Antonella Tiburzi, La comunità ebraica di Merano

"Free Ebrei", V, 1, maggio 2016

La comunità ebraica di Merano. Gloria e catastrofe

di Antonella Tiburzi

Abstract

Antonella Tiburzi analyzes the history and the fate of Meran's Jewish community from the Middle Ages to the the Holocaust. She underlines the particolar geographical and cultural position of Meran in relation to the North-South route from Italy to Austria and Germany. She also offers an exhaustive bibliography on the theme.

La nascita della presenza ebraica nelle città, nei piccoli comuni e nella regione Sudtirolese tutta ha avuto tempi, origini e occasioni differenti. La presenza ebraica nell’area che va dal Brennero a Trento presenta una serie di frammentarietà geografiche e cronologiche di grande interesse. Troviamo ad esempio una serie di tracce di ebrei, seppur singole, ma abbastanza capillari fin dal 1297 con l’esattore Masterlino a Tel, presso Merano, oppure nel 1311 Bonisak che fu amministratore della zecca a Merano e infine, tra gli altri, anche Isacco e Samuele a cui fu concesso il permesso di risiedere a Bressanone dal vescovo per gestire il banco creditizio. [1]

Anche Federico IV d’Asburgo scrisse diverse lettere a 4 famiglie ebraiche residenti a Bolzano e sembra che nel 1520 ci fosse anche una «Judengasse»[2] da cui gli ebrei non furono espulsi grazie al diretto interessamento di Massimiliano I. 

Se ci si sposta invece nella zona di Trento, la condizione degli ebrei non risulta essere così rigogliosa. Già nel 1475 la famosa accusa, poi infondata, di omicidio rituale del bambino Simone e il conseguente processo portato avanti dal principe vescovo Giovanni Hinderbach diede luogo alla rimozione di qualsiasi traccia ebraica dalla città.[3]

Il principio tuttavia effettivo della nascita della comunità ebraica meranese trae la sua genesi nella comunità di Hohenems presso Bregenz nel Voralberg, da dove verso la metà dell’800 alcune famiglie si spostarono per costituire, prima nel Tirolo meridionale e poi a Merano, una comunità autonoma e la loro presenza comincia ora a essere di grande rilievo anche per la storia delle singole aree della regione.

Il sentimento tuttavia antisemita non cessò di esistere. Nel 1809 l’eroe tirolese Andreas Hofer e i suoi «Schützen» della Val Pusteria, nonostante fossero stati sostenuti finanziariamente dagli ebrei del Tirolo (Voralberg e Vienna) nelle loro rivolte antinapoleoniche, il 15 aprile guidarono la popolazione locale di Innsbruck al saccheggio di case e negozi di ebrei.

Sarà necessario tuttavia aspettare alcuni decenni per individuare nuovamente tracce di ebraismo in zona. L’arrivo dei fratelli Schwarz contribuirono in modo sostanziale allo sviluppo economico e sociale del Sudtirolo attraverso l’istituzione di aziende, fabbriche e negozi nella provincia di Bolzano. In particolare, tra le tante opere, i fratelli Arnold e Sigmund finanziarono i consorzi di bonifica del Sudtirolo e la costruzione delle ferrovie Mori-Arco-Riva del Garda e Bolzano – Caldaro. [4]

A Merano in particolare vanno menzionate l’istituzione di banche, sanatori e alberghi andando in questo modo a contribuire in modo qualitativo allo sviluppo della città come una delle località turistica più note di tutto l’Impero austroungarico. Anche il passaggio da città turistica a città di cura si deve ad un ebreo. Il medico Rafael Hausmann fu l’ideatore e promotore della cura dell’uva per il trattamento di diverse patologie. Tale studio e scoperta trasformò di fatto Merano in una città ideale per un soggiorno curativo delle malattie polmonari e nella cura della tubercolosi.[5]

Alla fine dell’800 lo scioglimento della comunità di Hohenems fece in modo che molti ebrei si trasferissero a Merano anche per ragioni di salute.[6]  Nel 1896 Aron Tänzer[7] divenne il rabbino competente di una vasta area provinciale che partiva da Merano e arrivava fino a Riva del Garda.

Nel corso dei primi anni del nuovo secolo Merano divenne una delle mete preferita degli scrittori ebrei dell’Impero asburgico quali: i filantropi russi Brodosky, Hugo Zuckermann, Franz Kafka,[8] il drammaturgo Arnold Schnitzler, il grande scrittore Stefan Zweig[9] e anche Sigmund Freud.

Nel 1914, con lo scoppio della Grande guerra, i Königswarter donarono all’esercito austroungarico l’uso del sanatorio per curare i soldati feriti fino a quando le truppe italiane requisirono la casa di cura.

