David Cesarani, Final Solution

"Free Ebrei", VI, 1, maggio 2017

David Cesarani, Final Solution. The Fate of the Jews, 1933-1949, St. Martin’s Press, New York 2016

di Adele Valeria Messina

Abstract

Adele Valeria Messina reviews David Cesarani's last work on the fate of the European Jews, a masterpiece where the English historian completely changes the traditional school of thoughts.

Mentre la copertina è grigia, ruvida – come cinerea e aspra è la tematica in questione -  le pagine, tante, scorrono facilmente, una dietro l’altra, sino ad arrivare all’ultima: la mille e sedicesima.

È un volume pesante, corposo, La soluzione finale. Il destino degli ebrei, 1933-1949 di David Cesarani. Letteralmente dall’inglese Final Solution. The Fate of the Jews, 1933-1949, questo lavoro enciclopedico, pubblicato nel novembre del 2016, potrebbe tradursi: La guerra contro l’ebraismo dopo il primo conflitto mondiale. Lo storico del Royal Holloway, Università di Londra, infatti, non solo sembra suggerire il titolo parafrasato, ma addirittura non ha remore nello spostare le date convenzionali di inizio e fine sterminio degli ebrei d’Europa, scegliendo come anno iniziale il 1933 e per quello finale il 1949.

David Cesarani è stato uno storico inglese, morto poco prima di ultimare Final Solution, la cui pubblicazione si deve all’assistenza di Richard J. Evans e Andras Bereznay nel completare il testo e le mappe. Lo storico del Royal Holloway più volte e in diversi modi – indicative sono le tre mappe che aprono il volume – spiega quanto e come il ruolo più cruciale nello sterminio degli ebrei l’abbia giocato proprio il primo conflitto mondiale. La distruzione degli ebrei non comincia, a differenza di quanto sostengono e portano a pensare diversi storici e tradizioni di pensiero, nel 1933, ma - e qui sta un suo primo andare contro mentalità storiche consolidate - dopo la fine della Grande Guerra. In realtà, si potrebbero leggere tutte le 1016 pagine secondo questa chiave di lettura, individuando cioè i pareri di Cesarani che contrastano con le teorie tradizionali. Per lo storico inglese, vincitore del Longman-History Today Trustees Award, le radici del genocidio degli ebrei più che nell’antisemitismo affondano nella Grande Guerra. Così a pagina 792:  “The fate of the Jews between 1933 and 1949 was rooted in anti-Semitism but it was shaped by war”.

Quando si legge un libro, specie se di storia, viene sempre da chiedersi cosa ci sia dietro o meglio qual è la novità del testo: detto in altri termini, che cosa c’è di intatto, non toccato, la questione in più che fa la differenza rispetto ai lavori precedenti o simili per contenuto. Il quid novus di Final Solution viene fuori con un paradosso, con un’opinione (δόξα) che va contro (παρά): nel momento in cui Cesarani spiega nell’Introduzione, a pag. xxx, che ciò che portò all’ascesa del partito nazista non fu l’antisemitismo. Certo, il partito nazista era un partito antisemita, però aveva poche idee e non chiare su quello che doveva e avrebbe dovuto fare qualora avesse conquistato il potere. Le misure politiche antiebraiche (Judenpolitik) si rivelarono improvvisate e confuse, non seguirono una logica sistematica e neppure furono premeditate. Qui sta il paradosso: Hitler e i suoi seguaci fedeli erano sì convinti che il nemico da combattere fosse l’ebraismo internazionale, tuttavia questa convinzione forte offuscava il modo in cui procedere, senza individuare una razionalità consequenziale delle azioni; per raggiungere l’obiettivo, combattere e sconfiggere l’ebreo, tutte le politiche si sono sovrapposte, mischiate, confuse: sia quelle di natura economica sia quelle razziali che sociali. Hitler si rivela un guerriero (As a warrior, p. xxx), che fa dello scoppio della Grande Guerra l’occasione che fa detonare l’esplosione delle situazioni-mine vaganti per la Repubblica di Weimar. Allo stesso tempo la prima Guerra civile aveva innescato le spolette dei proiettili contro determinati obbiettivi e ciò serviva a cambiare le sorti del popolo tedesco a seguito del conflitto.

