Vincenzo Pinto, Se non domani, quando? Intorno a un recente dibattito politico sull’uso della storiografia

"Free Ebrei", III, 1, maggio 2014

Se non domani, quando? Intorno a un recente dibattito politico sull’uso della storiografia

di Vincenzo Pinto

Abstract

Vincenzo Pinto discusses the recent essay by Sergio Luzzatto on Primo Levi as partisan and the public polemics about a "misinterpretation" of his actions.

Il recente saggio di Sergio Luzzatto dedicato alla micro-storia della resistenza (Partigia. Una storia della resistenza, Milano, Mondadori, 2013) ha sollevato un polverone di polemiche, come, peraltro, gli ultimi testi dello storico genovese, perché avrebbe tentato di demitizzare la figura di Primo Levi. Questo è l’obiettivo dell’autore e su questo aspetto polemico concentriamo la nostra attenzione. L’obiettivo del saggio è semplice: tentare di capire chi fossero e quale fu la sorte toccata a due partigiani uccisi nel 1943 sul Col de Joux (Fulvio Opezzo e Luciano Zabaldano), ritenuti nel secondo dopoguerra i martiri della libertà resistenziale. La storia di questi due partigiani si mescola con le sorti della Resistenza valdostana e con il suo “retrovia” (Casale Monferrato). Primo Levi funge da spunto per rileggere, in realtà, tutta la storia della Resistenza e per fare in qualche modo la pace con la cosiddetta “letteratura dei vinti”, cioè la storia scritta dal punto di vista di coloro che combatterono con i nazifascisti. Ma – come vedremo – è anche il segno di un modo particolare di concepire l’identità ebraica.

 

Come abbiamo detto, il saggio ha suscitato molte polemiche, dovute prevalentemente a due aspetti: la “demitizzazione” della figura di Levi e la “rivalutazione” della Resistenza. In entrambi i casi, si è assistito a una dura polemica innescata dai sostenitori (più o meno ortodossi) dei valori resistenziali e dai “revisionisti” moderati o di area centro-destra. Sì, perché questo libro testimonia ancora una volta come la storiografia pubblica (quella che trova spazio su giornali e mass-media) sia per definizione politica. Non sono semplicemente in ballo simpatie o antipatie verso un personaggio o una visione delle cose, ma l’esistenza stessa dello storico e delle sue convinzioni più profonde. I “difensori” di Levi hanno criticato l’inconsistenza storiografica del saggio (che non dimostrerebbe alcunché circa le presunte malefatte del chimico torinese). I “sostenitori” del revisionismo storiografico hanno elogiato questo bagno di umiltà da parte di un affermato storico accademico, che avrebbe riconosciuto dignità storiografica all'opera di Giampaolo Pansa e, quindi, avrebbe messo in discussione il “mito” della Resistenza.

L'opera di Luzzatto è degna di attenzione per la tendenza “illuministica” a voler “chiarire” le oscuirità passate in vista di un progresso (non si sa bene se lineare e diretto verso quale mèta) della società italiana. La tendenza demitizzante è stata considerata molto spesso mistificante, come nel caso del saggio di Ariel Toaff Pasqua di sangue, dove la storicizzazione dell’omicidio rituale è stata ritenuta storicamente infondata oppure strumentale alla “causa” antisemita. Il confine tra mistificazione e demitizzazione è sempre molto labile, soprattutto quando l’autore (il cui padre è di origine ebraica) tenta di affrontare il tema scottante dell’identità ebraica contemporanea. Luzzatto non si è mai occupato direttamente di temi ebraici, sia perché la sua origine ebraica non ha mai giocato un ruolo scientificamente importante nella sua formazione, sia perché è stato maggiormente interessato ad analizzare i fallimenti delle rivoluzioni.

 

Se c’è un tema che ha a cuore lo storico genovese trapiantato a Ferney-Voltaire è proprio il tradimento degli ideali rivoluzionari, la normalizzazione della vita popolare dopo i bagni di sangue rivoluzionari. In tal senso può essere spiegato il lavoro di micro-storia della Resistenza dedicato a Primo Levi. Il dibattito pubblico su Partigia ha finito per oscurare le tesi sostenute da Luzzatto, perché agli opinionisti delle varie testate stava più a cuore difendere la propria tesi preconcetta (in ossequio ai “lettori”) piuttosto che entrare nel merito della lettura avanzata dallo storico genovese. Partigia è un volume tipicamente luzzattesco (se ci è consentita questa connotazione), perché parla di un’ennesima rivoluzione tradita, di una vicenda umana, sin troppo umana, che la mitopoiesi pubblica ha finito (e finisce inevitabilmente) per nascondere. L’umanizzazione dei vincitori e dei vinti avviene attraverso la figura di un “vincitore vinto” come Primo Levi, un sopra-vissuto a un mondo che non esisteva più e che aveva tentato in qualche modo di comprendere. A prima vista, il quadro offerto da Luzzatto è quello di ebrei non del tutto innocenti e di fascisti non del tutto colpevoli. Insomma, un’enorme zona grigia dove nessuno è veramente buono o veramente cattivo e tutti in qualche modo sono protagonisti concreti della vicenda storica.