La prima data spartiacque importante per la comunità ebraica tirolese fu quando il Sudtirolo passò alla sovranità italiana nel 1919. I circa 120 ebrei residenti temevano che questo “transito” potesse minare la loro legittimità. Di fatti comunque essi dovettero aspettare il 9 novembre 1921 per il dovuto riconoscimento da parte del Ministero di Grazia e Giustizia a Roma quando si approvò la costituzione di una Comunità israelitica a Merano.

Alla fine della Grande guerra il sentimento tuttavia antisemita che dominava l’Europa coinvolse anche il Tirolo. Nel 1919 in Austria fu fondato un partito esplicitamente antisemita come il “Deutschfreiheitliche Partei” o il “Tiroler Antisemitischenbund (Lega antisemita tirolese) il cui leader accusava gli ebrei di aver programmato e realizzato la sconfitta dell’Austria nella guerra. Il caso forse più importante interessò quello relativo al priore di Wilten, Domenikus Dietrich che apertamente incolpava gli ebrei di ogni male tra cui la tratta delle bianche e del tradimento della patria.[10]

 

Nei primi anni ’20 quando si avviò in Sudtirolo il processo di italianizzazione (e fascistizzazione) forzata della regione, lo scioglimento delle associazioni e istituzioni di lingua tedesca comportarono anche il rafforzamento dei sentimenti patriottici o pangermanisti che nel corso del tempo sfociarono poi in veri e propri sentimenti nazionalsocialisti e poi nazisti locali.

Nel 1924 vivevano a Merano circa 300 ebrei e la loro esistenza in quel periodo era particolarmente minata dai rapporti litigiosi con il resto del Tirolo. Tale condizione si prolungò fino al 1933 quando si giunse addirittura ad una momentanea dimissione del Consiglio della Comunità. Tale precarietà tuttavia non fece ravvisare negli ebrei meranesi il pericolo che proprio quell’anno si stava affacciando in Europa e in particolare nella vicina Germania.[11]

Gli ebrei a Merano fino a quel momento erano stati parte della comunità forse più multiculturale d’Europa e oggettivamente rappresentavano una singolarità nel panorama sia italiano che europeo. Essa infatti era effettivamente una delle poche comunità ad avere membri che provenivano praticamente da tutta Europea e che registravano la loro origine sia dalla parte orientale che meridionale del vecchio continente. In particolare la presenza degli ebrei ashkenaziti a Merano è legata da una parte al fatto che il Sudtirolo era stato, fino al 1919, parte dell’Impero Austro-ungarico, pertanto si parlava la lingua tedesca ed era facile trovare essenzialmente gli stessi costumi e tradizioni propri nei paesi della Corona mentre dall’altra la loro presenza trovava una comunanza culturale con il Sudtirolo e nello stesso tempo un’aspirazione a trovare un luogo dove migliorare il proprio stato di salute. Le origini pertanto dei membri della comunità si dispiegavano dalle regioni centrali europee per arrivare fino ai territori galiziani passando però anche per il Mediterraneo, la Turchia, la Palestina e il nord Africa.[12]

In sostanza la storia degli ebrei in Sudtirolo, nella sua eterogenea origine, non include oggettivamente solo il frutto di una diaspora ma veramente anche l’anelito a costruire una importantissima comunità fatta di culture, lingue e costumi diversi. Tutta questa ricchezza e patrimonio umano fiorì e si sviluppò fino al 1938 quando si diede avvio alla sua distruzione avvenuta con e nella Shoah.

"16 settembre 1943". Il collaudo della deportazione ebraica dall’Italia.

Già nel maggio 1931 a Merano era stata creata la “Auslandsorganisation del Nsdap” ovvero l'organizzazione estera del partito nazionalsocialista tedesco che aveva in realtà l’incarico di creare nuclei nazisti locali oppure gruppi di volenterosi seguaci di Hitler. Tale gruppo aveva ottenuto un certo favore dalle prefetture fasciste. La cellula meranese guidata da Ernst Schulz contava ben 55 iscritti solo in questa area e ben 317 in tutta Italia. Il 31 marzo 1932 si riunì a Monaco di Baviera il “Verein für das Deutschtum im Ausland” (Associazione per la nazionalità germanica all’estero) a cui partecipò anche Reut – Nicolussi e Mumelter in rappresentanza degli altoatesini. I due chiesero a Hitler di dare maggiore rilievo alla “causa” sudtirolese in virtù dei problemi delle minoranze linguistiche. Hitler stesso rispose che l’Alto Adige rappresentava un ponte e un legame tra la Germania e l’Italia. Il 28 ottobre 1932[13] a Bolzano davanti al Monumento alla Vittoria si riunì una delegazione del partito nazista e fascista per festeggiare l’opera e l’evento. Emerge in questa fase una crescente adesione al nazismo da parte dei giovani e dei contadini di Merano che vedevano nella Germania nazista, più che nell’Austria, una rappresentanza del loro disatteso nazionalismo.

