Andrea Giacobazzi, Misuse of the holocaust

"Free Ebrei", III, 1, giugno 2014

“Misuse of the holocaust", "shoah business", leggi bavaglio e vittime sparite

 

di Andrea Giacobazzi

Abstract

Andrea Giacobazzi again discusses the theme of political jurisdiction in historical research.

È ormai un episodio ciclico. Ogni anno bisogna parlare dell’“ultima proposta” di legge bavaglio studiata per reprimere il “negazionismo”.

Il copione è vecchio: seguendo l’onda emotiva di un fatto d’attualità – questa volta il “caso Priebke” – si annuncia che deve vedere la luce una legge volta a stroncare la presunta crescita di razzismo e antisemitismo. Nelle ultime due puntate di questa saga si è tentato di “abbreviare” la procedura evitando il dibattito in Aula con la tattica della “sede deliberante” in commissione, tentativo fallito per l’opposizione del Movimento Cinque Stelle che - pur dichiarandosi sostanzialmente favorevole alla censura storiografica[1] – ha pensato di salvare la faccia con la comprensibile richiesta di portare la discussione davanti all'assemblea del Senato.

Paiono tuttavia intravedersi lumi di ragionevolezza. La Società Italiana perlo Studio della Storia Contemporanea, attraverso il suo presidente Agostino Giovagnoli, ha sottolineato: «Sulla definizione di genocidio e su quali siano stati i genocidi nella storia, tranne qualche caso, non vi è accordo tra storici o tra giuristi. Ancor meno c’è accordo su quali vadano considerati i crimini di guerra e contro l’umanità. Spetterebbe al giudice pronunciarsi su una materia squisitamente storica»[2].  Anche il deputato Andrea Romano, uno dei volti di punta della campagna elettorale di Scelta Civica, ha deciso di non usare mezzi termini: «Io farò le barricate. Sono uno studioso dell'URSS; per noi è pane quotidiano il dibattito se il lager nazista sia confrontabile o meno con il gulag sovietico, per me è inammissibile che tutto ciò possa finire sotto il vaglio di un giudice penale […]»[3].

Del resto lo si è detto molte volte: stabilire per legge i percorsi dell’analisi storica è assurdo, sarebbe inoltre imbarazzante fissare confini troppo precisi. Anni fa Norman Finkelstein, professore universitario e figlio di ex deportati ebrei, dopo aver elencato una serie di plateali deformazioni, scrisse: «Se si considera il profluvio di sciocchezze prodotto quotidianamente dall'industria dell'Olocausto, c'è da stupirsi che gli scettici siano così pochi». Chiarì in seguito: in base a certe logiche  «asserire che Wiesel ha tratto profitto dall'industria dell'Olocausto, o anche soltanto mettere in discussione le sue parole, equivale a negare l'Olocausto»[4].

La ripetizione mantrica, l’esagerazione memorialistica, l’aggiunta delle appena citate “sciocchezze”[5] e la finale nonché inevitabile dogmatizzazione di un evento storico finiscono per fargli perdere ogni inerenza con la ricerca accademica. Diventa materia pseudo-religiosa ed economica al contempo.

La componente economica – che negli USA causò tanta farisaica indignazione quando Finkelstein parlò di “industria” – pare invece discretamente recepita da una parte della società israeliana. È dei giorni scorsi un articolo apparso sul quotidiano Haaretz in cui Netanyahu viene definito come «master of the art of Shoah business». Un «vero discepolo di Menachem Begin che fu il primo a liberare il genio dell’Olocausto dalla lampada». Più avanti l’autore dell’articolo – l’ex ministro Yossi Sarid - arriverà a descrivere ironicamente il premier israeliano «a true one-man Shoah»[6].

