Livio Spinelli, Il sionismo e la politica estera fascista

"Free Ebrei", V, 2, luglio 2016

Livio Spinelli, Il sionismo in Italia e nella politica estera fascista, Roma, Pagine, 2014, 175 pp., € 16

 

di Furio Biagini

 

Abstract

Furio Biagini reviews Livio Spinelli's essay on Italian Zionism and Fascist foreign policy in the interwar period.

Nel suo libro, dal titolo Il sionismo in Italia e nella politica estera fascista, Livio Spinelli, scrittore e pubblicista, ricostruisce il rapporto tra il fascismo e il movimento sionista, oltre a ricordare altri episodi che peraltro sono poco attinenti con l'argomento.

Attraverso i documenti raccolti, l'autore conferma una immagine di Mussolini sensibile alla causa sionista, peraltro già evidenziata da De Felice, nel suo Gli ebrei italiani sotto il fascismo, e da altri studiosi. L'autore riporta in proposito la frase che il Duce avrebbe pronunciato nel corso di un colloquio con Nahum Goldman: " Voi dovete creare uno Stato ebraico. Io sono sionista, io. L'ho già detto al dottor Weizman. Voi dovete avere un vero Stato "un véritable État" e non il ridicolo Focolare nazionale che vi hanno offerto gli inglesi. Io vi aiuterò a creare uno Stato ebraico".

Dal libro emergono anche i buoni rapporti tra la massoneria, gli ebrei italiani e il fascismo, non fu un caso del resto se fu proprio Cesare Goldman, finanziere ed uomo politico ebreo, maestro venerabile della Loggia torinese Pietro Micca, a mettere a disposizione di Mussolini, il 23 marzo 1919, la sala del Circolo degli industriali affinché potesse fondare i Fasci di combattimento. Alla marcia su Roma nell'ottobre del 1922 gli ebrei furono ben 230, ma ciò non vuol dire che l'ebraismo italiano nel suo complesso sposasse la causa del fascismo, al contrario, è bene ricordare che furono numerosi anche coloro che si opposero fin dall'inizio al regime, per esempio al Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce aderirono anche 33 ebrei. Gli ebrei italiani, ormai completamente integrati nel tessuto della nazione, si comportarono nei confronti del fascismo come tutti gli altri italiani.

Pur mantenendo verso gli ebrei il tradizionale pregiudizio sul potere internazionale del giudaismo, il Duce affermava che in Italia non esistesse una questione ebraica, tanto che, dopo il Concordato con il Vaticano, si apprestò a far varare la Legge Falco che accorpava le comunità israelitiche e creava l'Unione delle comunità ebraiche italiane, alla cui direzione fu posto il rabbino capo di Roma.

Per diversi anni il regime mantenne la sua ambiguità nei confronti degli ebrei e del sionismo. Nel 1934, la campagna antisemita, che già in passato alcuni organi di stampa avevano lanciato, si fece particolarmente violenta. L' 11 marzo di quell'anno a Ponte Stresa, alla frontiera con la Svizzera, vengono arrestati Sion Segre Amar, studente universitario e Mario Levi, dirigente della Olivetti, che trasportavano materiale di propaganda antifascista. Nei giorni successivi sono arrestati Leone Ginzburg, Carlo Levi e suo fratello Riccardo, Gino e Giuseppe Levi (fratello e padre di Mario), Barbara Allason, Carlo Mussa Ivaldi, Giovanni Guaita, Giuliana Segre, Marco Segre, Attilio Segre, Cesare Colombo, Leo Levi, Camillo Pasquali. Non tutti sono militanti di Giustizia e Libertà, e non tutti avranno la stessa sorte giudiziaria. «Ebrei antifascisti al soldo dei fuoriusciti assicurati alla giustizia dall’Ovra» è il titolo di un comunicato dell’agenzia Stefani che "La Stampa" e i principali quotidiani italiani riprendono il 31 marzo 1934. La notizia scatena una nuova campagna antisemita, guidata da "Il Tevere", altre ve ne erano state in passato, che tende a presentare gli arrestati come antifascisti perché anti-italiani, e anti-italiani perché ebrei, che anticipa sinistramente la persecuzione antiebraica del 1938. In realtà, come ha osservato Alberto Cavaglion, nel rapporto tra antifascismo ed ebraismo in quella fase era il primo a prevalere: «Prima di tutto si era antifascisti, il “problema dell’appartenenza” passava in secondo piano». Tuttavia, quell'episodio, secondo me, rappresenta il punto di svolta nei rapporti tra il fascismo e l'ebraismo italiano. Per la prima volta giovani che erano cresciuti sotto il regime manifestavano la loro opposizione. Non si trattava, come in passato, dell'operaio o del militante socialista o comunista la cui volontà o resistenza era stata spezzata dalla violenza delle camice nere. Il fatto che quei giovani fossero ebrei faceva pensare a una profonda inconciliabilità tra il fascismo e l'ebraismo.