Nello stesso anno alla prefettura di Bolzano fu nominato Giuseppe Mastromattei che oggettivamente risultò un po’ inviso agli altoatesini di lingua tedesca per via dei suoi divieti di mostrare simboli nazisti o la partecipazione a assemblee del partito in provincia perché, secondo lui, «osteggiavano la politica italiana di penetrazione demografica nella provincia».[14] In sostanza durante tutto il 1933 e negli anni successivi si andò sempre di più a rafforzare sia da parte italiana che da parte tedesca un sentimento profondamente nazionalista che vedeva nell’altro, seppure alleato, una sorta di ostacolo alla propria egemonia locale nella regione. Si formarono numerose organizzazione naziste come il “Völkischer Kampfering Südtirols”, che affermava l’unicità dell’anima tedesca (austriaca e tedesca). Anche la chiesa non sembrava assumere una posizione netta contro o a favore della nuova percezione politica e sociale della zona.

Le leggi razziali del 1938 determinarono in sostanza un elemento discriminante e di cesura tra ciò che era avvenuto fino a quel momento e ciò che si determinerà negli anni successivi. L’annessione dell’Austria da parte del Terzo Reich del 13 marzo 1938 non influenzò effettivamente la scelta italiana di costituire un corpus di leggi e misure antisemite nel settembre dello stesso anno, visto che le tendenze antisemite, mai nascoste, della società italiana, si erano espresse ampiamente già negli anni precedenti. Inoltre il silenzio dei governi europei e il plauso delle società tutta del vecchio continente aveva in parte favorito anche la estesa espansione territoriale di Hitler in Cecoslovacchia nello stesso periodo.

Questo nuovo ordine influenzò invece il comportamento della popolazione sudtirolese di lingua tedesca, che accettò di buon grado le politiche germaniche che quelle italiane soprattutto in materia di persecuzioni antiebraiche.

La comunità di Merano era pertanto il centro dei diversi spostamenti che provenivano dall’Austria o dalla Germania e che vedevano nella città sul Passirio un punto di transito o di arrivo per gli ebrei perseguitati nei loro paesi di origine. I dati del censimento riportano circa 1523 ebrei (e 439 assenti) solo nella provincia di Bolzano. Gli ebrei tuttavia della regione non avevano avuto oggettivamente la sensazione di essere oggetto di persecuzione, nonostante le misure razziali, tale da prevedere la necessità di una emigrazione o di una fuga. Il 4 ottobre tuttavia si incontrarono a Bolzano il segretario del Pnf locale e il capogruppo della Auslandsorganisation, Ettel, per concordare e rafforzare i loro rapporti anche in merito alla “questione ebraica” tanto da far proferire al gerarca fascista la seguente affermazione: «ben presto anche l’Alto Adige saràJudenrein”.[15]

Il 13 maggio 1940 la comunità di Merano affermava con fermezza che la condizione dei membri era particolarmente confusa e i dati richiesti nel censimento da parte del Ministero dell’Interno non potevano essere precisi vista la presenza di immigrati, di profughi e di emigranti, pertanto potevano essere forniti solo elementi precari. Risultavano esserci quindi 331 ebrei emigrati come seguono: «ospiti di cura senza occupazione, emigrati dalla Germania o dall’Austria, malati e anziani».

In Alto Adige la condizione di tutta la popolazione è profondamente influenzata dalle scelte di Hitler e Mussolini. Le «Opzioni» del 1939 determinarono una spaccatura e uno svuotamento tra coloro che decisero di lasciare la propria terra al fascismo e ritrovare l’identità linguistica e culturale nel Terzo Reich (Optanten) e quelli che invece decidevano di rimanere a “difendere” il territorio (Dableiber).  

Il 1 settembre 1942 il dato relativo alla presenza degli ebrei nella provincia conta circa 49 persone. Nello stesso periodo gli ebrei, oltre a subire le aggressioni antisemite, furono precettati per il lavoro coatto, sia uomini che donne tra i 18 e i 55 anni, per essere adibiti essenzialmente a lavori manuali.

Ciò che stava accadendo agli ebrei in Europa dallo scoppio della guerra al settembre 1943, era piuttosto noto, seppur in misura minore, agli ebrei meranesi e della provincia bolzanina, ma oggettivamente essi non potevano aspettarsi che tale destino sarebbe stato riservato anche a loro.

La data dell’8 settembre 1943 rappresentò per gli ebrei altoatesini un cambiamento spartiacque nella storia locale e personale. La situazione mutò infatti in modo talmente rapido che non diede alcuna possibilità di organizzazione o comprensione degli imminenti e incombenti fatti che si sarebbero disposti di lì a poco. Si trattava del resto di una comunità di persone nate tutte alla fine dell’800 pertanto non più in grado di pianificare una fuga o un rifugio altrove. Nello stesso tempo non poterono neanche contare sul sostegno o appoggio dei locali che si trovarono nella situazione di dover fronteggiare sia il fascismo e poi il nazismo. Gli ebrei a Merano e in Alto Adige erano soli, isolati e nelle mani dei nazisti e fascisti locali che organizzarono la deportazione e l’appropriazione dei beni degli ebrei locali in modo sistematico.

