Hans-Joachim Schoeps, Epifanie della legge

"Free Ebrei", IV, 1, aprile 2015

 

 

Hans-Joachim Schoeps, Epifanie della legge. Kafka e la tragedia dell'ebreo moderno, a cura di Vincenzo Pinto, Torino, Free Ebrei – 6, 2014, 146 pp., € 9

 

di Gabriele Guerra

Abstract

Vincenzo Pinto's first Italian edition of Kafkian by the historian of religion and theologian Hans-Joachim Schoeps try to show how deep the cultural pessimism and the basis of the conservative revolution were in interwar Germany.

 

Hans Joachim Schoeps (1909-1980) appartiene a una categoria assai speciale di ebrei tedeschi, perlomeno se ci riferiamo alle figure più note di una stagione intellettuale per tanti versi irripetibile, quella di Walter Benjamin e Gershom Scholem, Franz Rosenzweig e Theodor Adorno, Martin Buber e Gustav Landauer: una costellazione di pensatori che hanno provato, sempre con premesse ed esiti diversi, a pensare la loro doppia identità tedesca ed ebraica sullo sfondo del “secolo breve”, e sotto l'ombra minacciosa della persecuzione nazionalsocialista – ma che poi hanno incontrato una vera e propria canonizzazione interpretativa, come “outsider”, come “Grenzgänger”, come “diversi” (come recita il titolo italiano di un famoso libro di Hans Mayer, che accomuna l'ebreo tedesco alla donna ed all'omosessuale come figure liminari dello spazio culturale di lingua tedesca tra nascita del Secondo Reich e avvento del nazismo). Indubbiamente vi è in questa stilizzazione una notevole dimensione di verità, troppo spesso però carica di accenti apologetici ed agiografici, che reca con sé un appiattimento proprio sulle figure-chiave della galassia ebraico tedesca della prima metà del XX secolo, facendo dimenticarne altre, altrettanto interessanti ma non del tutto coincidenti con quella canonizzazione.

Ora giunge, grazie alla cura traduttiva di Vincenzo Pinto, per la prima volta in italiano una raccolta di saggi di uno di questi autori “diversi” (o almeno, diversi dai “diversi” di mayeriana memoria), cioè quell'Hans-Joachim Schoeps che Scholem, in una delle sue lettere a Benjamin, descrive – in ultima analisi a ragione – tutto intento «nell'impresa di farsi accettare a ogni costo dal fascismo tedesco»; «un conservatore prussiano di religione ebraica», come lo definisce. Ora Vincenzo Pinto, da sempre attento a scandagliare proprio le correnti più limacciose e dimenticate dell'ebraismo e del sionismo tedesco tra le due guerre, presenta appunto una raccolta di saggi di Schoeps incentrati su Kafka (e sullo Schoeps interprete di Kafka, Scholem e Benjamin non risparmiano né critiche né feroce sarcasmo), che ci permettono di meglio comprendere la posizione filosofica, culturale e politica dell'autore. Una posizione che si può compendiare proprio nel titolo dell'informata postfazione del curatore: “Prussia o Palestina?” È chiaro dunque che l'opzione tanto chiaramente esibita nel titolo esclude, per il giovane Schoeps, la possibilità di rispondere semplicemente “Germania” (come invece, per certi versi, farà Benjamin): proprio perché la sua dimensione intellettuale si esaurisce tutta nel suo orgoglioso senso di appartenenza – alla “comunità di destino” (per usare, e pour cause, un vocabolo pesantemente compromesso con il lessico ideologico nazionalsocialista) sia prussiana sia ebraica, e che lo porterà, dopo la Machtergreifung hitleriana, a creare e dirigere un gruppo politico dall'altisonante nome di “Deutscher Vortrupp”, che si incarica di indicare agli ebrei – ormai sottoposti alla politica di segregazione nazista – la via che li porti a preservare sia la loro identità religiosa ebraica, che quella politica tedesca. Un'impresa ovviamente destinata al fallimento, siglato dall'esilio svedese di Schoeps; ma che scandisce in maniera assai emblematica la teologia e la filosofia del suo promotore. «Gli ebrei sono membri della nazione prussiana per decisione religiosa» (142), come dice Pinto delineando con grande lucidità la posizione schoepsiana, a un tempo politica, culturale, religiosa, antropologica, volta a indicare un'identità esistenziale e religiosa che si mantenga ostinatamente dentro l'assetto destinale prussiano ed ebraico che la storia sembra imporre.