Di certo, possono sembrare strane le frasi che si leggono a pag. xxxiii dell’Introduzione o almeno non sono immediatamente comprensibili, perché se, da un lato, vanno a sfidare la tradizione, dall’altro, non si è abituati ad annoverarle tra le prime cause della distruzione dell’ebraismo europeo. E invece Cesarani non solo sconvolge le visioni affermate dell’Accademia, ma, perfino le capovolge, le raddrizza, aggiungendo molto di più e solo dopo aver ripercorso, attraversato, le precedenti spiegazioni e scuole di pensiero – dal funzionalismo all’intenzionalismo al loro superamento. Che si tratti di libri, articoli, saggi, poco importa: Cesarani ha davanti a sé tutte le tradizioni. Lo storico inglese non offre solo un’opera riassuntiva di tutto, ma prepara, se si può dire, l’ultima sua lezione di storia sull’Olocausto. Anche perché tra le sue fonti ci sono diari e lettere scritti nei ghetti e nei campi - molti in polacco o Yiddish e prima inaccessibili agli studiosi anglofoni. 

Nella seconda di copertina si legge che Final Solution è un libro di storia magistrale che riporta, registra, fa la cronaca esatta del destino degli ebrei. Più congeniale nel rendere l’abilità espositiva di Cesarani che riporta puntualmente i fatti è il predicato verbale inglese “chronicles”. Esso funziona cioè meglio: si avvicina di più al tempo (χρόνος) greco. Facendo un’analisi sincronica e diacronica degli eventi Cesarani entra di più nell’accezione temporale: nello specifico, nel tempo della distruzione. Dunque, uno storico sul campo che ripensa le politiche antiebraiche.

Quello di Cesarani è un riesame (reappraisal, p. xxxiii) - per come lo definisce lui stesso nell’Introduzione - non attento dei lavori di storia sull’olocausto, ma attentissimo.

La persecuzione degli ebrei non è stata sempre, solo, una preoccupazione dei nazisti e neppure era inevitabile: non è raro tra le 1016 pagine ritrovare ricorrentemente termini come “fate” (per esempio, alle pagine 39, 52, 63, eccetera) o “fateful turn” (p. 348). Lo storico spiega come nei Paesi occupati dai nazisti lo sterminio si è dispiegato in modo confuso (erratically, pp. 397, 533), spesso per iniziativa locale, mentre la guerra è stata determinante e decisiva. Proprio la Grande Guerra era riuscita a peggiorare situazioni di non stabilità: tra queste, la possibilità di allontanare gli ebrei, di confinarli cioè in un territorio distante; inoltre creava crisi di risorse che, a loro volta, portavano alla fame e all’inedia nei ghetti, intensificando le misure antiebraiche. Con il suo occhio concentrato sui tempi Cesarani riesce a mettere in discussione il ruolo iconico del sistema ferroviario sotto il Terzo Reich e di conseguenza l’efficienza dei trasporti dei treni durante le deportazioni. È la pagina xxxesima dell’Introduzione a fornire al lettore gli strumenti nodali del discorso: quando dimostra che si è dispiegato per fasi.

 

It unfolded in stages. First the Jews of Germany were subjected to discrimination and exclusion from 1933 to 1938. Persecution intended to encourage emigration intensified into forced migration from Germany and Austria in 1938-9. With the coming of war the German authorities began expelling Jews from the Greater Reich and areas they conquered. Throughout 1939-40 Jews in German-occupied Poland were concentrated in ghettos, forced to live under appalling conditions. The physical annihilation of Jewish communities began with the invasion of Russia in 1941, followed by the deportation of Jews from all over Europe to death camps in Poland from 1941 to 1944.[1]

 