L'ordine di arresto e deportazione, eccezionalmente non partì dal Gauleiter dell'Alpervorland, ovvero da Franz Höfer, ma dal Generale di Brigada delle SS, Karl Brunner da Bolzano. Questo alto ufficiale era in collegamento con la Gestapo di Innsbruck, da cui appunto dipendeva il campo di transito di Reichenau. Nelle carte dell'Istituto di Storia contemporanea austriaca (Öizg -Österreicher Institut für Zeit Geschichte) si possono trovare le carte in merito al carteggio tra la Gestapo e il Comandante del Lager. In un documento datato 12 settembre, quindi 4 giorni prima l'arresto degli ebrei meranesi, si legge chiaramente l'ordine di arresto degli ebrei inviato a tutti i Kreisleiter dell'AdO (Arbeitsgemeinschaft der Optanten - Comitato di lavoro degli Optanti) ovvero ai comandanti di distretto con la seguente dicitura: "Vi prego di assicurarvi immediatamente, che i Volljuden che vivono nella zona siano arrestati immediatamente. Vi prego di comunicarmi dell'avvenuta esecuzione. Gen. Brunner". Per “Volljuden”, la Gestapo austriaca intendeva coloro che, secondo i parametri redatti nelle misure antiebraiche del 1935 e sulla base dell’indagine famigliare e “biologica” svolta dall’Ufficio della Razza austriaco, potevano essere definiti ebrei al 100%. La carta pertanto rivela che l’ordine non partì dalla Gestapo di Innsbruck ma dalle alte gerarchie delle SS austriache.

Il 16 settembre, soltanto 8 giorni dopo la dichiarazione dell’armistizio, la S.o.d. (Südtiroler Ordnungsdienst – Servizio d’ordine sudtirolese) insieme alla P.S. italiana arrestò nelle loro case i 25 ebrei meranesi che oramai, quasi tutti in età molto avanzata, avevano escluso la possibilità di emigrare ancora e soprattutto non avevano contemplato l’eventualità di veder compromessa la loro esistenza.  Il 90% di loro era nato nell’800, risiedeva e si era integrato a Merano da lungo tempo e pertanto ignorava il fatto che il progetto nazista potesse trascinarli nella Shoah. Dalla mattina presto, gli ebrei, dopo impensabili maltrattamenti,[16] furono trascinati nella Casa del Balilla (sita in Via Otto Huber) e la sera stessa furono caricati su un camion e portati, a notte inoltrata, a Reichenau.  Il comandante Georg Mott per lunghi anni aveva maturato un’esperienza criminale nelle più diverse circostanze storiche anche precedenti lo scoppio della guerra, e propriamente sempre all’interno del progetto nazista di annientamento del popolo ebraico europeo.[17]

La notte dell’arrivo le donne, la maggior parte oltre la sessantina, furono umiliate nelle varie perquisizioni mentre gli uomini subirono delle vessazioni e molestie di ogni tipo. Nei mesi successivi, secondo il verbale della Ss. Erwin Falch, il comandante Mott ordinava regolarmente agli uomini in particolare di camminare a piedi nudi nella neve nel tragitto che andava dall’aeroporto di Reichenau fino al Lager (10 chilometri almeno) con una temperatura sotto i 15 gradi e con circa 30 centimetri di neve. L’accanimento sistematico nei confronti di questo gruppo era ancora inedito in questo campo. Sia gli uomini che le donne subiranno dal comandante e dalle SS di stanza, costanti mortificazioni e degradazioni sorprendendo anche gli altri prigionieri che assistono a questi efferati comportamenti. Risulta infatti atroce la combinazione tra l’età avanzata di questi ebrei e la feroce sopraffazione che subirono nel Lager che a tutti loro risultò fatale sia a Reichenau che nel Lager di distruzione.  La spietatezza dei nazisti come Mott tormentò quella fase della loro vita che comunque sarebbe stata l’ultima di una esistenza ormai priva di energia, forza o speranza che non avrebbe prodotto alcun ostacolo all’espansione territoriale in Sudtirolo, che non avrebbe fiancheggiato la Resistenza altoatesina e che non avrebbe impedito la realizzazione dell’occupazione del territorio. Gli ebrei meranesi avevano perfino assimilato con rassegnazione l’emanazione delle leggi fasciste del 1938 che li aveva resi ancora più fragili sotto molti aspetti.  Al momento dell’arresto molti di loro erano totalmente soli nelle loro case, sono già vedove o vedovi, senza figli o assistenza di alcun tipo, e malgrado ciò vengono strattonati e insultati dalla Polizia, vengono colpiti e messi tutti insieme in locali senza luce, aria e acqua sebbene nessuno di loro avesse reagito o pensato di reagire a tale criminale prepotenza. Gli ebrei di Merano avevano iniziato il loro lento e ultimo declino già nel 1938 e iniziarono a terminarlo ancora più disperatamente nella deportazione a Reichenau.  Nel campo in Austria, nei mesi che precedettero il loro ultimo “trasferimento”, furono assassinati: Joseph Hönig di 83 anni, il 22 gennaio 1944, Emma Saphir Götz di 73 anni il 2 febbraio 1944 e Heinrich Gittermann di anni 77 il 4 dicembre 1943[18] oppure il 3 marzo 1944.[19] Quest’ultimo giorno potrebbe aver preceduto il trasporto per Auschwitz.[20]  

