei quali (chi più timido, chi più opportunista, chi scivolandovi quasi inavvedutamente, chi sinceramente persuaso), stavano abbracciando l’ideologia del Terzo Reich. Nondimeno, Franchini ricostruisce la tortuosa vicenda della gestazione dei due testi buberiani qui presentati, dando opportuna rilevanza alle complesse dinamiche che portarono il filosofo ebraico di lingua tedesca più autorevole del suo tempo a confrontarsi – come si suol dire, “nella tana del lupo” – con un uditorio composto in cospicua parte da ideologi nazionalsocialisti quali Paul Krannhals (stretto collaboratore di Alfred Rosenberg), Ernst Krieck, Friedrich Hielscher, Georg Stammler ed Elsbeth Kruckenberg-Konce. Buber non si tirò indietro, e condusse costoro nell’arena del dialogo, a riprova, giova sottolinearlo, che il principio dialogico buberiano è tutto tranne che un buonista compiacersi reciproco. Al contrario, dialogo è anzitutto confronto e, se è il caso, polemos, quando non Streit.

Casella di testo

Citazione:

Martin Buber, Israele e i popoli, a cura di Stefano Franchini, "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", IV, 2, novembre 2015

url: http://www.freeebrei.com/anno-iv-numero-2-luglio-dicembre-2015/martin-buber-israele-e-i-popoli-a-cura-di-franchini