Tre sezioni intere di illustrazioni fanno trapelare la preoccupazione dello storico per la discrepanza (yawning gulf, p. xxv) tra ciò che la gente comune conosce e sa dell’olocausto - attraverso film, novelle, eventi commemorativi - e le ricerche in corso degli studiosi. Proprio contro questi eventi di commemorazione va Cesarani. Si tratta di un’ulteriore mentalità fortunosa che smonta: le commemorazioni vanno a offrire delle verità e concezioni sbagliate, distorte e non veritiere profondamente – perchè virano la comprensione verso limitati schemi ed esperienze per nulla rappresentativi della distruzione degli ebrei. Le rappresentazioni distorte son proprio rafforzate dalla costellazione di organizzazioni che preparano le commemorazioni. Non possedendo gli strumenti idonei, si rischia, volendo far conoscere a forza, di non far capire nulla o di far recepire del poco con grande confusione. Ecco perché Final Solution è un monito a tornare alle fonti, tutte, e a studiarle bene; a fare storia con umiltà, facendo del dubbio storico la fortuna della conoscenza. Dai lavori degli studiosi di storia militare, per esempio, Cesarani apprende che la politica del Terzo Reich nella preparazione della guerra è incostante.

Di certo, può essere più semplice far passare la memoria attraverso i film o le novelle, ma tale via non è utile dal momento che non apporta conoscenza. Le stesse fonti dei testimoni finiscono per non essere rappresentative – e Cesarani ammette la non originalità dell’affermazione – della distruzione degli ebrei.

La sua sensibilità storica tocca pure la questione delicata degli abusi sessuali, un tema-chiave e spesso non affrontato perché in grado di aprire cassetti chiusi dal contenuto imprevedibile. Ma è su questi temi scomodi (awkward) - su ciò che ebrei fecero ad altri ebrei, sulla cooperazione forzata con le autorità tedesche, sugli atti di premeditata vendetta o sull’analisi avviata da Götz Aly dei beni rubati e non restituiti agli ebrei - che gli storici coscienziosamente devono lavorare. Segue poi la questione del viaggio verso i DPcamps. Come già detto, per Cesarani, l’olocausto non finisce quando le pistole smettono di sparare, quando i colpi di pistola diventano silenziosi. Cesarani sposta le date. La distruzione dell’ebraismo non termina neppure coi pogromie successivi al 1945 nei territori dell’ex Unione Sovietica: deve superare persino il 1948, anno in cui nasce lo Stato di Israele. Quel processo di distruzione che annoverava tra le sue prime fasi la spoliazione dei beni degli ebrei e che doveva portare con la fine della guerra alla restituzione di quei beni alle vittime non termina con la fine della guerra: perdura almeno per tutto il 1949.

The British, afraid that the activities of the Zionist movement would benefit from recovered wealth, declined to act at all until 1949[2].

Da qui anche la scelta di Cesarani di fare del 1949 l’anno conclusivo dello sterminio. Il motivo per cui questo libro nasce è proprio quello di andare a colmare la discrepanza (yawning gulf, p. xxv) tra cultura, conoscenza popolare (quella che passa durante le commemorazioni) e le ricerche (p. xxviii) che non hanno mai termine e che sono nuovissime soprattutto a seguito dell’apertura degli archivi, dopo il 1989. Un ostacolo alla diffusione della conoscenza è che spesso i diversi studi sull’olocausto non dialogano fra di loro; secondo Cesarani conviene essere più studiosi e meno accademici.

Tornando, ora, al motivo profondo che tiene assieme Final Solution: più importante perfino dell’antisemitismo di Hitler - e che gli storici spesso omettono - è proprio lo scoppio della prima guerra mondiale. In quel contesto i seguaci di Hitler hanno rifiutato un processo di transizione democratico e un processo di provvedimenti consensuale a favore di una leadership carismatica, di una tenacia individuale.