È piuttosto singolare notare come la politica di Mussolini in merito all’invio di deportati politici, di lavoratori forzati o di altre categorie sia stata particolarmente attenta e scrupolosa soprattutto per quanto riguardava la cura delle relazioni diplomatiche con l’alleato germanico. In occasione di una delle tante lamentele da parte degli operai italiani in merito al deludente trattamento economico di Reichenau e delle loro conseguenti fughe verso il Brennero, le autorità della Gestapo cercarono di risolvere la questione con Mussolini stesso, che provvide nel giro di poche settimane a rassicurare questi operai con la promessa di una assistenza e di una paga migliore, e che di fatto vennero poi confermate nei tempi successivi. Nella circostanza invece della prima deportazione ebraica dall’Italia, il capo del governo non solo non ebbe la stessa attenzione ma anzi provvide subito con zelo a sostenere gli uomini della S.o.d. con i militi della P.s. italiana nella regolare e consueta fase di individuazione, schedatura, cattura, carcerazione e deportazione. Tale supporto logistico e ideologico viene confermato anche nella fase successiva l’arresto e la detenzione nella Casa del Balilla a Merano. Nei giorni successivi la prima deportazione a Reichenau, le case di questi ebrei furono saccheggiate, perquisite e derubate dagli esecutori o dagli incaricati.[21]  Alla S.o.d. e alla P.S. era stato impartito l’ordine di arrestare, reprimere e inviare in Austria gli ebrei “stranieri” meranesi proprio dal governo di Roma, pertanto anche quando essi furono supplicati dalle vittime di lasciarli andare perché malati o perché troppo anziani, essi non ricevettero alcun’altra disposizione o variazione sulla misura da adottare. Per gli ebrei meranesi, e per tutti gli altri ebrei, dunque non si intervenne in alcun modo. 

In merito al trasporto che da Reichenau li deportò a Auschwitz ci sono informazioni storiche e storiografiche discordanti e talvolta incongruenti. Sia la fonte italiana che quella austriaca o tedesca riportano la data di arrivo e di sterminio ad Auschwitz del 7 marzo 1944 ma tale data però non è né comprovata ne documentata da alcun testo o fonte archivistica. Tuttavia sulla base di una ricerca di tipo quantitativo e qualitativo in database tedeschi e austriaci è stato possibile collegare il trasporto degli ebrei meranesi da Reichenau sia con quello di Vienna che con quello proveniente e collegabile da Stoccarda. Questo trasporto in realtà non ha delle informazioni precise in merito alla data di partenza, il percorso, la data di arrivo e la selezione al lager. La data che è sempre circolata come ufficiale risulta essere quella del 7 marzo 1944 come data di arrivo in Polonia e come liquidazione del gruppo nelle camere a gas, ma in realtà le nuove ricerche che hanno poi prodotto database non hanno trovato riscontri cronologici. Cercando anche nei giorni successivi o precedenti il 7 marzo non si hanno conferme visto che in questi giorni vengono registrati trasporti da altre zone, campi o città. Pertanto gli unici due trasporti probabili sia dal punto di vista geografico, ma anche questo è passibile di incertezze, che sotto l’aspetto della tempistica del trasporto, possono essere o quello del 24 febbraio da Vienna o quello agganciato il 7 marzo a Monaco di Baviera con i deportati da Stoccarda. Nel primo abbiamo un gruppo di 41 deportati, che rappresenta il quinto  "Osttransporte"[22] da Vienna tra il 1943 e il 1944 e che ricevette la numerazione "47".[23] Questo trasporto viene confermato anche dal “Kalendarium” di Auschwitz che infatti riporta l’arrivo: "41 ebrei sono trasferiti con un trasporto della RSHA da Vienna. Dopo la selezione, quattro uomini, che ricevono i numeri da 174437 a 174440, sono internati nel lager come detenuti. Gli altri 37 uomini sono uccisi nelle camere a gas".[24] Il secondo possibile trasporto del 7 marzo invece, la cui data sembra essere più vicina a quella menzionata più spesso nelle varie fonti, dovrebbe essere stato unito o agganciato a quello del trasporto no. 9.63 da Stoccarda, ma anche nella fonte tedesca così come nel Kalendarium, non si trovano altri dati, né in merito alla quantità dei deportati né per ciò che riguarda le possibili date d’arrivo. La seconda possibilità comunque, seppur modesta dal punto di vista delle fonti, ne consegue essere la più presumibile quantomeno per via della coincidenza delle date del trasporto e per via della pratica consueta dell’agganciare i treni durante il tragitto per Auschwitz anche da paesi diversi. 