È stato ancora Walter Benjamin a inserire Schoeps tra «gli atroci battistrada della teologia protestante all'interno dell'ebraismo»; benché una tale affermazione liquidi troppo frettolosamente una posizione invece molto diffusa all'interno dell'ebraismo tedesco del tempo, da cui non è esente lo stesso Benjamin, essa coglie nel segno nel momento in cui indica con decisione il coté protestante di cui si nutre l'identità filosofico-religiosa di Schoeps, il cui «antidogmatismo lo rendeva troppo vicino al luteranesimo», come dice ancora Pinto nella sua postfazione, che giustamente ricorda gli echi barthiani nella teologia schoepsiana, come anche la sua simpatia per Gogarten, che con il teologo evangelico svizzero condivise il percorso iniziale della teologia dialettica, ma che in seguito vennero separati proprio dal giudizio divergente circa il nazionalsocialismo. Hans Joachim Schoeps, potrebbe in questo senso considerarsi un “ebreo tedesco” esattamente nello stesso senso dei “Deutsche Christen”, di quella corrente cioè dell'evangelismo tedesco che decise di seguire Hitler: perché entrambi vedono nell'aggettivo – declinato in salsa bruna – l'inveramento ontologico della loro specifica identità religiosa. Il che comunque non permette in alcun modo, come sottolinea ancora Pinto, di fare di Schoeps un “vecchio nazista ebreo” (come lo definì sbrigativamente negli anni Settanta il direttore del “Tagesspiegel”), quanto piuttosto un «nazionalconservatore antinazista», come sostiene il postfatore (una definizione peraltro euristicamente assai interessante, anche se problematica nel senso pratico da dare all'aggettivo). Dalla posizione politica nazionalconservatrice discende dunque, e coerentemente, la posizione religiosa “ortodossa” di Schoeps: una posizione che intende recuperare nella maniera più organica possibile un'appartenenza teologica all'ebraismo in epoca di de-divinizzazione, e al cui interno Kafka assume un ruolo centrale.

Allo scrittore praghese Schoeps dedica infatti, nei saggi raccolti in questo volume, un profilo ermeneutico che si sviluppa lungo la linea Pascal-Kierkegaard-Heidegger (che è poi la ragione per cui sia Benjamin che sopratutto Scholem detestavano l'interpretazione schoepsiana dello scrittore praghese), una linea cioè di individuazione teo-antropologica dell'uomo collocata all'interno della struttura destinale del moderno, caratterizzata da una distanza definitiva dal sacro e da un oblio della legge – che determina, più in particolare, l'essere ebraico moderno. «Un'antropologia teologica su base storica» p. 42, nt. 24), definisce non a caso Schoeps la sua interpretazione di Kafka, mutuando esplicitamente l'espressione dalla teologica dialettica protestante: laddove “storica” significa cioè “tragica”, esprime la tragedia esistenziale dell'uomo gettato in una storia di dannazione (che non a caso è termine ricorrente nella teologia schoepsiana). In questo modo si esplicita l'attualità dell'interpretazione schoepsiana di Kafka – un'attualità che poggia peraltro su una lettura molto tradizionale, per non dire “pia” della sua opera narrativa, ma che fornisce, sia per Kafka che per il suo autore, preziosi elementi di interpretazione storico-religiosa.

Casella di testo

Citazione:

Hans-Joachim Schoeps, Epifanie della legge, a cura di Vincenzo Pinto (recensione di Gabriele Guerra), "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", IV, 1, aprile 2015

url: http://www.freeebrei.com/anno-iv-numero-1-gennaio-giugno-2015/hans-joachim-schoeps-epifanie-della-legge