 

Il primato della “italianità” sulla “ebraicità” di Primo Levi viene suggellato dalla chiusa di Luzzatto, in cui lo storico genovese conduce un paragone ardito fra i personaggi dell’unico romanzo di Levi (Se non ora, quando?) e le vicende resistenziali valdostane e casalesi. Molto cum grano salis, afferma l’autore, “gli ebrei di Gedale corrispondono agli ebrei partigiani che in Italia erano sfuggiti sia ai primi terribili colpi della Soluzione finale, sia all’inizio torbido e disperato di una resistenza con la erre ancora minuscola. Corrispondono agli amici cui Primo Levi, Luciana Nissim e Vanda Maestro avevano lanciato dal treno per Auschwitz la cartolina con quel noi sovraimpresso e fascistissimo, VINCEREMO, e che poi davvero avevano vinto, si erano imposti nella Resistenza con la erre maiuscola. Per loro e soltanto per loro (non per i sommersi del Lager, e neppure per i salvati) il racconto del partigianato ebraico poteva farsi epopea”. Ecco che l’identità partigiana ed ebraica trovano una sorta di quadratura del cerchio all'alba (non della rivoluzione) ma della vita del chimico torinese.

 

La demitizzazione della resistenza comporta di conseguenza anche quella della figura di Levi? Questa è la domanda che molti studiosi resistenziali si sono posti e che li ha indotti a criticare ferocemente l’inconsistenza della tesi di Luzzatto e, di fatto, tutto l’impianto del libro. Che ambizioso è indubbiamente, perché finisce per conferire una grande importanza all'esperienza micro-esistenziale di Levi nel prosieguo della sua esperienza di deportato ad Auschwitz. Ci muoviamo indubbiamente su un terreno molto franoso e in un campo alquanto opinabile, dove le interpretazioni psicologiche finiscono per oscurare gli eventi reali e i documenti a disposizione dello storico, dove le intime convinzioni storiografiche e politiche finiscono inevitabilmente per avere il sopravvento. La vicenda partigiana di giustizia sommaria avrebbe avuto un’importanza così centrale nell'esperienza lageriana di Primo Levi? Se sì, in quale misura? A fronte delle accuse di “reticenze” mosse da Luzzatto, verrebbe da chiedersi come e perché esse siano state sollevate trent'anni dopo quegli eventi e non prima. Che cosa avrebbe indotto Levi a parlare di un evento tutto sommato comprensibile e piuttosto comune, come la giustizia sommaria in tempo di guerra solo allora?

 

Levi avrebbe dunque ritratto quello che non era e avrebbe voluto essere, cioè un partigiano ebreo (non un ebreo partigiano, beninteso)? Sarebbe stato colto da una “vergogna del poi” al pensiero di ciò che non aveva fatto e avrebbe dovuto fare per evitare la morte dei due giovani ad Amay? Il fulcro di tutto questo lungo saggio, volutamente costruito a scatole cinesi, è proprio quello di ritrarre le debolezze di un uomo e il suo parziale riscatto in forma narrativa. La conclusione delle argomentazioni di Luzzatto è che Levi, dopo aver ritratto il suo “ideale”, avrebbe in qualche modo deciso di porre fine ai suoi giorni perché sentiva l’inadeguatezza del ruolo di sopravvissuto ad Auschwitz e, in fondo, il testimone era ben poca cosa rispetto all'attore. I partigiani ebrei di Gedale giungono in Italia per andare in Israele, la terra del domani. Sono loro l’avvenire dell’identità ebraica? Sono loro il futuro dell'ebraicità, posta di fronte a dilemmi morali pressanti come la guerra del Libano? Il libro di Luzzatto non fornisce risposte esaustive sulle vicende della resistenza valdostana (e non potrebbe farlo se non per via sommariamente indiziaria). È un racconto spesso troppo arzigogolato in rivoli traversi. Il protagonista è un idealtipo: la resistenza. Il suo principale testimone in carne e ossa: Primo Levi.

Casella di testo

Citazione:

Vincenzo Pinto, Se non domani, quando? Intorno a un recente dibattito politico sull'uso della storiografia, "Free Ebrei. Rivista online di identità ebraica contemporanea", III, 1, maggio 2014

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