In merito al destino finale degli ebrei di Merano si può affermare in modo piuttosto definitivo, se non altro per via delle convergenze cronologiche e per la corrispondenza della tempistica degli altri trasporti, che essi furono sterminati a Auschwitz, ma ciononostante, questa evidenza lascia molte fenditure dolorose anche per la sua Memoria oltre che per la veridicità storica. Sulla comunità infatti per molto tempo scese un vergognoso oblio che fece diventare la sua dimensione storica fin troppo articolata e rese quelle fenditure ancora più profonde e insanabili.   

Gli ebrei che vivevano a Merano prima dell’avvento del fascismo e nazismo rappresentavano una minoranza di grande prestigio per via del loro importante e significativo contributo alla vita culturale, turistica e assistenziale della città.[25]  Al censimento del 1938 risiedono in Alto Adige circa 900 ebrei di cui circa il 90% nella sola Merano. Nel periodo che va dalla promulgazione delle misure razziste fino all’armistizio, circa il 95% riesce a lasciare il territorio per diverse destinazioni: Stati Uniti, Shangai, Palestina o Francia e riuscendo a conquistare in parte la salvezza mentre altri ri-caddero nelle catture o nelle varie razzie in Europa.[26] Coloro i quali invece decisero di rimanere, per le più diverse motivazioni, furono annientati appunto a Auschwitz.  L’unico merito che ha avuto la ricerca finora è stata quella di restituire quantomeno le vite biografiche delle vittime attraverso un percorso geografico e temporale continuum nella superficie europea che va dalla nascita dell’Impero austroungarico, passando per la Grande Guerra e arrivando alla Shoah, e giungendo alla nascita del movimento sionista, in un importante passaggio meranese, nella fase preparatoria alla Aliyah in Palestina.[27] 

Considerando la loro storia, fragile e di difficile ri-composizione, e il loro assassinio una sorta di paradigma dell’accanimento criminale nazista per via della loro anziana età e della loro innocua presenza nella provincia, risulta veramente apprezzabile l’impegno della ricerca nel tentare di ricostruire e di restituire le storie delle loro esistenze prima della catastrofe affinché essa possa assumere una significato irripetibile in una storia senza precedenti. L’assenza nella storiografia del frammento relativo al trasporto da Reichenau a Birkenau, nell’ultimo momento della loro vita, non rende la loro storia incompiuta, tutt’altro.  Per via delle sue diverse provenienze, lingue, politiche, tradizioni e storie trasversalmente europee, la comunità ebraica di Merano aveva rappresentato in Italia una singolarità e una complessità incomparabile ad altre realtà del paese pertanto, nonostante la sua distruzione nella Shoah, essa è riuscita a lasciare un’eredità culturale e memorialistica di tale rilievo che è ancora oggi oggetto di studio, ricerca e rievocazione culturale anche a livello internazionale.[28] 

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BIBLIOGRAFIA

 

 

Note

[1] Scherer, J.E., Die Rechtsverhältnisse der Juden in den deutsch-österreichischen Ländern, Leipzig 1901, p. 586

[2] Vicolo dove risiedevano gli ebrei nelle città.

[3] Maria Luisa Crosina, La comunità ebraica di Riva del Garda: Sec. XV-XVII, Comune di Riva del Garda, Biblioteca Civica, 1991. Questo studio ha approfondito il significato storico e sociologico dell’accusa di omicidio e del periodo relativo al Concilio di Trento.11

[4] A queste opere si deve aggiungere anche la funicolare della Mendola.

[5] Il dottor Raphael Hau­smann originario di Breslavia e aveva deciso di stabilirsi a Merano in seguito ad alcuni problemi di salute. Nel 1866 prestò soccorso ai reduci dell’esercito austriaco che avevano combattuto a Custoza. Egli indicava Merano come il luogo più adatto ai pazienti affetti da malattie polmonari. Il suo ambulatorio era frequentato da personalità di spicco europee. In merito alla famosa cura dell’uva scrisse nel 1872 un testo dettagliato dal titolo! "Ueber der Weintraubenkur mit rucksicht auf Erfahrungen in Meran”.

[6] A Merano la Fondazione di Jakob e Lisette Königswarter donò 6000 fiorini per costruire un ospedale per la cura delle malattie polmonari.  Tale generosa offerta fu fatta in memoria del loro figlio Emil morto di tisi a 24 anni a Merano (Cfr. https://www.geni.com/people/Emil-K%C3%B6nigswarter/6000000002765675071; Antonella Tiburzi, The Jewish Cemetery of Merano, in www.academia.edu/6524209/The_Jewish_Cemetery_of_Meran).