Prosegue il testo: «Ma ora non è solo: gli imitatori si sono manifestati. Vedendo che la paura è buona e che spaventare rende, hanno deciso di diventare partner di vendita al pubblico, sfruttando la memoria della Shoah. I cosiddetti nuovi politici ora eletti alla Knesset hanno ingrossato le fila dei mercanti del terrore. Il mezzo milione di israeliani che nelle ultime elezioni parlamentari hanno appoggiato Yesh Atid (“C'è un futuro”) non potevano immaginare che in realtà il passato è il nuovo futuro»[7].

Anche dal lato opposto dello schieramento politico non sono mancate critiche a ciò che sul Jerusalem Post è stato riferito come “abuso dell’olocausto”[8]. «Israele deve smettere di usare l'Olocausto per obbiettivi politici e non dovrebbe più portare i leader stranieri al Mausoleo dello Yad Vashem», così ha detto il Vice Presidente della Knesset Moshe Feiglin (Likud). Nei commenti che ha fatto in una conferenza a Shoham - inizialmente rivelati da Ma'ariv - Feiglin ha detto che «Israele ha usato erroneamente l'Olocausto come strumento per giustificare la sua esistenza e sovranità». «They have made it as if we have to have a Jewish state because of the Holocaust»[9]. Queste dichiarazioni, pur non prive di accenti nazionalistici (“The reason for the state of Israel, for our existence, is not security, but our national goal[10]), sono certamente significative sul piano politico.

Difficile non scorgere, anche Italia, una motivazione più ideologica che storiografica, fomentata da un passatismo non disposto a rinunciare alle tifoserie contrapposte dei nostalgici mussoliniani e degli antifascisti di circostanza, con i secondi impegnati - a orario continuato - in una lotta più orientata ai fantasmi e ai cadaveri (vedansi i penosi calci al carro funebre di Priebke) che ad altro. Similmente al caso israeliano risulta legittimo credere che nel loro complesso gli ebrei italiani non siano caratterizzati da opinioni compatte e livellate sulla bellicosa “linea Pacifici”. Almeno c’è da sperarlo: il caso contrario sarebbe desolante.

Personalmente non mi sono mai cimentato nella macabra conta dei morti, né vorrò farlo in futuro. Nei tempi che verranno - al Ciel piacendo – mi occuperò sempre meno di ebraismo, come già ebbi modo di scrivere oltre un anno fa nella lettera aperta che inviai al direttore di Free Ebrei Vincenzo Pinto. Credo che autoincatenarsi ad un singolo argomento – pur avvincente – porti al rischio di essere monotematici, negli ultimi mesi ho deciso di parlare di altre questioni e di percorrere nuove strade. Probabilmente resterò di questa idea. Vorrei però porre alcune domande finali alla coscienza di chi legge queste poche righe.

Parliamo di presunta “storiografia ufficiale”: Geneviève Zubrzycki, nel suo The Crosses of Auschwitz [pubblicato dalla University of Chicago Press, 2009], descrive una “revisione” non troppo nota. Ovvero la rimozione, avvenuta nel 1990, della placca commemorativa del Birkenau Memorial da parte delle autorità museali e la successiva sostituzione della stessa con una nuova placca: la prima parlava di quattro milioni di morti, la seconda di un milione e mezzo totali[11]. Due milioni e mezzo di vittime in meno. Ovviamente i testi accademici che riportano questo fatto sono molti altri.

Una delle (poche) fonti italiane che ho trovato in merito a questo fatto è il bollettino della Fondazione Memoria della Deportazione che, nel giugno 1990, riferiva con indignazione la notizia in base alla quale:

«[…] le vittime furono al massimo "solo" un milione e mezzo, contro i quattro milioni fino ad ora stimati. La rivelazione di Piper è stata pubblicata dall'organo di Solidarnosc, "Gazeta Wiborcza". Secondo i calcoli dello storico, "furono un milione e trecentomila i deportati ad Auschwitz. Di questi, un milione e 100mila ebrei, 150mila polacchi, 23mila tzigani e 15mila prigionieri di guerra sovietici. Ne sopravvissero solo duecentoventitremila. Si tratta di cifre minime - ha commentato Piper - ma il numero delle vittime non dovrebbe comunque superare il tetto del milione e mezzo complessivo. Numero dunque assai distanti da quelli "ufficiali". La commissione sovietica che nel '45 rivelò al mondo l'orrore del campo a sud di Cracovia calcolò all'incirca quattro milioni di vittime. Ma il direttore di Auschwitz non pare avere dubbi(…)»[12].