Non si può comprendere la distruzione dell’ebraismo in Europa entro categorie temporali precise, ma, di certo, uno storico deve fornire delle date. E Cesarani in questo è magister, ha quel più (magis) che gli permette appunto di insegnare. Dopo un prologo di 32 pagine, Cesarani fa del 1933 il primo anno (the first year, p.33) della soluzione fatale degli ebrei. Dietro il qualificativo fatale non c’è l’accezione italiana di “voluta da qualche forza inspiegabile o meno”, piuttosto quel “fatale” deve leggersi come “inevitabile” per una serie di situazioni ed eventi che si sono mischiati, sovrapposti, confusi tra di loro, determinando, alla fine, la fine dell’ebraismo. Proteste, boicottaggi e propaganda sono solo alcuni degli elementi che caratterizzano la rivoluzione nazionale che degenera, per esempio, nelle leggi anti-ebraiche del 1 aprile 1933 (p.56). Ad essere nuova è l’attenzione che Cesarani dedica alle reazioni degli ebrei (p. 60) e ai primi rifugiati (pp. 71-77). L’intero anno 1933 occupa la prima parte del libro, seguita dalla seconda: 60 pagine dedicate alle misure politiche anti-ebraiche dal 1934 al 1938. In questi quattro anni cade la Rechtsschutz (pp. 88-95). Ma più ancora a Cesarani preme spiegare (a) cosa significhi vivere sotto le leggi razziali, (b) come – tema non vecchio – gli ebrei reagirono alla promulgazione delle leggi anti-ebraiche, e (c) come ebrei e tedeschi vissero sotto quelle leggi razziali (pp. 113-116) anche in vista dei giochi olimpici a Berlino (pp. 116-126). Analizza, infine, il modo di procedere contro gli ebrei cittadini tedeschi (pp. 126- 141).

La parte terza è dedicata invece al pogrom del 1938-1939: la situazione dell’Austria è ben fotografata; soprattutto si concentra sulle reazioni alla confusione (mayhem, p. 158) in Austria, prima di passare alla parte quarta sulla guerra, dal 1939 al 1941: in tutto 111 pagine frammezzate da 8 pagine di foto. Più paragrafi sono dedicati alla persecuzione e alle reazioni degli ebrei nella Polonia occupata, e alla guerra nei Paesi ad occidente. Con uno stile che richiama a volte quello dello storico Raul Hilberg (in La distruzione degli ebrei), che mappa luoghi e spazi, e della sociologa Helen Fein in Accounting for Genocide, Cesarani ripercorre quanto succede nel ghetto di Varsavia (pp. 331-348). “The war was taking a fateful turn” (p. 348).

La parte quinta del volume è dedicata all’operazione Barbarossa, una tappa che mette abbastanza d’accordo tutti gli storici e su cui non si discute a partire dall’apertura degli archivi e la caduta del muro di Berlino: l’anno è il 1941. Di nuovo, Cesarani si concentra sulle vittime, sul modo di vivere degli ebrei sotto le norme regole prescrizioni sovietiche (p. 359).

Nelle pagine 412-416 Cesarani descrive come degenera e precipita la situazione al fronte, determinando un’ulteriore crisi delle politiche anti-ebraiche: è il caso della Romania e dell’Ungheria dove si va al di là degli interessi e delle intenzioni dei nazisti (p. 413). Da p. 416 a p. 432 Cesarani descrive la deportazione degli ebrei dal Reich e la guerra ad oriente e i ghetti polacchi.

Invece una guerra in espansione e la profezia di Hitler (p. 445) vanno a introdurre la parte sesta, titolata come il libro, la soluzione finale: di nuovo un anno pieno intenso dettagliato, il 1942. Se da un lato ci sono la guerra, la conferenza di Wannsee, la deportazione dal ghetto di Lodz al campo della morte di Chelmno; la deportazione dal ghetto di Lublino a Belzec - con sempre otto pagine di foto in mezzo; dall’altro, Cesarani si concentra su un aspetto importante della modernità: la funzionalità della macchina. Per lo storico londinese, in realtà, ci sono due tipi di macchina: quella della guerra e quella che uccide. Seguono poi le analisi sull’economia di guerra, sull’espansione di Auschwitz. Gli ebrei che entrano ad Auschwitz (p. 524) costituiscono un altro paragrafo di questa parte prima di passare a Theresienstadt e alla soluzione finale in Francia, Belgio, Paesi Bassi, Norvegia, agli Alleati e all’Asse.