[7] Patrick Gleffe, Rabbiner Dr. Aron Tänzer und der Traum vom „Bezirkrabbinat“ Merano, in Th. Albrich (Hg,), Jüdische Lebensgeschichten aus Tirol. Vom Mittelalter bis in die Gegenwart“, Haymon, 2012, p. 185.

[8] Da Merano Franz Kafka scrisse le famose lettere a Milena Jesenská (Praga, 10 agosto 1896 – Lager di Ravensbrück, 17 marzo 1944) dalla pensione Ottoburg. (Cfr. Franz Kafka, Briefe an Milena, Fischer Taschenbuch, 1986. It. Lettere a Milena. Mondadori, 1991).

[9] Sascha Michel, Lea Katherina Ostmann e Esther Wichelhaus (Hrg.), Unterwegs mit Stefan Zweig, Fischer Taschenbuch Verlag, 2010, pp. 109-116.

[10] Niko Hofinger, «Unsere Losung ist: „Tirol den Tirolern!“. Ansemitismun in Tirol 1918-1938, in Leopold Steurer: »Undeutsch und  jüdisch.« Streiflichter zum Antisemitismus in Timl, in: sturzflüge 5 (1986), Heft 15/16, p. 57).

 

[11] Federico Steinhaus, Ebrei/Juden. Gli ebrei dell’Alto Adige negli anni trenta e quaranta. Giuntina, 1994, p. 18.

[12] Tiburzi art. citato. Presso il cimitero ebraico di Merano infatti è possibile trovare defunti nati a Costantinopoli.

[13] In occasione del decennale della "Marcia su Roma".

[14] Steinhaus, op. cit. p. 25.

[15] Il gerarca in questione usò un termine tipico del lessico nazista, usato nei documenti relativi alla realizzazione dello sterminio delle comunità ebraica dell’Unione sovietica.

[16] La signora Francesca Stern in De Salvo (1904) viene arrestata assieme alla figlia Elena di soli 6 anni malata di tubercolosi e con un polmone solo. Prima del trasferimento alla Casa del Balilla Francesca implorò ripetutamente gli uomini della S.o.d.. di liberarle ma gli ufficiali le percossero per azzittirle e prima di portarle via, le derubarono di tutto nella loro casa. 

[17] Georg Mott, (Tauberbischofsheim 1900 –). Si iscrisse alla Nsdap nel 1931 nella locale formazione nazista e operò subito nelle prime Aktion contro i membri della locale Comunità ebraica. Quando nel 1941 ricevette l’incarico del comando di Reichenau direttamente dal Rsha di Berlino, Mott si trovava al Dienstort (sede di servizio) a Praga e convocò subito come specialista anche Klaus Bunge, un appartenente alle SS-Totenkopfstandarte del Lager di Oranienburg. Nel primo processo a carico di Mott indetto dal Headquarter Seventh Army Judge Advocate Section war Crimes Branch il 6 giugno 1945 si mostra un documento di 24 pp. in cui si evidenziano tutti i capi di accusa contro di lui e i suoi collaboratori. Si riportano le testimonianze dei sopravvissuti al Lager di Reichenau e si conferma alla fine delle carte, la condanna all’ergastolo.  [Atti della “Libraries Evidence to establish alleged war crime” in particolare Deposition and report del 16 giugno 1945 della David M. Berke Collection of Nuremberg Trials Depositions (MS 804). Special

Collections and University Archives” dell’ Università del Massachusetts- Amherst; Nuremberg War Crime Trials, Nuremberg, Germany, 1946-1949, Innsbruck-Reichenau (Labor reform camp)World War, 1939-1945--Prisoners and prisons]. Il 10 febbraio 1958 si svolse il processo nella Corte regionale di Hechingen contro George Mott, [1958/02/10. WVT, p 579]. In questo processo fu respinta la sua richiesta di grazia e fu confermata la condanna ai lavori forzati a vita. [Cfr. Review of "Association of Jewish Refugees in Great