Altra cosa il sionismo, che per Mussolini rappresentò sempre un problema di politica estera. Come scrivevo nel mio Mussolini e il sionismo: «Mussolini non fu pregiudizialmente contrario all'aspirazione dell'ebraismo verso la ricostituzione di una patria ebraica in Palestina. Naturalmente, in tutto ciò non v'era nulla di umanitario. Negli obiettivi di espansione dell'Italia nel Mediterraneo l'Italia fascista si scontrava con la presenza della potenza inglese. La flotta britannica dominava il Mediterraneo da Gibilterra a Cipro, fino alla Palestina. Sostenere il movimento sionista nella sua lotta contro la potenza mandataria britannica significava dare un colpo all'impero britannico nel Mediterraneo orientale, accrescere il prestigio dell'Italia, rafforzandone le direttrici di espansione (...) Il regime, tuttavia, non sembrò accogliere favorevolmente la posizione, per la verità alquanto ambigua, del sionismo italiano. Ad aperture seguirono atteggiamenti di ostilità, in linea col tradizionale comportamento contraddittorio che il regime aveva sempre seguito nei confronti dell'ebraismo italiano. La punta più acuta di tale ostilità, prima delle leggi razziali del 1938, fu costituita dalla campagna antisionista del 1928 (...) In sostanza, il costituirsi in Italia di un gruppo sionista confermava in Mussolini il tradizionale pregiudizio sul potere internazionale del giudaismo, anche se, per qualche tempo, il Duce pensò di utilizzare il movimento sionista internazionale per gli scopi di politica estera del fascismo (...) Mussolini tentava di far progredire il prestigio dell'Italia nel Mediterraneo orientale a scapito della Gran Bretagna. E' in questo contesto che si comprende l'appoggio dato dal regime ai movimento sionista revisionista di Jabotinsky, che si era staccato dal sionismo ufficiale in nome di una più aperta e dura lotta contro la potenza mandataria britannica». Il Duce voleva che l'Italia svolgesse un ruolo di prim'ordine in politica estera e controbilanciasse la potenza egemonica della Gran Bretagna in Medio Oriente e nel Mediterraneo. Infine, dopo le sanzioni imposte dalla Società delle nazioni, Mussolini pensava di servirsi del sionismo per esercitare pressioni su Londra. In ogni caso, non sottovalutava l'importanza che rivestivano gli Stati arabi e le masse arabe desiderose di affrancarsi dal dominio britannico. In questa ottica anti-inglese, anche la simpatia espressa verso i sionisti revisionisti di Vladimir Jabotinsky, con l'apertura della scuola di marina a Civitavecchia che l'autore giustamente ricorda, ben sapendo di non poter contare sull'appoggio di Chaim Weizman, troppo legato all'Inghilterra.  In seguito, anche Jabotinsky si schiererà con la "perfida Albione" contro le potenze dell'Asse.

Le ambiguità di Mussolini verso l'ebraismo italiano e il sionismo, spesso utilizzate per distinguere la politica razziale fascista da quella nazista, non deve, tuttavia, far dimenticare che la scelta di introdurre il razzismo come fondamento dello Stato fascista fu interamente sua. Anche nel 1943-45 ogni decisione passava dalla sua scrivania. In quel periodo oltre 8000 ebrei italiani, arrestati da altri italiani, furono deportati nei campi di sterminio da cui tornarono solo in 600. La storia ha dimostrato quanto falsa fosse l'idea del buon italiano contrapposto al cattivo tedesco. L'Italia di Mussolini era entrata in guerra a fianco della Germania nazista per realizzare il "nuovo ordine mondiale". Il fascismo si affermò fin dall'inizio contro le minoranze etniche che vivevano nel nostro paese. Ricordiamo che il primo atto del fascismo triestino il 13 luglio 1920 fu l'incendio della Norodni Dom, la casa della cultura slovena, ad opera delle squadracce guidate dal fiorentino Francesco Giunta e forse non è un caso se dal balcone del municipio di quella città furono lette per la prima volta il 18 settembre 1938 le leggi razziali. Non solo il fascismo e il suo Duce furono complici della Shoah, ma furono al tempo stesso responsabili moralmente e materialmente degli odiosi crimini che le truppe italiane perpetrarono in Libia, in Etiopia, in Grecia e nei Balcani. 

Casella di testo

Citazione:

Livio Spinelli, Il sionismo in Italia e la politica estera fascista (Recensione di Furio Biagini), "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", V, 2, luglio 2016

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