Quando Cesarani parla della guerra che diventa totale nel 1943, si è alla settima parte del libro, la parte più lunga in cui spiega come alcune situazioni sono state possibili solo grazie al conflitto: le politiche anti-ebraiche sono cambiate in funzione della guerra e la guerra ha portato alla fine dell’ebraismo tedesco. Più avanti è interessante riflettere con l’autore sul caso di Sofia o meglio sul fatto che la non collusione tra governo hitleriano e governo bulgaro è stata possibile solo perché di mezzo c’è stato lo sbarco degli Alleati in Sicilia, nel 1943.

Ancora Cesarani torna sulla situazione degli ebrei che restano a Varsavia fino alla liquidazione dei ghetti; riporta le rivolte di Treblinka e Sobibor; parla degli ebrei che combattono in Polonia, del ridisegno di Auschwitz e della Judenpolitik che ricambia nel contesto della sconfitta militare. Altre 8 foto, in mezzo al capitolo, illustrano tali anni prima di passare alla riflessione sulle conseguenze della sconfitta d’Italia, una variabile che, per Cesarani, non può essere tralasciata.

A p. 673 si è costretti a fermarsi, quando si legge Raining death on Earth: deportations from western Europe (Una morte che piove sulla terra: le deportazioni). Ogni storico lì è costretto a inciampare tra le sue spiegazioni: perché deve fare i conti con la realtà. Di nuovo l’attenzione a Theresienstdat: tra cultura e catastrofe.

È la volta poi della Danimarca. Cesarani non si stanca neppure di affrontare la spinosa questione degli Alleati, a conoscenza di quanto stava accadendo agli ebrei in Europa.

Infine, la parte ottava, l’ultima, sull’ultima fase e sull’ultimo anno di guerra, 1944-1945. A seguire, un epilogo, un glossario, le note, la bibliografia e l’indice: c’è tutto.

Tra il 1944 e il 1945 Cesarani risulta abile nel raccontare e spiegare le speranze di Hitler e le vicende dell’Ungheria: “the fate” (p.702), ciò che capitò agli ebrei ungheresi, l’ultima caccia, le ultime deportazioni e le ultime liquidazioni degli ultimi ghetti: già è proprio “ultimo” (last) l’aggettivo più appropriato e che ricorre di più in questo volume costruito e architettato, dove non solo i fatti sono raccontati bene, ma dove le parole sono più che scelte. In questa parte Cesarani parla anche di un’alba falsa visto che la guerra e le uccisioni vanno avanti in modo peggiore a seguito della sconfitta militare tedesca. L’attenzione è anche per il Sonderkommando in Auschwitz, l’evacuazione dei campi, le marce forzate e i massacri, Bergen-Belsen e la fine della Kudenpolitik.

Quel che resta di questa recensione - abbastanza impossibile e per la vastità dei temi trattati e per la profondità degli stessi – è che lo sterminio non è stato pianificato, piuttosto contorto. Erratic, fateful, muddled, caorsened sono quelle locuzioni verbali o predicative che ricorrono spesso nel volume e che Cesarani utilizza per descrivere il destino della fine dell’ebraismo europeo. Poi l’espressione temporale “before 1914” mai fornita, secondo le mie conoscenze a oggi, da uno storico. Però Cesarani ne fornisce le prove: racconta e spiega in dettaglio perché le cause della distruzione devono farsi risalire al prima del 1914. Forse è proprio quest’espressione che fa pensare, come Cesarani, al fatto che più che a uno stato razziale, quello Stato, fu uno stato-macchina da guerra o meglio una macchina statale di guerra.

Note

[1] David Cesarani, Final Solution. The Fate of the Jews, 1933-1949, St. Martin’s Press, New York 2016, p. xxx. 

[2] Ibidem, p. 787.

Casella di testo

Citazione:

David Cesarani, Final Solution. The Fate of the Jews, 1933-1949 (recensione di Adele Valeria Messina), "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", VI, 1, maggio 2017

url: http://www.freeebrei.com/anno-vi-numero-1-gennaio-giugno-2017/david-cesarani-final-solution