Ammesso e non concesso che esista una storiografia “ufficiale” sul passato degli ebrei, facendo una carrellata tra gli studiosi di questo campo, non si può fare a meno di notare qualcosa di stridente. Wellers parla di 1.300.000 vittime, Hilberg di 1.000.000, Reitlinger di 770.000, Pressac (accusato talvolta di “riduzionismo”) di una cifra oscillante tra 613.000 e 711.000 [13]. Forse la nuova targa di Auschwitz era già vecchia quando veniva installata.

Le domande sono semplici. Questi due milioni e mezzo (o più) di morti mancanti – riconosciuti come tali dalle fonti “ufficiali” - sono o non sono da attribuire ad un processo di revisione storica? Perché quindi i “revisionisti” dovrebbero rischiare la galera?

 

Note

 

[1] M5S: sì al reato di negazionismo ma sia la solennità del Parlamento a sancirlo, 16/10/2013: http://www.beppegrillo.it/movimento/parlamento/2013/10/m5s-si-al-reato-di-negazionismo-ma-sia-la-solennita-del-parlamento-a-sancirlo.html 

[2] Francesco Grignetti, Cade il reato di negazionismo: “Prevale la libertà di opinione”, La Stampa, 26/10/2013.

[3] Ibidem.

[4] Norman Finkelstein, L'Industria dell'Olocausto, Rizzoli, 2007, pp. 93-95.

[5]nonsense” nel testo originale.

[6] Yossi Sarid, Raised on the Holocaust, Haaretz, Oct. 25, 2013. 

[7] Ibidem.

[8] Gil Hoffman, Feiglin: Israel misuses Holocaust for politics, JPost.com, 8 april 2013.

[9] Ibidem.

[10] Ibidem.

[11] Geneviève Zubrzycki, The Crosses of Auschwitz, University of Chicago Press, 2009, p. 117:  “This revision was symbolically enacted in the erasure of the commemorative plaques (in several languages) at the Birkenau Memorial, which until 1990 indicated that “four million people suffered and died here at the hands of the Nazi murderers between the years 1940 and 1945”. The plaques were reinscribed three years later to reflect the revised numbers and the predominant identity of the victims: “For ever let this place be a cry of despair and a warning to humanity where the Nazis murdered about one and a half million men, women, and children, mainly Jews from various countries of Europe. […]”; Questo fatto, tra gli altri, è riportato anche da François Furet ed Ernst Nolte [in Fascism and Communism, University of Nebraska Press, 2004, p. 52] e dalla storica delle persecuzioni ebraiche Sybille Steinbacher, professoressa dell’università di Vienna [in Auschwitz: A History, HarperCollins, 2013].

[12] Fondazione Memoria della Deportazione, Auschwitz, "solo" un milione e mezzo di morti, TR Giugno 1990, http://www.deportati.it/cntDefault.prn.aspx?idcontent=1132

[13] Dati tratti da: Giovanni Gozzini, La strada per Auschwitz. Documenti e interpretazioni sullo sterminio nazista, Pearson Italia S.p.a., 2006,  pp. 11-12.

Casella di testo

Citazione:

Andrea Giacobazzi, Misuse of the Holocaust, "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", III, 1, giugno 2014

url: http://www.freeebrei.com/anno-iii-numero-1-gennaio-giugno-2014/andrea-giacobazzi-misuse-of-the-holocaust