Britain", p.6; "American Jewish Committee", in “Central Europe”, p.7]. I testimoni, sia italiani che di altre nazionalità o categorie della deportazione, riportano sia nelle loro storie personali che collettive, nella memorialistica, nelle interviste o nelle deposizioni nei vari processi, di numerosissimi episodi in cui Mott si distinse per la gratuita e costante violenza nei confronti dei prigionieri. Anche in assenza di ordini e di disposizioni funzionali, Mott non risparmiava nessuno con la sua razionale aggressività criminale.  Consultando la bibliografia toponomastica tedesca, ho trovato numerose e qualitative pubblicazioni sulle Comunità ebraiche nel Baden Wuttenberg e ho scoperto che una delle comunità più assimilate e culturalmente più prosperose fosse proprio quella di Tauberbischofsheim, ovvero la città natale di Georg Mott, Tra i casi più importanti risulta che Mott abbia confiscato la casa di proprietà della famiglia di Hannelore Sass (sita in Manggasse 2) e abbia provveduto a inserire tutti nomi di questa famiglia nel trasporto da Tauberbischofsheim per Auschwitz via Gurs.  Mott inoltre, oltre a procedere all’acquisizione forzata delle imprese ebraiche, nel 1941 emise un Certificato che obbligava gli ebrei a pagargli un debito nonostante un decreto nazista del 1940 vietasse questa “pratica”. cfr.  Bernhard Müller: “Juden und Judenpolitik in Tauberbischofsheim von 1933 bis 1945”. Wissenschaftliche Arbeit zur Prüfung für das Lehramt an Gymnasien (mschr.). Univ. Heidelberg. 1980; Hundsnurscher / Taddey, „Die jüdischen Gemeinden in Baden“. Stuttgart 1968. Il 22 ottobre 1940 vengono deportati da Tauberbischofsheim 30 ebrei a Gurs. In diversi trasporti, i deportati verranno sterminati per la maggior parte a Auschwitz via Drancy. Il trasporto fu organizzato dalla Direzione dell’Ufficio distrettuale delle SS di Robert Wagner nell’ambito dell’Operazione “Wagner-Bürckel Aktion” dell’ottobre 1940 da tutta la zona del Baden Wuttenberg e Pfalz e rappresentò, come per Merano, il “collaudo” della deportazione ebraica dalla Germania. Cfr. Obst, Johannes, “Gurs. Deportation und Schicksal der badischen-pfälzischen Juden 1940-1945“, Hemsbach,1996; Gerhard J. Teschner, „Die Deportation der badischen und saarpfälzer Juden am 22. Oktober 1940. Vorgeschichte und Durchführung der Deportation und das weitere Schicksal der Deportierten bis zum Kriegsende im Kontext der deutschen und französischen Judenpolitik“, Frankfurt am Main, 2002; Alfed Gottwald, Diana Schulle, „Die >>Judendeportationene<< aus dem Deutschen Reich 1941-1945“, Marixverlag, 2005;  Lista completa dei nomi dei deportati da Tauberbischofsheim e Memoriale in www.merano-history.com.

[18] Hohenems, registro del Database: Heinrich Gitterman, Reichenau 4 dicembre 1943 

[19] Th. Albrich, op.cit. p. 102

[20] Th. Albrich, op.cit. pp.99-100; Biografie complete in http://merano-history.com/pietre-d-inciampo/biografia 

[21] Tutti i loro beni immobili vennero amministrati dalla "Verwaltung des gegnerischen Vermögen" (Amministrazione dei patrimoni dei nemici) che ebbe un ruolo importante anche nel destino finale dei beni ebraici. Cfr. Federico Steinhaus, “Ebrei/Juden”, Firenze,

Giuntina, 1994, p. 95

[22] Trasporto verso l’est. 

[23] Gottwald Alfred e Schulle Diana, “Die 'Judendeportationen' aus dem Deutschen Reich 1941-1945”, marixverlag, Wiesbaden, 2005, p.428.

[24] Danuta Czech, „Kalendarium. Gli avvenimenti del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, 1939-1945“, Rowohlt verlage, 2002, p. 31 della versione italiana relativa all’anno 1944 (1). 

[25] Th. Albrich, “Lebensgeschichten aus Tirol-ein kurzer Üeberblick über 700 Jahre jüdisches Leben“, in Thomas Albrich (a cura di), „Jüdische Lebensgeschichten aus Tirol. Vom Mittelalter bis in die Gegenwart“, Haymon, 2012. 

[26] Biografie più dettagliate sono consultabili sul sito: www.merano-history.com 

[27] Nel dopoguerra Boris Jochvedson organizzò a Merano la Brichah, un’organizzazione sionista clandestina che aiutò migliaia di profughi ebrei a raggiungere l’Italia e quindi ad emigrare in Palestina. Jochvedson morì nel 1948 e venne sepolto nel cimitero ebraico di questa città. La sua lapide riporta questa scritta: “Qui riposa il nostro caro Boris il quale con la sua attività ha reso possibile a molti nostri fratelli di raggiungere Israele. Gli amici della Bricha”.  

[28] “Jewish Cemetery of Meran” in www.JewishGenealogy.org – Si tratta di un’organizzazione internazionale con sede a Washington che raccoglie foto, biografie e informazioni sulle comunità ebraiche nel mondo. Le biografie relative alle persone sepolte, in varie epoche (1882–1970 circa) nel cimitero ebraico di Merano verranno inserite nel loro database.  

 

Casella di testo

Citazione:

Antonella Tiburzi, La comunità di Merano. Gloria e "catastrofe", "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", V, 1, maggio 2016

url: http://www.freeebrei.com/anno-v-numero-1-gennaio-giugno-2016/antonella-tiburzi-la-comunit-ebraica-di-merano